Rubo il titolo a L’espresso, n. 14 del 12 aprile 2007, pagina169.

In questo articolo, relativo al business alimentare (succhi di frutta, latte, bibite) leggo che una ricerca pubblicata su “PLoS Medicine” dimostra che, al pari dei testi sui farmaci, anche le ricerche in campo alimentare sono distorte da interessi economici ed hanno quasi otto volte più probabilità di presentare dati in favore di un prodotto se sono finanziate dalle industrie. Nell’articolo si compie la rileva che tutti gli studi finanziati da un privato ne assecondavano le sue aspettative e cita un certo David Ludwig del Children’s Hospital Boston che afferma: “Quando la scientificità degli studi è compromessa dai conflitti di interessi, la salute pubblica è seriamente minacciata”.

A questo punto mi scatta un conflitto non di interessi ma, a dirla con i costruttivisti, “cognitivo”.

Il mio pensiero va alla recente pubblicazione dei dati delll’Osservatorio e-Learning 2006 realizzato da AITech-Assinform (dal loro sito: l’associazione nazionale, aderente a Confindustria, delle aziende operanti nel settore dell’Information technology – tecnologie, servizi e contenuti per l’informazione – e si pone come interlocutore di riferimento, nei confronti del mercato e delle forze politico-istituzionali, relativamente alle problematiche che attengono l’innovazione del Paese) e dal CNIPA – Centro Nazionale per l’Informatica. Mi pare che l’indagine sia stata sostenuta anche dalla Sie-l, Società Italiana per l’ –learning (di cui sono socio).

Nell’Osservatorio si da una immagine ottimistica della diffusione dell’e-learning in Italia, in costante, anche se lenta crescita. Una rassegna stampa sull’evento è presente nella newsletter inrete.oggi/scuola/tecnologia/didattica del 21 marzo 07.

Dicevo di “conflitto cognitivo”: questo ottimismo ed entusiasmo per la diffusione dell’e-learning configge, solo nella mia mente, credo, con molte delle affermazioni che furono fatte in diverse occasioni al TED di Genova del novembre scorso e con molti dei commenti che anticipavano i dati di questo osservatorio.

Quanto lì sentito mi portò a titolare un post su questo blog : “l’elearnig è morto, viva l’e-learning”.

Non so più a chi credere, ma non vorrei che anche questa indagine ricadesse nella tipologia citata da “PLoS Medicine”. Chissà se i promotori dell’Osservatorio hanno interessi tanto diversi da quelli dei fabbricanti di succhi di frutta? Ovvero, che non si punti su quella viene chiamata “profezia auto-avverantesi”?

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Un pensiero su “A chi la danno a bere”
  1. Buongiorno la conosco oggi in quanto frequentatore e lettore del Blog del Prof.Agati.
    Mi permetto di segnalare qualcosa sulla questione dei succhi di frutta: Non è una novità che l’uomo sia orientato al consumo degli alimenti “facili” come le proteine amimali e i dolci. Logico allora che chi produce faccia scelte sempre più mirate e stimolanti SIA dal punto di vista del portafoglio dei consumstori che da punto di vista del Palato, sì del Palato.
    A livello di mercato sono tardivi e troppo mirati gli interventi fatti dal punto di vista degli Intestini dei consumatori (e del loro portafogli, s’intende). Sarebbe auspicabile (almeno) un riequilibrio delle forze in campo contemporaneamente alla sensibilizzazione sui rischi intrinseci dovuti al consumo di alimenti, dolci e proteine animali, a basso costo e ad elevata commercializzazione. Vedrei bene poter utilizzare al meglio l’unica arma che ha il consumatore nei confronti del Mercato: Il Criterio di Giudizio.
    Distinti Saluti
    Lorenzo Colfi

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