Nella scuola e nella formazione stanno maturando molte cose. Pare che nelle nuove “indicazioni” ministeriali si parli espressamente di una didattica per competenze e di superare la scuola trasmissiva indicando il modello dell’apprendimento collaborativo come quello da seguire. Pare, si parli espressamente anche di “comunità di pratica”. Le innovazioni (non si parla mai di “riforma” ma di “innovazione”, di “strategia del cacciavite” e del “cantiere sempre aperto”) saranno introdotte senza alcun intervento ordinamentale, immagino, per non sconvolgere troppo le già agitate acque della scuola.

Non posso che essere entusiasta per questi orientamenti, vi aderisco, praticamente, da sempre.

Purtroppo, credo che il tutto resterà nei documenti e che nulla si farà. E questo non tanto per i fondati dubbi che questo Ministro e questo Governo non camperanno tanto a lungo (la cosa non mi rende tanto felice) da rendere operative le coraggiose scelte, ma perché non si creeranno le condizioni perché le innovazioni si possano applicare.

Lasciamo perdere la questione “soldi”; lasciamo perdere la questione “formazione formatori”; lasciamo, anche, perdere la questione “interesse degli insegnanti a coinvolgersi nel processo di innovazione”.

Il vero problema sono le condizioni organizzative e logistiche necessarie a realizzare una didattica costruttivista.

Con l’organizzazione del tempo di insegnamento attuale (orario settimanale, didattica individuale, tempo di servizio incentrato sull’insegnamento in aula) e con gli spazi fisici disponibili nelle scuole, non si potrà mai fare didattica costruttivista.

Io mi sono imbattuto, più volte, con le “reali” condizioni per operare in questo modo. Gli insegnanti e gli allievi vi hanno aderito senza particolari problemi, i risultati in termini di apprendimento sono stati eccellenti; il limite è stato che si è trattato di attività isolate, occasionali, realizzate in condizioni straordinarie grazie alla buona volontà di dirigenti, insegnanti e personale ausiliario, sconvolgendo per un breve periodo le “abitudini”, compresi il regolamento ed il contratto di lavoro.

Azioni sperimentali ma impossibili a mettere “a sistema”.

Ecco perché sono estremamente dubbioso che le “indicazioni” ministeriali giungano in porto.

Si tratterà dell’ennesimo brivido lungo la schiena della scuola e si ritornerà alle ordinarie occupazioni.

Mi auguro solo che, per usare un linguaggio tecnico, lo sputtanamento inevitabile del costruttivismo non venga attribuito a sue intrinseche debolezze e siano chiare le “umane” responsabilità.

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4 pensiero su “Un brivido lungo la schiena”
  1. Le nuove indicazioni, che tutti e nessuno attendono, non cambieranno molto. Non per i motivi che leggo nella riflessione, o non soltanto per quelli.
    Non cambieranno molto, perchè la scuola ha visto passare molte riforme, innovazioni, metodi di valutazione, di organizzazione didattica e del tempo scuola, e gli insegnanti sono anche un po’ prevenuti positivamente verso le novità che si dichiarano tali.

    Forse nella scuola ci vorrebbero più occasioni di aggiornamento, ma non sull’uso dell’informatica, delle tecnologie, della parte burocratica, della sicurezza… noooo di queste cose non c’è reale bisogno perchè prima di esse si dovrebbero portare i docenti tutti a ri-vedere ri-flettere (flettere di nuovo) le proprie competenze umane, nei rapporti con gli alunni, nelle rigidità che inevitabilmente si verificano quando si trovano in ambiti ambientali ristretti più di due persone, e una di queste ha un ruolo per propria definizione sovraordinato anche se non superiore….

    Più comprensione psicologia, più strumenti spendibili in classe (classe intesa come gruppo di relazioni umane, quindi anche oltre lo spazio fisico dato da 4 pareti+cattedra+banchi+lavagna) per aiutare/accompagnare/indicare ai ragazzi come risolvere da sè conflitti emotivi, ormonali ed altro…

  2. Hai colto nel segno. Si parla, non so quanto spesso, di “relazione educativa”. Senza “relazione” non c’è educazione. relazionarsi non è facile, specie se non se ha voglia. La capacità di relazione può avere una componente, come dire, innata. Alcuni ne hanno di più, altri di meno.
    Ma è, anche, una abilità/competenza che può essere sviluppata, appresa. Tu indichi uno strumento fondamentale, la riflessione. Di questo processo mentale, metacognitivo, si sente molto la mancanza. Sembra facile riflettere, ma così non è. Non solo per gli insegnanti. Utili letture i libri di Schon, “Il professionista riflessivo”. Bari, Dedalo, 1993

  3. la ricerca su Unilibro mi da due titoli simili dello stesso autore:
    Schön:
    Il professionista riflessivo. Per una nuova epistemologia della pratica professionale [ Libro ]
    oppure:
    Formare il professionista riflessivo. Per una nuova prospettiva della formazione e dell’apprendimento nelle professioni [ Libro ]
    posso supporre che il tuo riferimento sia al primo dei due?
    fra l’altro costa pure meno… 😉
    Comunque grazie per le tue riflessioni, anche se dopo Reggio Emilia sono stato un po’ critico, forse perchè mi hai causato un corto circuito cognitivo, le trovo… utile pane per la mente.

  4. se devo essere sincero, io mi sono approfondito questi testi in inglese
    – The Reflective Practitioner: How Professionals Think in Action
    – Educating the Reflective, 1995 Practitioner: Toward a New Design for Teaching and Learning in the Professions 1990
    Per l’italiano, ho cercato i testi in http://www.internetbookshop.it/ ed ho trovato
    1) Formare il professionista riflessivo. Per una nuova prospettiva della formazione e dell’apprendimento nelle professioni

    2) Il professionista riflessivo. Per una nuova epistemologia della pratica professionale

    non ho nessuno dei due in biblioteca.

    Per Reggio Emilia, mi piacerebbe sapere a cosa si riferisce il “cortocircuioto cognitivo” provocato. Avevo letto una critica (tanta teoria, poca pratica) nel forum del Moodle Moot. non so se fosse tuo. Lo pseudonimo non aiuta. Diversamente, mi piacerebbe leggere le tue critiche (che mi aiutano a progredire più dei, graditi, complimenti)

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