Una delle ragioni che mi ha portato ad alla disquisizione sul “novizi ed esperti” è l’interessante riflessione che i due Dreyfus fanno a proposito delle implicazioni che il modello di acquisizione di competenze ha nell’uso didattico delle tecnologie.
Il novizio ha bisogno di apprendere informazioni e regole,deve fissare le regole nella propria memoria. Didatticamente, deve essere assistito tramite esercitazioni guidate, deve essere messo a contato con casi semplici e semplificati. Queste funzioni possono essere svolte, facilmente ed anche in modo attraente, dal computer (quando viene usato come un tutor o un istruttore – drill sergeant, dicono i Dreyfus).
Continuare ad usare il pc in questo modo si terrà, sempre, il novizio allo stadio iniziale del percorso di sviluppo in quanto non si potranno “insegnare” regole più complesse e ni si potrà consentire lo sviluppo del repertorio di comportamenti “naturali” tipici della prestazione intuitiva e, perciò, esperta. I due affermano che anche gli approcci costruttivisti tipici del lavoro di Papert ed altri non consentono, comunque, di andare oltre il livello iniziale. Anche i lavori sull’intelligenza artificiale (AI) non hanno portato alcun contributo all’uso del PC nell’apprendimento oltre il livello iniziale. La loro conclusione è che tutti i modelli di didattica con il PC basati sul modello della mente come un computer hanno fallito nel formare l’esperto.
E mettono in guardia dall’avere eccessive aspettativa dalla didattica con il computer.
Orbene, questo lavoro dei Dreyfus è stato pubblicato 10 anni fa (conseguentemente il loro riferimento è la ricerca di qualche anno prima) e di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia e tutta l’area della ricerca cognitiva, della psicologia dell’apprendimento (con l’introduzione della dimensione sociale – distribuita – della cognizione) ha offerto nuovi paradigmi didattici in cui il computer e la rete possono svolgere un ruolo importante.
A mio avviso, il loro pessimismo può essere superato alla condizione di adottare un approccio all’uso didattico del pc per cui lo stesso non venga usato come un .. sergente addestratore.
Una riflessione conclusiva: perché nonostante la copiosa ricerca (ed i fallimenti che sono sotto gli occhi di tutti) che mette in guardia da usi didatticamente “inutili” del pc, ancora si continuano a fare quegli usi? Perché le istituzioni non solo li sostengono ma, anche, li promuovono? Perchè, ad esempio, come modello di innovazione a scuola si presentano i “contenuti digitali” (vedi il recente multimionario programma ministeriale “Innovascuola”)?
Ciao Gianni,
sono perfettamente d’accordo con te. Mi pare che anche in questo caso non si possa dire che la tecnologia sia in grado di sostituire l’uomo, ma non si può negare che i nostri nativi digitali conoscano il linguaggio informatico ancor prima di quello scritto e (riportando quanto già evidenziato in http://tutoronlinequalificati.wordpress.com/ dove stiamo affrontando una vivace discussione per trovare la giusta connessione tra reale e virtuale, tra tecnologia e fattore umano) “per loro la rete è il primo passo, è la Bibbia, il mezzo che permette di ottenere tutto col minimo sforzo. Così comprano, vendono, leggono, traducono, riassumono… hanno imparato a digitare prima di riuscire a tenere in mano la penna, a registrare prima ancora che a prendere appunti, ad ascoltare prima che a leggere … molto meglio usare l’i-pod, leggero, maneggevole, poco ingombrante, e scaricare podcoast istruttivi, e-book, musica, giochi, immagini, da ascoltare, vedere, fare, mentre si è a scuola, con amici, in metropolitana…”.
Tu chiedi come mai si vada avanti con i contenuti digitali, che non darebbero i risultati auspicati. Secondo me è comunque la via da seguire, nonostante tutto: solo un linguaggio comune potrà permetterci di entrare nelle loro corde ed essere più efficaci nel processo di insegnamento/apprendimento. Certo la cosa costerà fatica a molti “emigranti digitali” (v. Gianpiero Lotito nel suo ultimo libro), ma alla fine potremo trarne il vantaggio di non essere tagliati fuori da un mondo che ormai parla una lingua pressoché sconosciuta
Accidenti, detto fatto: sono risultata anonima e non volevo!
Qui urge una full immersion da parte nostra; e tu avanzi l’ipotesi che i contenuti non siano indispensabili? Per noi “analogici” lo sono senz’altro, purtroppo!
Ciao
Rosamaria Guido
Rosamaria, grazie per la tua riflessione. Sui “contenuti” che diventino veicolati su supporto “digitale”. Sono tante le opportunità che si aprono, prevalentemente di ordine organizzativo ed economico. Quello che sostengo è che il passare dal supporto analogico a quello di gitale non costituisce una innovazione didattica (semmai organizzativa). La vera (per me) innovazione è quella che si ha quando si abbandona la didattica focalizzata sui, determinata e calatizzata dai contenuti e ci si ri-centra sull’apprendimento. Trovo, quindi, fuorviante continuare a parlare di contenuti, seppur digitali e conrabbandare questi come innovazione.
Capisco gli interessi (economici) degli editori ma quelli della scuola e, soprattutto, degli studenti, sono altri. Cioè, imparare di più e meglio. Ed in questo, i contenuti digitali centrano come il cavolo a merenda.
Bene, Gianni,
ti ringrazio del chiarimento.
Sono d’accordo con te, ma, a questo punto credo che solo una classe insegnante rinnovata possa garantire il successo da te auspicato. Ti pare che gli attuali metodi di arruolamento siano capaci di migliorare il servizio scolastico e che i dirigenti sappiano sempre apprezzare i docenti desiderosi di applicare i metodi di cui tu evidenzi la efficacia?