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Ogni tanto provo a fare un reset delle mie idee su questioni che reputo importanti per ricostruire alcuni significati di concetti che rischiano di essere usati in modo automatico: spero, in questo modo, di arricchire concetti e pratiche.

Uno dei reset più recenti ha riguardato il senso “primo” dell’insegnamento cercando di districarmi tra le innumervoli opzioni di risposta (che anch’io mi sono dato).

L’ho fatto tempo fa preparando un intervento formativo e mi sono riletto per l’occasione alcuni passaggi presenti nei miei “classici” come Piaget,  Bruner, Schank, Jonassen, Spiro, Bereiter……. Ho, presto, imboccato la prospettiva cognitivista contemporanea (la mente non come trattamento di informazioni ma come attiva costruzione di significato in una dimensione sociale) ed ho realizzato che lo “strumento” umano più difficile da usare è il pensiero finalizzando allo scopo di capire i fatti che accandono attorno a  noi, gli oggetti con cui abbiamo a  che fare (problemi – nella vita reale – , contenuti – a scuola).

Troppo spesso ci limitiamo a rapporti (cognitivi) banali con le cose, semplifichiamo, stiamo in superficie, ricordiamo (distrattamente) e ripetiamo (meccanicamente), “ragioniamo” a compartimenti stagni e non siamo capaci di trasferire una cosa che abbiamo imparato in un contesto in uno diverso, ci fidiamo più di una teoria  (altrui) che di una (nostra) esperienza, siamo capaci – nel migliore dei casi, di pensiero duale (buono vs. cattivo – destra vs. sinistra, bene vs. male) e rifuggiamo dal pensiero plurale  . Limitiamo, in buona sostanza, le nostre possibilità e le nostre capacità intellettuali. Mortifichiamo  il nostro pensiero e soffochiamo la nostra autonomia e la nostra libertà.

Se è così difficile “capire”, se abbiamo così poco coraggio per voler capire, la scuola qualche responsabilità ce la dovrà pur avere. O no?

La scuola, e per essa l’insegnante, può andare oltre il memorizzare ed il ripetere? (non mi si venga a dire che oramai nessun insegnante lavora per questi obiettivi; che tutti gli insegnanti sono oramai posizionati su didattiche “contemporanee”. Distinguiamo, per favore, ciò che vorremo fare da quello che effettivamente facciamo).

Si apre, a  questo punto, la questione di come si “insegni”  per allenare le persone a pensare ed a capire.

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Ciò che mi ha dato più soddisfazione in tutto questo mio “pensare” è stata la sensazione di aver acquisto un più alto livello di comprensione di cosa significhi veramente “capire” tanto da avere la sensazione di non averlo mai, capito in precedenza!!!! Piccole soddisfazioni

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Un pensiero su “Insegnare è aiutare le persone a pensare ed a capire”
  1. E un maestro disse:
    Parlaci dell’Insegnamento.

    E lui disse:
    Nessuno può insegnarvi nulla
    se non ciò che già sonnecchia nell’albeggiare della vostra conoscenza.

    Kahlil Gibran

    Poni l’ardua questione di come si “insegni” per allenare le persone a pensare ed a capire…

    Eliminando, per cominciare, le montagne di nozioni trasmesse linearmente agli allievi. Montagne di nozioni che tendono a coprire piuttosto che scoprire, sino a soffocarla, l’innata e vivace curiosità dei ragazzi.

    Focalizzando l’educazione su valori universali quali il Bello, il Vero, il Giusto. Instillando l’amore per questi ideali, si sfronda tutto ciò che è zavorra, e si tende a obiettivi di apprendimento elevati perché si stimola la naturale tendenza dei giovani a trovare risposte sulla realtà e sul mondo. Questo stimolo li aiuta ad avvicinarsi alle soglie della conoscenza quella che conta…a capire….

    Come mettere in atto tutto cio? Ebbene ogni educatore deve trovare le risposte dentro di sé e soprattutto non ci sono corsi di formazione che possano insegnare a farlo…o almeno io non ne ho conosciuti.

    Penso che insegnare non sia per tutti.

    Troppo idealista? Non saprei, ma questo è ciò in cui credo….

    Bel post, Gianni, come sempre.

    Ciao.
    annarita

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