Ritorno ancora sulla questione degli e-book, o libri digitali o libri informatici come qualcuno li vorrebbe chiamare. Mi capita di parlarne frequentemente in questo periodo.
Una cosa mi pare certa: il digitale, anche nel “libro” sfonderà. Tempi e metodi non li so prevedere. Non faccio l’indovino anche se più di qualche volta mi piacerebbe avere capacità divinatorie.
Dico questo per due motivi:
- il digitale, in quanto tale, non è una bufala; sta prendendo piede praticamente in tutti gli aspetti dell’agire umano; in alcuni più velocemente, in altri con più prudenza; in alcuni con soluzioni azzeccate e già mature, in altri con approcci approssimativi e tutti in divenire. Non si torna in dietro. Lo stesso avverrà anche per le forme di organizzazione strutturata dei contenuti per il semplice motivo che non vedo ragioni per cui ciò non accada,
- la scuola si sta sempre più orientando ad avere il pc collegato alla rete (“batteria” lanciatore – ricevitore, come nel baseball, che è quasi un corpo unico) tra i suoi strumenti abituali e la strada di un pc per ogni studente è già segnata. Solo questione di tempi, come è questioni di tempi la diffusione di modi sensati di fare didattica anche con le tecnologie. In una scuola sempre più digitalizzata si useranno sempre di più oggetti didattici digitali anche per il banale motivo che una pagina scritta non la si può infilare in un pc o nella rete.
Nel parlare di editoria (scolastica) digitale ognuno ci metta pur l’enfasi che vuole. Quello che mi preoccupa è l’effetto araba fenice; ma il tempo è galantuomo e tutto assumerà il suo giusto valore.
Chiarito questo (trovo ozioso il dibattito se il libro stampato sparirà ucciso da quello digitale; i pittori non sono scomparsi con l’avvento della fotografia come gli operai edili non sono scamparsi con l’avvento delle scavatrici), resta da ragionare su come debbano essere i libri digitali perchè si conquistino un loro spazio proprio.
Tra Facebook e blog tempo fa era rimbalzata una discussione sull’identità delle-book con una ricca discussione tra Leonetti, Zibordi, Tavella, Quadrino ed altri. La questione era su come il “libro digitale” avrebbe dovuto essere per avere uno suo spazio preciso, una sua caratteristica distintiva per cui non scimmiottasse il libro stampato e non contesse come sola affordance quella di attivare l’irrestibile corsa a stamparlo.
In questa disputa si è recentemente inserita Noa Carpignano con suggestioni che non sottovaluteri. Noa provocatoriamente afferma che i libri digitali non esitono. Non ancora.
Non esistono perchè, sempre a suo dire,
… i vantaggi che può offrire un testo digitale VERO vanno ben oltre le questioni di peso e di costo sulle quali si arenano i media. Se un testo digitale, infatti, si limita a essere il classico testo distillato in un pdf …… abbiamo un testo che risolve dei problemi (peso e costo) per crearne degli altri (stampa casalinga e gestione dei fogli in classe), ma che, soprattutto, abdica a se stesso. Un testo digitale deve essere progettato come tale, la sua struttura diversamente articolata e, soprattutto, deve essere liquido.
Ecco il punto: liquido. A parte la riminescenza neanche tanto velata del buon Bauman ( e dei suoi emuli alla polenta e salsicce che hanno appicicato il liquido a tutto tranne che all’acqua, tipo scuola liquida), credo che l’idea della de-strutturazione, della non strutturazione, dell’aperrtura, della non chiusura, del non completo, del mai completo, del sempre diverso, del mai uguale a se stesso, possa essere una buona prospettiva. Come implementarla è un’altra storia.
Quanto già vediamo, con Google, Wikipedia, 2.0, user-generated content sono segnali, se pur deboli, da non sottovalutare.
Ma qui stiamo già in un discorso per palati fini. E tanti giovani editori indipendenti, meno appesantiti dalla “tradizione” credo siano in posizione privilegiata per innovare davvero il rapporto tra ( nuova) educazione e supporti didattici.
Ho appena scritto quel che penso in http://www.pavonerisorse.it/pstd/adoz.htm
Marco Guastavigna
Credo che il problema non sia solo nell’oggetto che chi determina il mercato tenterà di imporre. E’ vero che ci sono tanti piccoli editori, editori indipendenti, che possono lanciare la sfida, ma è necessario che ci siano autori capaci di elaborare materiali digitali aperti, de-strutturati, e soprattutto lettori in grado di interpretare e a loro volta ri-strutturare, comporre e decomporre l’oggetto digitale. Sicuramente il tempo darà ragione al digitale e a parte la discussione, peraltro inutile, sui nativi e i migranti, in un futuro, sempre più presente, sapremo governare e saremo costretti a governare il digitale. Nel senso operativo saremo presto capaci di usare la tecnologia, non è poi così difficile, se come dicono recenti indagini gli over settantenni iniziano a popolare i social network e addirittura i mondi virtuali. Qualche dubbio in più mi viene sulla velocità con la quale riusciremo a deterritorializzare le conoscenze, i contenuti, i concetti per riterrittorializzare e territorializzare nuovi significati, costruendo nuovi concetti. Ebbene,il nocciolo del problema è questo, e sta tutto nel mondo della formazione, e per formazione intendo quella dei luoghi formali, scuole e università che non mi sembra siano sulla giusta strada. E sarà così finché i governi si preoccuperanno solo di banche, automobili, produzione e consumo, e non di investire seriamente nella formazione e nell’innovazione. Dunque, non avendo arti divinatorie, il libro, hai ragione, non sarà sostituito dall’e-book, così come la fotografia non ha sostituito la pittura, ma di certo gli e-book non saranno quello vorremmo.
“è necessario che ci siano autori capaci di elaborare materiali digitali aperti, de-strutturati, e soprattutto lettori in grado di interpretare e a loro volta ri-strutturare, comporre e decomporre l’oggetto digitale.”
Pierluigi, hai centrato il problema.
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