E di pochi giorni fa la circolare (n. 18 del 9 febbraio) che fornisce le indicazioni operative per l’adozione dei libri di testo per l’anno scolastico 2012/2013.
Luci ed ombre; timido approccio alla digitalizzazione, ancora tanta “carta” . Che, questo, sia un passaggio epocale, una innovazione autentica, lo si vedrà in futuro. Al memento rimango scettico sul versante “innovazione”.
Quanto mai rilevanti le annotazioni che Maria Grazia Fiore fa nel suo post “Libri di testo on-line: quali regole per il fai-da-te“.
Sono consapevole del fatto che le questioni pratiche sono tante e chi fa (giustamente) dei libri di testo un business, non può fare facilmente cassa innovando troppo in un contesto fortemente conservatore (la scuola), ma vorrei esporre la mia visione di “innovazione” relativamente alla questione.
Per “innovare” ci si dovrebbe misurare, almeno, con le seguenti questioni.
La specificità delle tecnologie oggi disponibili
Dato che le tecnologie (digitali, di internet) esistono, utilizziamole al meglio e non utilizziamole per le loro caratteristiche più povere, meno innovative.
La vera innovazione di internet non sta nel mettere a disposizione tanti contenuti da leggere, scaricare, da usare passivamente (utile anche questo, ma cose vecchie fatte in modo nuovo; poco arricchimento), ma nel rendere possibile l’interazione tra persone. Quindi la collaborazione, la condivisione, lo scambio, la co-costruzione. La possibilità di utilizzare le conoscenze e le esperienze di tante persone e di sviluppare conoscenza e fare esperienza con tante di loro.
Sappiamo quanto sia difficile fare rete, lavorare in modo autentico in rete, dare almeno quanto si prende. La rete è ancora, per la maggior parte dei suoi frequentatori, un ambiente a fruizione passiva, ma sempre più persone, scuole, insegnanti, famiglie, studenti si stanno incamminando per le strade della partecipazione.
Immaginare, quindi, risorse didattiche a sviluppo e ad utilizzo collaborativo non sarà, anche nel breve periodo, un’opzione solo potenziale ma una realtà. Vale la pena pensare a come mettere assieme le caratteristiche uniche della rete con le pratiche d’uso attuali dei così detti “libri di testo”.
Le pratiche reali d’uso del libro di testo
Si continua ancora a chiamarlo “libro di testo” (LdT), ma la sua forma e la sua funzione sono radicalmente cambiate col passare degli anni. Da strumento ad uso degli studenti per avere a disposizione i contenuti trattati in classe dagli insegnanti con l’aggiunta di qualche esercizio per consolidare la “ritenzione” degli stessi, oggi i LdT sono diventati uno strumento insostituibile per l’insegnante; sono lo sparito, il copione della sua didattica. Il LdT idea, programma e pianifica la didattica (contenuti, metodi, ritmi), l’insegnante esegue le consegne date dallo stesso. Impoverendo in questo modo il contenuto del proprio lavoro riducendosi, nei casi estremi, a mero esecutore di una didattica definita da altri. Forse un amministrativo della conoscenza. Ben lontano dall’artigiano della conscenza che dovrebbe essere l’insegnante (Una delle tante questioni emerse da un indagine fatta un anno fa da “La scuola che funziona” in tema di LdT).
E’ evidente che questa funzione-guida del LdT spazia dall’essere totalizzante e guidare ogni momento della didattica, oppure essere una delle tante “risorse” che l’insegnante usa a supporto del suo lavoro.
Infatti, se ad un estremo del continuum delle modalità d’uso del LdT troviamo l’insegnante che vi si affida ciecamente, all’altro troviamo chi ricerca ed aggrega creativamente risorse di differente formato e provenienza rinvenute anche in internet … senza disdegnare l’auto produzione di dispense o manuali. Risorse prevalentemente “libere”, prodotte da altri insegnanti, rielaborate, arricchite e nuovamente condivise in un flusso costante di uso – arricchimento – riuso.
Anche rispetto a questa tematica, prevale l’insegnante che ha nel LdT un valido alleato (ricordo un redattore di LdT aveva affermato che è meglio avere un insegnante poco esperto che usa un buon LdT, piuttosto che si affidi – rovinosamente – alle proprie “competenze”), ma vedo farsi largo una nutrita schiera di insegnanti infaticabili, emancipati e coraggiosi che si costruiscono giorno per giorno, lezione per lezione, il proprio piano di lavoro, ideandolo, programmandolo e procurandosi le risorse didattiche necessarie.
Lo stato dell’arte sull’apprendimento
Le risorse didattiche da usare, il loro ruolo, i modi in cui si usano sono strettamente legati all’idea che ogni insegnante ha dell’apprendimento, di come le persone apprendono, di come, conseguentemente si insegna, ma anche di cosa gli studenti dovrebbero imparare.
Se si è convinti che si apprenda meglio avendo un ruolo (cognitivamente) attivo, che lo scopo dell’apprendimento sia dare un significato a ciò che si è appreso, che gli studenti dovrebbero saper usare le conoscenze (e non solo memorizzarle) e di trasferirle in differenti contesti, che si dovrebbe imparare a collegare tra di loro le conoscenze acquisite, che si debba apprendere per uno scopo (e non imparare per imparare) ….. allora non ci resta altro che lavorare all’interno di ambienti di apprendimento, contesti didattici aperti, ricchi di risorse, dove lo studente è attivo, usa strumenti, elabora informazioni, interagisce … (rielaborato ad Wilson).
Ambienti di apprendimento tanto come metafora per il contesto didattico nel suo insieme ma, anche, per il libro di testo in quanto tale. Magari attingendo alle “architetture per l’apprendimento” di Schank come basi concettuali.
Più che monolitici “libri di testo”, tante risorse “liquide”, aggregabili creativamente, manipolabili da insegnanti e studenti, dove l’interazione, la collaborazione, la costruzione siano elementi fondamentali del setting didattico.
Con una “visione” di lungo periodo, mi piace pensare che il luogo di sviluppo delle “risorse” didattiche (preferisco la prospettiva “risorse”, che quella di “libro di testo”) sia quello delle reti di insegnanti più che quello degli editori.
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Immagine: mariedargent.com
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