E’ da tempo che seguo le imprese di Antonio Saccoccio, insegnante net-futurista anche attraverso il suo pregevole blog Liberi dalla Forma. E mi sono deciso di farlo “oggetto” di un post dopo un suo commento al mio “apprendimento poliziesco”
Con un linguaggio marinettiano e senza alcuna inflessione tardo-fascista (anch’io credo che il futurismo sia stato ingiustamente marchiato di braccio culturale del ventennio), Antonio mette sotto la lente della sua analisi accurata e disincantata il mondo della scuola e dell’insegnamento.
In ogni suo post – veloce, elettrico – mette a nudo le debolezze, le ipocrisie, le connivenze, la pavidità di tanti operatori che tengono in piedi (si fa per dire) la scuola italiana.
Ed il gioco non gli è difficile: basta frequantare la scuola (lui è un insegnante, non un esegeta esterno) ed i motivi per andare all’attacco non mancano.
Dicevo del suo commento in cui parla di crisi della scuola, di insegnamento che non è mai stato di buon livello, di metodologie didattiche inaccettabili.
…. Il problema è che la scuola stava entrando in crisi anche prima della rivoluzione neotecnologica (anzi, per me l’insegnamento non è mai stato di buon livello). I nuovi media non hanno fatto altro che accelerare la crisi. Ora certe metodologie davvero sono inaccettabili agli occhi di chiunque abbia un minimo di senso critico.
Credo davvero che, come dice Saccoccio, un merito lo possiamo certamente attribuire alle neo-tecnologie, quello di aver portato ad un livello abbastanza diffuso l’attenzione sulla tematica dell’apprendimento, della sua bassa qualità conseguente alla bassa qualità media dell’insegnamento.
Anche se un prezzo lo abbiamo dovuto pagare, ed ancora lo stiamo pagando, quello dell’ulteriore mistificazione della portata degli strumenti e la conseguente banalizzazione dell’apprendimento e dell’insegnamento: per essere un bravo insegnante non serve che diventi bravo davvero, basta che usi le tecnologie, basta che usi la LIM e, magari, adotti un e-book.
Non serve essere innovativi: basta dirlo.
[…] Fonte: Apprendere (con e senza le tecnologie) » Antonio Saccoccio e la … […]
[…] e travolge, è bastato un attimo, un’occhiatina e inciampo in un post di Gianni Marconato, Antonio Saccoccio e la crisi dell’apprendimento. Non mi resta che leggere, un po’ perché da qualche tempo Gianni è entrato prepotentemente […]
Il problema è che davvero noi insegnanti abbiamo passato troppo tempo a non mettere in discussione nulla.
E ora ci sta franando tutto addosso. In modo rapidissimo e forse irrecuperabile. Complice l’accelerazione ulteriore che hanno dato i nuovi media.
Io stesso nei miei primi anni di insegnamento tendevo a replicare stili educativi dati per buoni. Che erano poi quelli che avevo “subito” da studente. Trasmissivismo e contenutismo.
Poi piano piano ho iniziato a pormi domande. Mi chiedevo, e mi chiedo, soprattutto: “Perchè alcuni ragazzi brillanti si annoiano durante le mie lezioni? Eppure non sono certo uno che fa dormire io quando parlo!”
Insomma, ho iniziato a mettermi in discussione, a darmi risposte e a provare nuove strade.
Ora non so a che punto sono arrivato, ma so che qualche cosa gradualmente la sto capendo.
Bisogna avere il coraggio di osare e di dire “forse non sono così bravo ad insegnare, forse posso fare meglio, forse non è questo il modo giusto”.
Il coraggio, ogni tanto, di chiudere quel libro di latino e provare a fare qualcos’altro, qualcosa che magari sia semplicemente “interessante” per gli studenti.
Ma tutto è semplicistico. Tutto è appena agli inizi.
Abbiamo lasciato passare decenni senza una riflessione seria sull’insegnamento e l’apprendimento.
Ora siamo ad un bivio: o ci fermiamo a riflettere o la scuola deve chiudere.
Io sto riflettendo, perchè le scuole – almeno per ora – credo che debbano ancora restare aperte.
O forse la scuola come l’abbiamo concepita finora ha fatto davvero il suo tempo?
Anche questo è un interrogativo – forse estremo – ma che sento il dovere di condividere.
Grazie davvero per il post e per le belle parole. 🙂
E grazie per le tue riflessioni sempre coraggiose e prive di quell’ipocrisia che – ahimè! – è abituale quando si parla di scuola in Italia.
un saluto e a presto!
Antonio