Antonio, con un commento ad un recente post lancia il sasso: “….come la vedresti la possibilità di “codificare” il tuo lesson plan in modo “formale”, usando uno specifico “linguaggio” in grado di rendere “leggibile da computer” e “riusabile” …… la tua esperienza? Questo è l’obiettivo (il sogno?, il mito?) di un “successore” del vituperato SCORM, ovvero il Learning Design…

Conosco l’appassionato lavoro di Antonio e le sue riflessioni sul Learning Design. Conosco (ed uso) uno degli strumenti sviluppati secondo quel modello (LAMS) e lo trovo molto utile. Ottimi strumenti ed ottimi i principi su cui si basa. Mi piacciono, anche, le concettualizzazioni di James Dalziel, padre di LAMS, (eccellente la sua metafora della lezione/ricetta culinaria in cui ci sono tanto gli ingredienti (i contenuti) che il procedimento (la didattica). Assemblare gli ingredienti senza una logica, non si ottiene nulla. Concordo (e mi incazzo quando vedo che si procede come se contassero solo gli ingredienti).

Ho studiato con molta attenzione il lavoro fatto alla Open University olandese da Rob Koper ed altri sul Learning Design (libro citato qui a lato)

Però ….. Si, c’è un “però”, e non è piccolo.

Non mi convince l’idea della standardizzazione.

Una azione didattica è sempre e fortemente contestualizzata e non replicabile. Certo, alcuni elementi possono ricorrere in più di una occasione, ma sono talmente tante le variabili che … variano che prevederle ed indicizzarle tutte sarebbe, forse tecnicamente possibile, ma avrebbe costi esagerati per l’utilità che potrebbe dare. Non credo, cioè, che un processo didattico possa essere descritto cogliendone tutte, dico tutte, le caratteristiche, le implicazioni, le sfumature e, se anche lo fosse, sarebbe fatica inutile. Troppo costoso per il valore aggiunto apportato.

Un esempio dalla mia esperienza. La lezione cui Antonio si riferisce è stata “ripetuta” due volte. L’ho fatta io, l’ho ripetuta a distanza di un giorno, in due corsi paralleli, per lo stesso committente ma l’ho cambiata in parecchi aspetti. Se al posto mio l’avesse fatta un altro docente, i cambiamenti sarebbero stati ancor maggiori e se anche il corso avesse fosse stato diverso, quali ulteriori cambiamenti sarebbero stati necessari?

Credo, caro Antonio, che il sogno di fare leggere e codificare una mia lezione da un computer debba rimanere tale per tanto tempo. O, almeno, lo spero.

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2 pensiero su “Un PC leggerà una mia lezione?”
  1. E’ anche a causa dell’appassionato (grazie, troppo buono..) studio, che posso confermare che… lo spero fortemente anch’io!!.
    Sono giunto alla personale conclusione che il LD contenga una robusta dose di esasperazione tecnologica…
    Tuttavia, l’idea di memorizzare e condividere le esperienze (specialmente quelle davvero buone, valide, che si vorrebbero far conoscere e, possibilmente, replicare) continua ad affascinarmi. Per questo, forse, mi aveva colpito molto il database KITE presentato da Jonassen al workshop di Bressanone, sulle “storie” di integrazione della tecnologia nell’educazione.
    Certo, sono cose ben diverse, un racconto e un file XML, me ne rendo perfettamente conto.. Ma sono cose diverse oggi! Chissà, forse tra qualche anno lo saranno meno?

  2. Hai ragione da vendere: il database di casi KITE di Jonassen è cosa ben diversa da un repository di LO o di “attività” Learning Design.
    Io credo che questa differenza stia tutta in questo: c’è chi inizia il suo lavoro domandandosi “cosa possono fare le tecnologie? Chi, invece, inizia col chiedersi: “come apprendono le persone?”.
    Poi tutto viene di conseguenza.

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