Si è da poco conclusa la procedura preselettiva per scremare la vasta platea di aspiranti dirigenti (circa 35.000 per 2.500 posti) per avere 8.500 da sottoporre alla vera e propria valutazione.

La natura delle “prove” (4000 domande a risposta multipla tese a testare la memorizzazione delle risposte), i loro contenuti (questioni più volte insensate), la povertà tecnica dell’intero impianto, dimentico delle più elementari regole della costruzione degli item per prove strutturate, i non pochi errori sui contenuti, il fatto che nell’insieme, la prova restituisse un’immagine di un profilo da selezionare ben lontano da quello che dovrebbe essere un futuro dirigente d’istituto, (tanto che non pochi candidati hanno rinunciato a concorrere ritenendo offensivo il contenuto e il metodo della prova stessa), hanno generato non poche discussioni prima e dopo la prova, principalmente per insensatezza culturale e professionale delle modalità di selezione. Le principali questioni che si sono poste nelle numerose discussioni in rete: Che profilo viene selezionato? Quali i valori, quali i criteri di qualità. E post selezione: Chi è stato selezionato quali caratteristiche ha? Buona capacità di memorizzazione? Sopportazione dello stress? Accettare comunque procedure insensate? Tenacia?

Ben poca cosa rispetto alle criticità che sono presenti nelle successive prove selettive. Qui con una prova scritta (quattro quesiti aperti) e una orale il “profilo” del dirigente scolastico sarà tracciato in modo chiaro tanto in ordine  all’hardware che lo dovrà caratterizzare (conoscenze nei diversi domini del suo ambito di lavoro) che al “software” di cui dovrà essere dotato: capacità di gestione delle risorse umane, visione culturale, pedagogica, didattica ma anche atteggiamenti, valori….

Qui sorgono i primi problemi perché proprio in ragione delle modalità di selezione (certamente più sensate delle famigerate 4000 domande), molto ampio sarà il margine di discrezionalità dei valutatori. La valutazione di un quesito aperto non può che essere soggettiva (se non per la parte cui si farà riferimento a normative o a dati quantitativi) ed essere determinata dai “valori” che animano il valutatore, ma “soggettivo” può non essere “arbitrario”.

Per questo si deve chiedere trasparenza sui criteri di valutazione, qualunque essi siano (tenendo, inoltre, conto che saranno numerose le commissioni che valuteranno e la difformità dei riferimenti, anche impliciti – cioè in buona fede – sono inevitabili).

Questi criteri devono essere esplicitati in modo analitico, identificando per ciascun quesito una serie di “criteri” di qualità della risposta (vista la rilevanza della prova non meno di 5 – 7 criteri) e per ogni criterio almeno 5 livelli di valutazione con la formulazione, analitica, priva di avverbi e aggettivi, dei descrittori di ciascun livello.

E’ assolutamente necessario avere una bella batteria di rubric ben fatte, condivise nelle comunità scientifiche di riferimento, note ai candidati quanto prima.

Un lavoro non da poco  (servono tempo e soldi) ma è un lavoro assolutamente necessario  vista la posta in gioco: selezionare i migliori “professionisti” presenti oggi sul mercato per l’importante compito di dirigere le scuole.

L’approccio che propongo ha, però, un grave limite: l’esplicitazione analitica dei criteri e dei descrittori rende agevole, condivisa e, soprattutto, trasparente la valutazione.

Il criterio della trasparenza è un valore importante della valutazione: ogni buon valutatore la persegue al pari della sua validità e pertinenza e per queste ragioni dovrebbe essere perseguita anche nella selezione dei futuri dirigenti scolastici.

Temo, però, che in questo contesto la trasparenza non possa essere un valore da perseguire, anzi, tanto più opaca è, tanto più funzionale è la valutazione agli interessi degli “stakeholders”.

Chi, tra i grandi portatori d’interessi non ha, appunto, l’interesse a far passare tizio e non caio? Non c’è nessuno che graviti attorno alle associazioni e ai sindacati, che si è dato/a tanto da fare nei vari team, che si è prodigato/a a divulgare il verbo istituzionale che non meriti, per appartenenza e adesione più che per merito, l’ambita e prestigiosa promozione?

Una valutazione trasparente taglierebbe fuori tanti fedeli servitori della buona causa, e questo non è un bene perché non si possono riconoscere i meriti acquisiti sul campo.

 

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