E’ necessario saper insegnare per fare l’insegnante?. Potrebbe sembrare una domanda retorica ma non lo é. La questione é reale.

Giorni fa stavo tenendo un workshop sul uso delle tecnologie all’interno e per un corso di pedagogia e didattica.

Un insegnante, forse cogliendo un malcontento diffuso sui contenuti e sui metodi delle lezioni precedenti esclama, forse all’indirizzo degli organizzatori del corso: “ma questi non hanno capito che siamo informatici, economisti, matematici, mica psicologi o pedagogisti”.

Preso alla sprovvista, mi scappa un “si, è vero che siete informatici, economisti, matematici….., ma siete anche insegnanti di informatica, economia, matematica…”. Dal silenzio seguito e dalle occhiate traverse ho capito di averla detta grossa.

Fine del aneddoto e via con una raffica di domande, queste si, retoriche.

  • E’ necessario che chi fa di mestiere l’insegnante conosca, quanto meno, le teorie dell’apprendimento per comprendere l’ “oggetto” del suo lavoro?
  • E’ necessario che chi fa di mestiere l’insegnante conosca, quanto meno, un certo numero di tecniche didattiche per scegliere quella più adatta alla situazione che si trova ad affrontare?
  • E’ necessario che chi fa di mestiere l’insegnante conosca le principali problematiche che si presentano in una situazione educativa per saperle fronteggiare?
  • E’ necessario che chi fa di mestiere l’insegnante conosca le principali problematiche psicologiche che caratterizzano una situazione di insegnamento e di apprendimento?
  • E’ sufficiente che per insegnare una persona si affidi al buon senso, all’intuizione, all’esperienza?
  • Esiste uno specifico professionale dell’insegnare o basta che una persona conosca una disciplina per poterla insegnare?
  • Per insegnare basta imitare il comportamento di quelli che furono i nostri più bravi insegnanti?

Io credo che per insegnare sia necessario conoscere 3 cose:

  1. la propria disciplina (l’oggetto)
  2. come insegnare (le basi del mestire)
  3. come insegnare la propria disciplina (la specificità dell’insegnamento di una disciplina).

Non so, però, quanto sia condiviso questo convincimento. Vedo parecchia gente affrontare il lavoro di insegnante con leggerezza, come fosse un mestiere che tutti possono fare, basta avere un titolo di studio, un minimo di cultura e buon senso.

Tutto questo avendo ben presente che non tutte le dinamiche della riuscita scolastica sono nelle mani dell’insegnante pur professionalizzato; soprattutto nei casi più difficili.

A questo proposito vi rendo partecipi di una annotazione che mi ha fatto Jonassen proprio ieri in una conversazione via mail per mettere a punto una attività su cui stiamo lavorando. Gli chiedevo se fosse utile definire anche un metodo per la diagnosi dei problemi di apprendimento riscontrati in aula dagli insegnanti e lui mi risponde (copio ed incollo):

I am not sure how useful this will be. These kids are adolescents, who are controlled more by their hormones than their brains. From the information that I have, I believe that they are academically challenged; they have poor academic self-concepts (low self-efficacy), and so they see school as irrelevant. They have short attention spans, so tasks cannot be too complex. Those are difficult problems that will not be solved completely by any strategies.

Gli chiederò di approfondirmi la questione perché rimane il problema dell’insegnante che va in un’aula difficile, non sa che pesci pigliare e ne esce pazzo.

Assolti, quindi, gli insegnanti che non sono in grado di affrontare TUTTE le situazioni didattiche e TUTTI i problemi di apprendimento.

Colpevoli, però, quelli che non sanno affrontare con competenza le situazioni definibili “ordinarie”.

PS: leggo, poco prima di pubblicare su la Repubblica nella rubrica “lettere” di Corrado Augias, il titolo della lettera principale: Riforma della scuola? Insegnare bene.

Passo e chiudo.

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17 pensiero su “E’ necessario saper insegnare per fare l’insegnante?”
  1. Succede anche a me, ma dico io…
    un ingegnere dovrà pure conoscere la teoria dei travi per progettare una struttura che stia in piedi;
    Un medico dovrà pure conoscere l’anatomia per fare una diagnosi:
    ecc..
    Domanda: che cosa mai dovrebbe conoscere un insegante per insegnare?
    Sapere come la gente impara le cose può darsi che c’entri qualcosa dopotutto.
    L’impressione è che i tuoi allievi non abbiamo mai accettato sul serio l’idea di essere insegnanti.
    O mi sbaglio?

  2. Ma scusa Gianni, delle SSIS o SSISS o SISS o con non quante S, non ne hai mai sentito parlare?
    Pare che servano (servano??) proprio ad aggiungere i punti 2 e 3 del tuo elenco alla formazione del futuro docente.
    Naturalmente, basterà chiedere a qualcuno che l’ha frequentata per farsi un’opinione…

  3. Si, sentito parlare :-). Speriamo, quindi, nella generazione dei sissini. Proseguo in privato

  4. Vengo ora da una cena di blogger del Veneto e del Friuli (10 presenti)ed ho materiale per dare saeguito all’invito fatto da Anto di sentire qualche sissino. Due sissini presenti e questi in breve i commenti (ovvio che tra blogger si parli anche di propri blog e dei temi che si trattano; tra l’altro concepiti alcuni interventi per il Ghirada Bar Camp)
    – ottima per il tirocinio (per chi non ha mai insegnato)
    – la parte teorica può essere ridotta ad un quarto e non si perderebbe nulla
    – è una scuola con il paraocchi: solo il pensiero (scientifico, ovviamente) del capo viene presentato; impossibile farsi un’idea delle diverse posizioni
    – un buon modo per arrotondare le entrate dei docenti universitari
    – un buon modo per piazzare i libri degli stessi
    – la CEPU dell’apprendimento
    – si frequenta per trovare un lavoro
    – non si impara ad insegnare
    – molti docenti, a pagamento, ti fanno le tesi necessarie ad ottenere il certificato finale.
    Un rondine non fa primavera. Questo non è una ricerca scientifica (è stata fatta a tavola tra la pizza ed il caffè e con un campione non stratificato e rappresentativo dell’universo, elaborazioni approssimativa). La realtà sarà certamente migliore, visti i tanti soldi che circolano. Questo è solo un blog e quanto detto si qualifica da sè. Grazie.

  5. Sono d’accordo sulla necessità delle tre “cose” indicate (anche se preferisco il termine ingredienti)per poter insegnare.

    A mio avviso, però, queste tre “cose” non bastano perchè riguardano soltanto il “lato docente”. Ma l’atto educativo si “consuma” da entramBe le parti: è uno scambio bi-direzionale docente-apprendente.

    E allora Occorre fare di più: decentrarsi e cercare di penetrare nell’universo dell’apprendente, impadronirsi delle sue modalità di comunicare…”sentire” le sue esigenze … saper leggere oserei dire i suoi pensieri…parlare la sua stessa lingua. Ecco se non si è in grado di fare questo…ordinariamente, non si è neanche in grado di farsi “seguire” dagli alunni.
    L’insegnare non è quindi per tutti. Bene inteso non intendo qui affermare che “insegnanti si nasce, non si diventa”! Insegnanti si può diventare, a patto di sapere cosa comporta il farlo e a patto di volerlo fare fortemente.

    E ci sarebbe ancora tanto altro da aggiungere, ma mi fermo qui data l’ora tarda…..

  6. Acci, un blog che mi perdevo 🙁
    … fino a questo momento! complimenti…. mi coinvolge eccome!
    Le 3 cose elencate, Gianni, importantissime ma non sufficienti.
    E sì che all’insegnante occorrerebbe conoscere:
    “un certo numero di tecniche didattiche [non solo didattiche]per scegliere quella più adatta alla situazione [intendendo situazione didattica e personale, educativa, formativa…]che si trova ad affrontare”. Ogni nuova classe è una scoperta di situazioni diverse. In realtà ogni alunno richiede interventi specifici. E non è facile, per interventi davvero efficaci occorrerebbero risorse umane e supporti spesso inesistenti. L’insegnante… insegnante, fa salti mortali per far raggiungere obiettivi!
    Quindi è importante la conoscenza di:
    “problematiche psicologiche che caratterizzano una situazione di insegnamento e di apprendimento”
    La conoscenza delle
    “teorie dell’apprendimento ….”: sì, importante ma pur essendone in possesso, con la pratica quotidiana …”ci si scontra”!
    Fare l’insegnante…. E, sì, il discorso sarebbe davvero lungo.
    C’è una prerogativa, mi rincresce dirlo, in molti insegnanti è carente: si chiama passione!
    ciao,
    grazie per questo spazio…
    un’insegnante 🙂

  7. Beh, certo, la passione…
    Però, da una parte la passione serv(irebb)e per tutte le professioni, no? Dall’altra non si può certo affidarsi ad essa e alla buona volontà dei singoli, no?
    Credo che il ragionamento di Gianni voglia essere più di tipo “istituzionale”, ovvero identificare quali dovrebbero essere i pre-requisiti necessari per poter accedere all’insegnamento.
    Da questo punto di vista mi sembra che le tre “cose-competenze” proposte siano più che ragionevoli.
    Se poi:
    1) le strutture preposte a fornire tali competenze non funzionano come dovrebbero
    2) se manca la passione e/o l’insegnamento viene visto solo come ripiego o “ultima spiaggia” per disoccupati intellettuali
    allora andiamo poco lontano…
    Forse, riqualificando la professione dell’insegnante (non dico altro per non scadere nel banale, trito e ritrito sindacalismo scolastico che non amo particolarmente), facendo in modo che essa diventi più appetibile, ambita e socialmente riconosciuta, si potrebbero anche richiedere requisiti di accesso più “alti” e fornire una preparazione migliore…

  8. Ciao, caro Antonio! Che piacere ritrovarti! Il tuo seminario sul Learnig Design è stato uno dei più complessi ed affascinanti che io abbia mai frequentato! Mi hai fornito innumerevoli stimoli che mi hanno sollecitata ad aprire un blog sul web 2.0. Ti ricordi delle mie UOL con Reload e delle sequenze LAMS? Che periodo fantastico!
    Vabbè, ritorniamo in tema!
    Per quanto riguarda le considerazioni sulla passione e sul resto del tuo discorso, concordo…..
    Però devi ammettere che quanto ho affermato nel mio post sul decentrarsi da sè stessi e penetrare nell’universo dell’apprendente è anche un ingrediente importante, che, unito alle tre “cose” indicate da Gianni, compongono un mix di successo. Di questo sono fermamente convinta per annosa esperienza.
    Un caro saluto;)
    Annarita (nereide)

  9. Annarita.. it’s a small world 🙂
    Ti ringrazio ma il tuo commento mi provoca un ragionamento …alla Catalano: certo che insegnare ad un gruppo di adulti motivati e interessati come eravate voi del seminario LD è tutta un’altra cosa, rispetto a doversi confrontare con un gruppo di adolescenti svagati e svogliati!!
    A parità di insegnante, si intende 😉
    Nel senso che nel primo caso …son buoni tutti, intendo!!!
    A presto!

  10. Eh, sì….il tuo ragionamento alla Catalano è realistico. Proprio per questo ribadisco il concetto:).
    Quando mi trovo circondata da una moltitudine di sguardi, non tutti svagati e svogliati…per fortuna, mi chiedo la ragione di quella svogliatezza e allora si mette in moto il meccanismo del “decentrarsi” da sè per cercare di penetrare in quel mondo “altro”. Quando ci si riesce….le soddisfazioni sono grandi e, comunque, lo sforzo vale sempre la pena:)). Se poi questo “agire” vogliamo farlo rientrare nel punto 2, indicato da Gianni ovvero il “come insegnare”, allora ok! Sono sufficienti le tre cose indicate da Gianni;)
    Ciao…

  11. Care Giovanna ed Annarita e caro Antonio, il problema della motivazione dell’allievo è fondamentale. Tutti sono bravi ad insegnare con allievi motivati, cognivamente dotati eccc…. Non è qui che viene fuori il “mestiere” (i “miei” 3 ingredienti, la capacità di interazione, il considerare l’allievo una “persona” e non un “utente” eccc), almeno per gli aspetti più evidenti (segue/non segue; fa i compiti/non fa i compiti; ottiene buoni voti/non ottiene …). Cosa realmente impari, non si sa (ad esempio: come la mettiamo con la “conoscenza inerte? sono apprendimenti profondi o superficiali? produttivi o riproduttivi? cosa sa fare con le “conoscenze” oltre a ripeterle/rigurgitarle? Il mestiere dell’insegnante, è un mestiere con tutto il suo spessore di competenza. Uno non può svegliarsi una mattina e, perchè non trova altro da fare, in attesa di ,meglio , …., va ad insegnare. I problemi non nascono solo quando l’allievo non segue o prende buoni voti; i problemi sono tanti ed è necessario attrezzarsi. Ho trovato un bell’intervento di Charmet sui problemi di apprendimento visti come “morte del futuro”. Non è un lavoro mio, non lo si trova on-line …come faccio a condividerlo?

  12. Ohhhhh! Gianni, finalmente! Allora, in fondo, stiamo dicendo le stesse cose, mi sembra. Quando affermo che mi chiedo il perchè della svogliatezza, che occorre decentrarsi da sè e giungere a parlare lo stesso linguaggio dell’apprendente…tutto ciò porta, come passaggio successivo, a quello di trovare i mezzi per accendre quella fiammella che si chiama “motivazione”. Se non si trova il modo di instaurarla non si và da nessuna parte, su questo siamo d’accordo, no? L’insegnare non è per tutti, siamo d’accordo anche su questo. Bene!
    Ahi, ahi, Gianni! Cosa mi tiri fuori adesso: il discorso della conoscenza inerte un bel punto di discussione.
    Prima puntualizzami, però e per favore, cosa intendi precisamente con “conoscenza inerte” giusto per avere la consapevolezza che stiamo intendendo lo stesso concetto.
    A presto:))

  13. Annarita, sul “come accendere la fiammella” stiamo realizzando un progettino con Jonassen allo scopo di mettere a punto delle applicazioni di alcune learning strategies per l’apprendimento significativo nel mondo della FP. Relazionerò quando avremo qualcosa. Sto approntando il portale del progetto.
    Per la “conoscenza inerte”, io aderisco in toto alle definizioni “ufficiali” che se ne danno. Sul tema ho fatto un post lo scorso dicembre. Se vai nelle “etichette” di questo blog, verso la fine, trovi quella che fa al caso nostro e da qui al post.
    Chiarito significante e significato, potremo continuare la conversazione tanto che si concordi, quanto no.
    Grazie ancora per condividere il tuo pensiero.
    Gianni

  14. Ciao Gianni,
    vedo che la discussione si amplia.
    Tu giustamente dici che i problemi non nascono solo quando l’allievo non segue o prende buoni voti…
    Al di là del problema, fondamentale, dello suscitare motivazioni, poni la domanda: cosa realmente l’alunno impara? apprendimenti profondi o superficiali?
    Un apprendimento non superficiale, dovrebbe portare all’acquisizione di quelle che sono le competenze, quindi il saper utilizzare conoscenze e abilità specifiche, nella vita.
    Un apprendimento “attivo”, nel quale cioè l’alunno è protagonista dei suoi stessi apprendimenti, la ricerca-scoperta… penso favorisca lo sviluppo delle competenze.
    Ma credo anche che l’interiorizzazione, la “metabolizzazione” di quanto appreso avvenga per gradi. L’acquisizione di conoscenze e abilità, ai diversi livelli di scuola, credo sia importante. Via via che lo studente si trova a ripercorrere tematiche già affrontate acquisterà sempre maggiore consapevolezza. quindi, competenza. Naturalmente sta al docente saper sviluppare consapevolezze e padronanze….
    Ora vado a cercare il tuo post sulla “conoscenza inerte” ….!

  15. Gianni, scusami, ma ho spostato la discussione nel tag “conoscenza inerte”, perchè dopo aver letto il tuo post…mi sono ritrovata a rispondere lì…e scusami ancora…ho lasciato un contributo fiume sul significato di comprensione profonda, che investe i temi che tu proponi: “…ad esempio: come la mettiamo con la conoscenza inerte? sono apprendimenti profondi o superficiali? produttivi o riproduttivi?”

    Ci spostiamo di là, allora.

    Ah! Mi prenoto per il materiale sulle learning strategies, quando sarà pronto, eh!
    Ciao:)

  16. Giovanna, credo che la qualità dell’apprendimento non sia una questione di gradi e di ripetizione: è correlata alla strategia didattica adottata. Beninteso, il tutto riferito alla abilità cognitive della persona

    Annarita, va bene proseguire su “conoscenza inerte”. Dove scrivete e se posso dire anch’io qualcosa lo dirò, indipendentemente dal luogo. Letto il tuo contributo. Passo nell’altra stanza per dire la mia
    Grazie ad entrambe

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