Non avevo ancora chiuso con un pensiero formale il mio lungo periodo professionale e umano di lavoro nel mondo dell’istruzione e della formazione.
Voglio farlo ora e con questo ultimo e definitivo post nel mio blog professionale per segnare formalmente e ufficialmente la fine di un percorso e l’ inizio (meglio, la continuazione) di un altro.
Come nel precedente percorso non era mai chiaro, nemmeno a me stesso, cosa stessi facendo, anche in quello attuale non è chiaro, e mai lo sarà, cosa stia facendo 🙂
Di certo, sto vivendo pienamente la mia vita, cercando di dare un senso a quanto sto facendo, cercando di mettere tutto me stesso, anima, cuore e corpo, cercando di divertirmi, senza risparmiare emozioni ed energie.
Ho chiuso sostanzialmente il mio “lavoro” da qualche mese, ma già negli ultimi due anni avevo ridotto progressivamente dal punto di vista quantitativo ma non qualitativo il mio impegno materiale e intellettuale.
Non voglio ripercorre qui la mia traiettoria professionale ed intellettuale (qualche traccia rimane nei libri e negli articoli che ho pubblicato ma anche e soprattutto qui, in questo blog) ma voglio solo mettere in evidenza l’atteggiamento che mi ha accompagnato nelle mie attività e riassumibile con un’ affermazione fatta da un allora insegnante ed ora dirigente in una conversazione pubblica nei social: una voce antidogmatica della pedagogia e della didattica.
Si, mi riconosco in questa descrizione sintetica. Un po’ ribelle, un po’ eretico. Un po’ scassacazzi. Un “stile” che mi ha tagliato fuori da alcuni contesti lavorativi, quelli più omologati, ma che mi ha aperto la porta di altri, quelli un po’ più liberi e aperti al pensiero critico.
Si, rispetto alle piccole e grandi questioni che attraversavano la scuola ho sempre avuto un mio personale pensiero, un pensiero non allineato alla tendenza dominante.
Non mi sono mai accodato ad alcun carro, non ho mai cercato padroni, ho dato ascolto solo a me stesso, alle mie convinzioni maturate in militanze culturali, sociali, politiche.
Non sono mai stato ammesso ai piani alti del business educativo ma ho sempre lavorato (e fatturato) molto.
Come stile didattico, e credenza pedagogica, non ho mai decanato la “bellezza” degli argomenti che presentavo e ne ho sempre evidenziato le criticità. Non ho mai detto “fate come vi dico” ma “vi racconto queste cose e vedete voi cosa vi potrebbe essere utile”. È facile scadere dalla formazione sull’indottrinamento.
Ho sempre studiato molto e mi sono misurato con il pensiero della comunità professionale internazionale.
Mi sono ispirato ai lavori di studiosi che mi ispiravano qualcosa, ma ho sempre reinterpretato a modo mio concetti e pratiche, senza alcuna riverenza o soggezione per i “grandi” nomi internazionali, figuriamoci per i piccoli nostrani.
Ho deciso di chiudere con quella mia lunga esperienza professionale (preceduta da una molto breve come “uomo di mare” che mi ha portato ad essere Sottotenente di Vascello – marina militare – e Terzo Ufficiale di Coperta – marina mercantile) perché sentivo molto distante da me, dalle mie idee, dai miei valori, dalla mia cultura la strada che la scuola italiana stava prendendo, una strada sempre meno focalizzata sulla persona, sul suo sviluppo come essere pensante ed esistente.
Credo che la scuola contemporanea, a parte rarissime eccezioni e per merito di pochi insegnanti non omologati, sia un insulto alla dignità della persona.
Non ho alcun rimpianto per il mondo che lascio; la scuola non mi mancherà, pur avendola sempre amata e rispettata (voglio ricordare l’esperienza del social network prima che comparisse Facebook La Scuola Che Funziona, fucina di idee controcorrente).
Si chiude una porta e si apre un portone? Non lo so. So solo che ho tanta curiosità di andare a vedere cosa ci sarà domani. Ci vediamo lì? Io ci sarò.