Ritorno sull’argomento stimolato da un lungo articolo apparso su Punto Informatico con titolo “Scuola, quando il digitale è economia“. Il tema viene rilanciato dall’articolo 15 della recente legge 133/2008 , l’ultima finanziaria che apre il mercato dei contenuti digitali. Intervistati due editori e, logicamente, si fa l’apologia dei contenuti digitali come innovazione. Come sempre succede, si vuole dare un colpo alla botte ed uno al cerchio e si afferma che il sistema migliore è quello misto: carta e digitale.
Nella discussione allegata all’articolo ho postato questo mio commento:
Non lo è se si pensa all’innovazione vera, quella della didattica. Per fare questo ci vuole ben altro che non sostituire la carta stampata con file digitali. I contenuti digitalizzati possono, tutt’al più costituire una innovazione organizzativo/logistica e contribuire alla (pregevole) diminuzione dei costi della frequenza scolastica.
Ritornando alla vera innovazione: se un in segnante è un mediocre insegnante con un libro di stampato, rimane tale con un libro di testo digitalizzato.
Tecnologie coma “cavallo di Troia” ? Non è vero. Tecnologie o no, i modelli didattici non cambiano in automatico. La problematica del cambiamento concettuale va affrontata di petto e con adeguate strategie didattiche. La questione ritorna, quindi, ad essere la competenza e la formazione degli insegnanti.
Altra questione è “libro di testo si – libro di testo no”. Si afferma, giustamente, che un bravo insegnante non ha bisogno di un libro di testo perché se lo costruisce da se scegliendo i “pezzi” di contenuto sulla base della strategia didattica che vuole implementare. In questa prospettiva i contenuti digitalizzati, spezzettabili in unità (no al Learning Object, si, caso mai, al Instructional Object) potrebbero essere più utili di monolitico libro di testo. Ma per poterli usare sapientemente, ci vuole un pensiero didattico ben differente da quello oggi dominante. Quindi, il problema non è la tecnologia ma il pensiero. E far passare i contenuti digitalizzati come “innovazione” significa fare contrabbando o spaccio di innovazione.
Gianni,
parole sante!
Come si tocca con mano tutti i gg che non sono le tecnologie, il digitale a fare i miracoli!
Piuttosto… quando il digitale è “buoni affari per gli editori”. Come Garamond….
ciao,
g
Giovanna, felice di risentirti.
Circa il fare affari, non credo che ci sia nulla da scandalizzarsi se il buon e ottimo Quadrino cerca di campare sui contenuti digitali e si rallegra per l’articolo 15 (anche se ne approfitteranno di più gli squali dell’editoria, non un piccolo pesce fuori dal branco come lui). vorrei, solo, un po’ di onestà culturale in più
Dici giusto Gianni.
E’ che il Quadrino-Garamond mi sta….
vabbé….. 🙂
Riporto il mio post…Ciao Gianni!
Molto interessante la riflessione di Gianni Marconato riguardo le innovazioni in ambito didattico.
A tal proposito sto quasi per concludere la mia tesi proprio su questa tematica.
La questione è molto complessa ed in più viene spesso svilita e banalizzata da semplici rattoppi.
Innovazione tecnologica è, per dirla alla Gheradi:
La tecnologia non può fornire soluzioni “chiavi in mano” ai problemi ed ai processi di apprendimento…
…Se vogliamo dunque definire una riforma come uno strumento (o un artefatto) e comprenderla nel suo contesto d’uso e non dal punto di vista di chi l’ha progettata, questo comporta interrogarsi su come è cambiata la visione del mondo di chi la usa e su quale sia il sistema di credenze di chi l’ha posta in atto in contesti locali di applicazione
Non è possibile “spacciare” l’innovazione con della “semplice” tecnologia
Il problema è che quando i giornalisti (ma anche il ministro, la maggior parte degli editori, le associazioni consumatori e pure molti insegnanti) ragliano di testi digitali parlano di testi tradizionali su supporto digitale. E non si rendono conto che la struttura dei contenuti è tutta da reinventare, ed è solo liquefacendola che si può pensare davvero di fare innovazione.
I nuovi testi digitali dovrebbero nascere all’interno della scuola stessa, dalla sperimentazione e dal lavoro congiunto insegnanti-editore. Questo vorremmo arrivare a fare.
E “testi digitali” diventerebbe una definizione decisamente riduttiva.
Gianni, sono perfettamente d’accordo circa la tua richiesta di “onestà intellettuale” e quoto la tua affermazione:” Quindi, il problema non è la tecnologia ma il pensiero”.
Il punto è tutto qui. L’innovazione e quindi una vera riforma sta nel pensiero, nel suo cambiamento, nell’approccio alla complessità. In questo Morin insegna che il pensiero complesso è alla base di una riforma dell’insegnamento e dell’educazione. Non si può veramente credere di poter cambiare lo stato delle cose senza puntare ad una riorganizzazione dei saperi per cercare di dare unitarietà a ciò che è disgiunto e frazionato. Lo stato attuale dei saperi non aiuta ad affrontare i problemi complessi che la società pone.
In tale visione delle cose,innovazione = contenuti digitali è un’equazione che non regge. Occorre più che mai puntare sulla formazione “vera” degli insegnanti ed è necessario che questi abbiano voglia di mettersi in gioco.
Intanto, l’articolo 15 della legge 133/08 incombe e personalmente temo che si risolva tutto in un’ennesima, grandissima confusione…
Mi auguro fortemente di sbagliarmi.