Eugenio “esposto” al PC fin dalla più tenera età
I miei dubbi sull’esistenza dei “nativi digitali” l’ho espressa più volte anche in questo blog giungendo alla conclusione (vedi anche il paper pubblicato nel post precedente) che se proprio vogliamo usare questa espressione, la dobbiamo prendere alla leggera e, in senso lato, per identificare lo studente d’oggi alle prese con la scuola del passato (non possiamo certamente definire” contemporanea” la scuola che questi studenti frequentano). Nulla, quindi, di correlato al “digitale” in senso stretto in quanto questi “nativi” sono portatori di tematiche che hanno radici ben più profonde di quelle del digitale e non sempre correlata alla “questione digitale” che è solo una di quelle tematiche.
Voglio qui portare un’esperienza vissuta su come apprende un ragazzo d’oggi, su come questo affronta “compiti di apprendimento” e sui risultati che ottiene.
Qui di seguito racconto di Eugenio (che di cognome fa Marconato avendo come padre il sottoscritto), 17 anni e mezzo, IV liceo scientifico, alle prese con una sua recente fatica.
Eu, che bazzzica dalle parti del PC fin da piccino, passa ore e ore a “lavorare” con il computer. Cazzeggia, gioca, intreagisce, scarica (di tutto, di più), sperimenta, sfascia hardware e software, importa i virus più impensati (tanto che, dopo avermi rovinato non poche ore del mio lavoro, da qualche anno abbiamo di HD separati)….. Ma Eu è anche curioso ed un tantino – troppo – audace e si butta in imprese al limite dell’impossibile, date le sue conoscenze informatiche. Eu è, anche, caparbio e vuole, a tutti i costi, venire a capo dei misteri dell’informatica e non si rassegna a darla vinta al computer.
Tra i suoi libri vedo anche qualche testo di informatica e non solo del genere “divulgativo”. Immagino li legga e non guardi solo le figure….
Eu è spesso interpellato dai suoi amici per risolvere loro problemi con l’informatica, per aprire porte chiuse, per risparmiare qualche liretta, per avere dritte su dove trovare in rete quel programmino che …., per fare buoni acquisti. E, per questo, più di qualche pizza non gli è costata nulla. Non so se questa sua abilità sia apprezzata anche da qualche amichetta …..
Da quache mese Eu mi stava stressando perchè, a suo dire, era ora che cambiassimo il PC “ufficiale” (quello che troneggia sulla scrivania di quello che una volta era mio studio e che ora è “mio” solo quando il genio lo lascia libero). Troppo vecchio, poco performante, con componenti di bassa qualità, frutto di una truffa perpetrata ai miei danni dal computeraio (così lui lo chiama) di fiducia.
Da mesi Eu divora riviste d’informatica; prende appunti, dimora in pianta stabile nei siti dei venditori online di materiali informatici, frequenta forum, legge, domanda….. E compila tabelle di confronto.
Finalmente, pochi giorni fa, mi presenta il suo “progetto” per il nuovo PC: componenti, prestazioni, prezzi, venditori ….;
Eu vuole che io acquisi tutti quei pezzi e vuole essere lui ad assemblarli. La mia prima risposta è un no. Sonoro. Deciso. Inappellabile.
Fino a quel giorno avevo attribuito al giovine notevoli competenze nello smontaggio, nello sfasciare anche pregiati elettronici pezzi di casa, nel “bruciare” componenti per errati collegamenti all’alimentatore….e la mia perplessita era più che giustificata.
Ma lui si dchiara convinto di farcela e mi passa tutta una serie di informazioni su come ha fatto ad arrivare alla proposta che mi lasciano a bocca aperta e che mi fanno intravedere un’esile possibilità che ce la possa fare.
Acconsento alla richiesta non prima di aver stipultato con lui un “contratto” che prevede, in caso di insuccesso, il rimborso di 500 (degli 800) euro presi dai suoi risparmi (= miei finanziamenti).
Fase 1: ordinativo. Mi vuole al suo fianco e, pezzo per pezzo e a supporto della sua (argomentata e consapevole) scelta, mi fa vedere le differenti opzioni in termini di tipologia del prodotto, prestazioni, consumi, prezzo, venditore considerato… . mi fa leggere pareri desunti da vari forum di smenettatori… mi parla, anche, della compatibilità dei componenti, dei “colli di bottiglia” che si potrebbero creare, dell’importanza di un buon alimentatore, di un case ben ventilato .. Considerato che ha deciso di fare le comprere presso tre differenti fornitori e che paghiamo (pago) con carta di credito, mi fa vedere di aver controllato anche l’affidabilità degli stessi girando tra più comminty di utenti. Suggerisce, infine, di pagare attraverso PayPal come forma di sicurezzza aggiuntiva.
Fase 2: Montaggio. Qui vuol fare tutto da solo e mi tiene a debita distanza. Si accorda con un amico che ha lavorato qualche mese da un computeraio per un aiuto ma per un contrattempo, si decide a fare il lavoro da solo. Il salone di casa disseminato di imballaggi, di viti. di cavi, di fogli delle istruzioni … e lui a trafficare eccitato attrorno alla scatola nera che un po’ alla volta si riempie di pezzi, di cavi …. Tra imprecazioni irriferibili, esclamazioni di compiacimento, urla di gioia, consultazione delle istruzioni, di community online .. un andirivieni continuo tra risorse online e su carta.
Poi il fatidico momento del collegamento del tutto alla presa di corrente e il marchingeno testè assemblato … si accende ( e, con mio momentaneo sollievo, non sento odore di bruciato, non vedo vedo fumo uscire ..) e sembra funzionare. Caricato il programma operativo (rigorosamnte free anche se non open source), si testa il funzionamento. Qualcosa non va .. il cassettino del HD (HD separati, of course) non viene “visto” dal sistema … Riparte il rosario di imprecazioni … consultazioni affannose di carta, web, carta, web … dopo la mezzanotte, un Eu raggiante e visibilmente soddisfatto, annuncia che tutto funziona ….
E io sono qui a scrivere questo post dal nuovo pc.
Oltre la cronaca, cos’altro ci dice questa storia? Proviamo a leggerla in termi di compiti di apprendimento.
Io, ad Eu, ho insegnato nella notte dei tempi ad accendere il pc, a scrivere qualche parola in word, ad entrare in internet ….. per il resto ha imparato tutto da solo.
Ha imparato:
- perchè interessato al tema
- risolvendo problemi propri e di altri amici
- per rimediare ai propri errori
- identificando le proprie carenze e le tematiche da approfondire
- ricercando, valutando e selezionando risorse presenti nel suo ambiente (testi a stampa, sul web, …)
- domandando a chi ne sapeva di più
- facendosi carico del prorio apprendimento
Ha “studiato”:
- senza che nessuno gli chiedesse di farlo
- con impegno
- con determinazione
- responsabilmente
- leggendo libri
- prendendo appunti
- dedicandovi parecchio tempo
- approfondendo
- riflettendo
Eppure Eugenio, al pari di tanti suoi consimili, è considerato dalla scuola:
- uno che non studia e non sa studiare
- che quando studia, la fa il minimo necessario
- poco interessato ad imparare
- sbrigativo
- superficiale
- dedito solo all’azione
- poco o nulla riflessivo
- con la testa tra le nuvole
- uno a cui non interessa ottenere “risultati”
- immaturo
- incapace di assumersi responsabilità
- dedito solo al gioco
Ma, allora, perché Eugenio ha imparato? Eugenio, a dispetto delle diagnosi ufficiali, ha imparato perché:
- ha avuto un ruolo attivo
- ha potuto governare il processo
- ha usato quello che ha imparato
- ha avuto uno scopo chiaro per imparare
- ha potuto dare un significato a ciò che stava imparando
- il compito di apprendimento è stato per lui una “sfida
- mentre ha imparato, ha usato quello che stava imparato
- più imparava, più si sentiva “competente”
- imparando poteva affrontare compiti sempre più impegnativi
- le cose che lui imparava erano valorizzate anche dalla sua “comunità”
Se è, quindi, vero che Eu ha svolto in modo egregio un compito di apprendimento davvero impegnativo – e come lui tanti altri studenti portano quotidianamente a termine compiti altrettando impegnativi, non è vero che i giovani studenti non hanno voglia di studiare, che non hanno voglia di fare fatica, che rifuggono tutto ciò che è impegno …
Eugenio e i suoi simili
- non hanno voglia di studiare ciò che questa scuola impone loro di studiare;
- non vogliono fare fatica per far fronte a compiti di apprendimento per loro privi di senso;
- rifiutano un metodo di apprendimento in cui hanno un ruolo passivo …
Questo “rifiuto” non è, ne può essere, assoluto (se non in casi limite in cui questo disagio sfocia nell’abbandono materiale della scuola) perchè oramai questi “nativi digitali” hanno accettato l’idea che a scuola si deve andare e si deve essere promossi. Affrontano la scuola, e le sue richieste, con rassegnazione, senza entusiasmo … La scuola non è affar loro …. il loro obiettivo è sopravvivere alla scuola …..
Come è possibile, in queste condizioni, trovare lo spazio per l’adesione affettiva al compito? Per l’entusiasmo? Per l’impegno? Per la voglia di farcela? Impossibile. Umanamente impossibile ….
Quante volte EU, ed immagino molti suoi simili, torna a casa da scuola e sconsolato mi dice: “ma papà, come posso stare lì ore ed ora ad ascoltare? La prof parla .. parla … parla … si fa le domande e … si dà le risposte. Come posso non prendere sonno? Come posso non mettermi a parlare con il mio compagno di banco? Dimmi … come faccio?
Se, poi, ci si agiunge l’immagine sociale che ha ora il mestiere di insegnante, immagine che non sfugge – fino ad essere condivisa – dagli studenti che quegli insegnanti hanno tutti i giorni davanti (il suo giudizio sugli insegnanti: … omissis… ), trovo che i risultati che, comunque ed a dispetto di questa realtà, ottiene abbia del miracoloso … anche se sono “risultati” che intressano più la scuola ed i suoi insegnanti (quasi per una conferma del proprio valore), che non lui stesso…
In questo contesto pare, quindi, che il meccanismo che fa andare avanti la scuola e le dà una parvenza di istituzione funzionante (lezioni che si tengono, esami che si fanno, promozioni che si danno, …) sia quello del “potere” e non quello della “condivisione” (sto al gioco perchè il coltello dalla parte del manico ce l’hanno loro e non perchè ci credo); quello dell’ “ubbidienza” e non quello del “significato” (sto al gioco perché devo farlo e non perché per me abbia un senso).
Ma una scuola che deve usare le leve del potere e dell’ubbidienza per essere sè stessa, è una scuola che non ha e che non avrà alcuna possibilità di svolgere alcuna azione educativa, istruttiva, formativa.
E’ una scuola che è già fallita. E’ una scuola oramai scoppiata. Anche se non se n’è ancora accorta.
Non se ne è accorta perché invece di fare autocritica accusa gli studenti.
Invece di riconoscere la propria inadeguatezza (strutturale e didattica) accusa i propri utenti di non essere quelli che la scuola si aspetterebbe siano.
Non è che la scuola sia organizzata per uno studente che non esiste più?
Una scuola che vive nel proprio passato e del proprio passato.
Ho il sospetto che il “disagio” di tanti studenti che la scuola denuncia sia il segnale di questa rottura; una rottura avvenuta da tempo; una rottura che ha aperto due strade diverse e sempre più divergenti. La scuola da una parte e i suoi studenti dall’altra. Sporadici, casuali, poveri i momenti di incontro.
Prigionieri del quotidiano, presi dalla fatica del quotidiano, dalla necessità di dare, comunque, un senso a ciò che giorno per giorno facciamo, spesso in condizione disagiate, per dare qualcosa di dignitoso ai nostri studenti, corriamo il rischio di perdere il senso generale di quello che facciamo e non ci accorgiamo di stare in un’isoletta alla deriva negli oceani.
La vera emergenza educativa non è rappresentata dagli studenti che stanno sempre in internet, ma dalla scuola nel suo insieme che ha perso il suo contato con la realtà, che non la sa più leggere, che non sa più quali risposte dare dato che tutte quelli su cui si basava e che rappresentavono sicurezze e routine (lezioni, esercizi, interrogazioni, compiti ..) sono saltate e non sortiscono più alcun risultato, non impattano – se non in misura limitata – su ciò che gli studenti devono imparare.
Ritornando alla dimensione operativa che come operatori della scuola pratichiamo, non si tratta di cambiare metodi didattici ma di cambiare anche cosa si insegna a scuola. Diventa urgente domandarsi anche: cosa serve che i giovani sappiano per vivere il mondo di domani? Continuiamo con italiano, latino, storia, matematica, scienze ….? E, magari, ci domandiamo come insegnare in modo “nuovo” … “attraente” ….”coinvolgente” …. italiano, latino, storie, matematica, scienze … ? Non credo sia questa la strada ….
Post scriptum
Come trovo sorprendente che nonostante tutto congiuri a sfavore di un apprendimento autentico, i nostri ragazzi qualcosa riescono ad imparare, trovo altrettanto sorprendente che alcuni insegnanti – numerosi ma ancora pochi – riescano a trovare energie e motivazione per dare alla nostra scuola un minimo di decenza. A loro va tutto il mio affetto e la mia riconoscenza di cittadino e padre.
Mi trovo d’accordo con le tue parole.
A volte penso che bisogna cambiare la scuola, iniziando dalle materie insegnate, dalle ore d’insegnamento, dagli anni – oggi troppi e quasi senza senso. I giovani di oggi voglio apprendere per “adoperare” l’informazione, usarla, quantificarla, anche ma non solo, materialmente, vogliono sapere a cosa gli serve conoscere di Federico II, vogliono palparlo, vederlo, vogliono essere incuriositi…
A mio avviso, i tempi sono cambiati e la scuola, i programmi d’insegnamento sono ancora quelli usciti dalla rivoluzione industriale dell’800.
Questo non significa non debba esserci passione, attenzione, curiosità, non debba esserci anche conoscimento puro, ma la maggior parte dei ragazzi vive e vede la vita diversamente a come la viviamo noi, nati a metà del secolo passato, del secolo della vecchia Seicento Fiat.
Rino.
Una storia come questa parla da sola: parla di un grande successo, di una sfida (con se stessi) vinta, di un’appagazione infinita ,finanche viscerale, dei propri sforzi. Parla di un ragazzo che ha capacità da vendere, ma a cui la scuola attuale non solo va stretta, ma non va proprio.
Una storia come questa capita sempre più di frequente.
Purtroppo o per fortuna?
Entrambi.
Purtroppo, perché ormai è sotto gli occhi di tutti che la scuola attuale è fortemente scollata con il reale, che quello che viene insegnato è lontano dagli interessi dei ragazzi, tanto per contenuti, quanto per modalità e tempistica. E tutto ciò ha gravissime conseguenze, nel breve e nel lungo periodo: disinteresse, fallimenti ripetuti, disistima, abbandono scolastico e conseguente difficoltà all’impiego, frustrazione, cattivo rapporto col sapere, abbandono della curiosità, creazione di menti succubi e conformiste, mancato sviluppo di senso critico (e mi fermo qui solo perché ho promesso di essere più buona);
per fortuna storie come queste continuano ad accadere, segno che, se anche la scuola sta fallendo il compito di trasmettere/ costruire conoscenze, non ha, grazie al cielo, ancora distrutto del tutto la curiosità, lo spirito di iniziativa, il gusto della sfida, la voglia di conoscere di un adolescente.
Sempre più spesso i nostri ragazzi imparano fuori dall’aula quello che a loro piace e vivono la scuola non come un luogo di scambio e di interesse, ma come il luogo “dove si deve andare”, “dove si deve fare quello che dice Tizio”, “dove se prendi un 4 devi assolutamente recuperare con un 8 copiando meglio la prossima volta”.
Da madre, questo post mi ha fatto sorridere molto: immaginare Eugenio smanettare tra i mille pezzi, imprecare ma alla fine esultare di gioia, mi ha fatto per un po’ partecipe della sua grande soddisfazione; da docente, mi ha colpito nel vivo e mi ha spinto a riflettere ancora una volta su come dare senso alla scuola, su cosa insegnare, su come far sì che ragazzi come Eugenio si esprimano al meglio.
Un post da leggere e rileggere.
Indubbiamente.
Rino, Cristina. vi ringrazio per i vostri articolati commenti che colgono il tema che volevo portare all’attenzione di chi si occupa di scuola. Mi piacerebbe passare presto alla proposta….
Caro Gianni, il tuo bel racconto mi ha ispirato ..un intero post, nel quale, aiutandomi con qualche autorevole riferimento, provo a dare anche qualche risposta alla domanda che secondo emerge con maggiore urgenza dal tuo post: “cosa serve che i giovani sappiano per vivere il mondo di domani?”.
Grazie per l’ispirazione!!
Anto
Leggere le tue righe di vita mi riporta agli anni del liceo di mia figlia, ora studentessa universitaria al primo anno, mi richiama l’atteggiamento dei nipoti di cui uno alunno nella mia classe seconda Primaria e non fatico neppure a riconoscere me stessa mantre mi arrabbatto da sola nel web2 (che non ci capivo un emerita acca fino ad un anno fa esatto). E mi rendo conto che vado così d’accordo coi miei alunni perchè io come loro seguo il mio istinto e imparo ciò che mi piace, loro seguono me e di pari passo io seguo loro quando iniziano i loro “fili” creativi. Il programma? fatto di punti di riferimento che prendiamo e che abbandoniamo quando iniziamo a precorrere le strade dove ci porta il nostro interesse collettivo.
Lo so che per molti colleghi è destabilizzante e molti mi chiedono come fai a lavorare oosì?
Io so che ci stò bene e che la routine rassicurante dei programma mi terrorizza, voglio lasciare spazio ai miei alunni per seguire strade come quella stupenda che ha percorso Eu per l’assemblamento del computer… Sogno troppo se auspico per gli alunni che un giorno assemblino qualcosa sotto i miei occhi?
Grazie per gli spunti di riflessione come sempre assai “sollecitanti”
Rosalba
EU o chi per lui non sa fare sforzi né impegnarsi in ciò che non gli piace. Impegnarsi e fare sforzi in ciò che piace non richiede – in verità – né sforzo né impegno.
Una scuola che proponesse il contenuto – assemblare un pc – che piace ad Eu probabilmente darebbe la nausea a Pierina.
Che si fa? Una scuola per ogni Eu e per ogni Pierina?
Caro Gianni, come non potrei essere d’accordo?! Anzi, avrei voglia di aggiungere una postilla ‘universitaria’ al tuo racconto, ma ho rispetto dei tuoi lettori, e non intendo disgustarli. Il problema è che, almeno in ambito umanistico, almeno nell’Ateneo dove opero, almeno nelle facoltà e nei corsi di laurea in cui insegno mi capita di trovare soltanto i compagni di scuola ‘bravi’ di EU, quelli che non provano disagio sul piano personale ma sulla situazione oggettiva di disagio speculano, traendone vantaggi in termini di voti e titoli acquisiti con apprendimenti tanto rispettosi quanto inutili. E questo mi sembra oggi il problema più grosso, il riflesso pedagogico del berlusconismo imperante.
Ciao Paola P. forse è la prima volta che ti incrocio e mi viene un po’ impegnativo (= lungo)delineare il contesto del mio discorso. In questo post EUu è, evidentemente, solo un pretesto per parlare di scuola, di come a scuola si insegna, degli alibi che tanti insegnanti si danno ributtando la “colpa” sugli studenti, sulle loro incapacità, sui loro rifiuti …..
La questione, allora, non è quella di “insegnare” solo ciò che ai ragazzi piace (non lo ho mai detto e mai lo dirò) ma di far si che,attraverso il “mestiere” che ogni insegnante ha, o dovrebbe avere, gli studenti siano in grado di dare un senso, un significato a quanto si propone loro di studiare. L’insegannte che si limita a riproporre i “contenuti” senza alcun intervento didattico (per stimolare e supportare questa costruzione di significato)non è un insegnante, è un papagallo che ripete contenuti e lo fa, spesso, peggio del libro da cui li ha presi. Ecco quello che volevo dire: insegnare oggi vuol dire almeno aiutare gli studenti a dare un significato a ciò che la scuola “propone”. Però, dico anche che è necessario cambiare i contenuti che la scuola propone, non solo il metodo
Grazie Roberto (mi viene male rivolgermi a te in questo modo così inconsueto … ma qui si fa così e passami il linguaggio …) per il commento. Se, poi, hai voglia e tempo di fare quella postilla “universitaria” … noi, lettori, la leggeremo con immenso piacere … professor Maragliano …. (l’ho detto!!!)
Gianni,
è una testimonianza, ancora un tuo scritto che ulteriormente spinge a riflettere…
Che dire? che aggiungere?
Quoto Cristina:
>>mi ha colpito nel vivo e mi ha spinto a riflettere ancora una volta su come dare senso alla scuola, su cosa insegnare, su come far sì che ragazzi come Eugenio si esprimano al meglio.
Però non so se, come dice la stessa Cristina, storie come questa capitino sempre più di frequente.
Io qualche dubbio ce l’ho.
Credo che diversi siano i fattori che contribuiscono a far si che un ragazzo sviluppi le sue potenzialità, così come Eu. Che:
Ha imparato:
* perchè ….
Ha “studiato”:
* senza che …..
* con impegno….
Eugenio ha saputo anche imparare, ha saputo impegnarsi. Ma Eugenio, non intendo toglierli nulla beninteso, anzi: stra-bravo glielo dico di cuore! E se penso a com’è giudicato dalla scuola… che fallimento per la scuola!
Eu ha respirato fin da piccolo una certa aria. Non parlo soltanto di pc… intendo riferirmi all’educazione ricevuta in famiglia, nel senso di clima culturale, di stimoli, che lo hanno sostenuto a far sì che potesse “liberare, far venire alla luce” le sue qualità. Sono convinta che il fattore abbia una influenza notevole.
Detto ciò, non posso che ribadire le responsabilità della scuola. Che spesso non stimola, che non coinvolge, che non suscita interesse, né entusiasmi (ooh, parolona nella scuola, che dico entusiasmo!) e ciò che peggio, presume di “istruire” trasmettendo conoscenze. Affatto educando!
grazie Gianni, come sempre…
g
Caro Gianni, non farti questioni sul titolo, anzi. Io, guarda un po’, ne ho proprio riguardo il titolo di professore, che a Roma almeno mi sa sempre di sfottò (professò, appunto, così ti chiama il posteggiatore se porti gli occhiali: ed è vero, porto gli occhiali, dunque sono professò). Ti dicevo della postilla. Che grosso modo è questa. Dal “basso” dell’università (quella che io frequento, almeno, e a contatto con quelli che la frequentano)viene spontaneo preoccuparsi non per gli studenti alla EU, che sembrano avere gli strumenti per cavarsela nella vita, ma per i compagni “bravi” di EU, quelli che a scuola sono andati bene e che qui, all’università, vanno ugualmente bene, nel senso che prendono buoni voti e fanno tutto quello che i buoni professori chiedono loro, a meno che non gli si chieda l’unica cosa che non sono disposti a fare, cioè pensare. Sono, loro, il perfetto equivalente pedagogico del berlusconismo ideologico. Come è possibile prospettare, con questa utenza, la possibilità di eliminare il valore legale del titolo di studio? Crollerebbe l’università, o almeno questa università. E che fine farebbero le telematiche? E che fine farebbero questi bravi studenti, visto che nemmeno potrebbero andare all’estero, avendo delle lingue una conoscenza “scolastica”…Al di là degli scherzi, il problema più grosso che io vedo non sta in chi cerca un “senso” fuori di questa scuola (e università) ma in chi riesce a trovarlo lì o meglio riesce a speculare sulla sua assoluta mancanza di senso. Mi fa paura un futuro affidato alle loro sapienti mani.
…dimenticavo: ti ho inserito nella finestra Delicious del ‘mio’ sito, qui
Caro Roberto, il riferimento nel sito LTA mi fa piacere. Con il tuo contributo apri (qui) una nuova e terribile problematica, il “per chi è questa scuola, questa università”, quali sono i “valori” che questa scuola promuove e premia. I conformisti, gli allineati, gli omologati. Ecco come si la classe “dominante” si perpetua, come la sua “cultura” diventa forte e pervasiva.
Mi piace l’immagine dell’equivalente pedagogico del berlusconismo imperante, l’apprendimento (se così si può chiamare) senza pensiero, senza comprensione. Una mezza sconfitta concettuali per chi fonda la propria azione su ben altre basi … Che tristezza!!!
Posso aggiungere qualcosa sulle date: io ho 27 anni, posso dirti che quello che descrivi avveniva quando io avevo 15 anni. Quindi, è una trasformazione che è in atto da un bel po’ di tempo.
Per 5 anni ho anche gestito o partecipato a forum online di tecnologia. Inutile dire che il campione da te descritto è molto, molto vasto. E spesso partono discussioni su schede video che arrivano a disquisire del perché A è migliore di B grazie alla sua pipeline di esecuzione delle istruzioni in parallelo, che è più performante in certe tipologie di giochi – ma non in altri.
Insomma, per chi lo vive è ordinaria amministrazione. E’ quasi più difficile capire l’altro mondo.
Per il mio punto di vista, quello che manca è lo scopo. Un obbiettivo. Che li interessi. O magari che non li interessi, ma che il suo valore venga spiegato.
Io non ho mai avuto un ruolo formale da un punto di vista educativo, però mi è capitato più e più volte di fare da supporto a qulcuno che doveva studiare o, più recentemente, condurre lezioni singole. Il salto qualitativo, lo vedevo concretamente, era quando la mia abilità come educatore veniva sfidata nel trovare un nesso fra quello che la persona stava facendo e un obiettivo che facesse parte della sua vita.
Sembrava stupido, ma a fare lezioni private io iniziavo spesso con la domanda: “Cosa ti piace fare?”.
Certo, è un po’ utopico e anche io nel mio piccolo non son sempre riuscito a trovare una “risposta”, però credo sia un grosso fattore motivante.
Eu, probabilmente, ne aveva alcuni molto grossi. Ad esempio, l’hai accennato ma vorrei porvi un accento ulteriore, la pressione sociale dei suoi pari che magari riuscivano a fare cose che lui ormai con il vecchio pc non riusciva a fare. E poi un po’ di competizione, che è molto nel sangue e negli ormoni del genere maschile. Due spinte molto, molto forti.
I bravi insegnanti sono quelli che sono in grado di trovare buoni motivi. La mia insegnante di inglese alle medie (!) supportava la mia passione per i giochi in inglese ed era sempre disponibile a chiarirmi qualche dubbio. E io intanto giocavo a Monkey Island in inglese. E imparavo, intrinsecamente, giocando.
Quindi, una “soluzione” secondo me esiste già e sono i bravi insegnanti. Ma questo lo sapevamo già, credo.
Un’altra è quella di creare un contesto ambientale in cui ci siano motivazioni per studiare. Sarebbe un po’ come creare quella ‘pressione sociale’ di cui parlavo prima ma verso una certa forma di scuola. Perché qui quello che ha buoni voti è normalmente ‘lo sfigato’. Non ci sono “valori” sociali che ti spingono ad esserlo. Non c’è niente, fuori. Devi solo pregare che l’educazione familiare ti abbia dato qualche buon valore e quindi – anche se magari a malincuore – studi e te ne freghi di essere preso in giro come lo sfigato che fa i compiti quando gli altri sono al campo a giocare. Perché queste cose sembrano piccoli dettagli, o casi singoli e specifici, ma agiscono e spingono ogni giorno. Perché per uno che non cede e sta a casa a studiare, ce ne sono 8 in dubbio che magari studierebbero a casa, ma… beh, tanto.
Spero di non essere andato troppo fuori tema. 😉
Mi sembra la storia del mio consorte. Bocciato a scuola, per fortuna promosso nella vita.
Io ho 36 anni. Quasi 37. Dalle medie alle superiori si può dire che il sapere mi è stato praticamente negato. Era una scuola vuota. Ho dovuto pretendere la conoscenza, strapparla con le pinze. All’università tutto è cambiato.
Però quel sapere negato, mi è rimasto sullo stomaco. Quando insegno faccio di tutto per trasmetterlo, cerco di dare ai miei ragazzi quello che sento mi è mancato profondamente.
I riferimenti alla realtà, l’utilità di quello che studiamo, le sfide, le emozioni, il gioco di squadra, la felicità della scoperta. Quel senso di onnipotenza che ti coglie quando scopri che per calcolare una qualsiasi radice quadrata non hai necessariamente bisogno di una calcolatrice.
Ti assicuro facciamo cose grandiose. Il primo anno, con le mie due prime, abbiamo calcolato quanto ossigeno produce una pianta. Abbiamo realizzato con materiale di fortuna, alla Mac Giver (come dicono loro), un contatore per l’ossigeno. Per poco non ci scappava una pubblicazione sul Journal Chemical Educator.
L’anno scorso abbiamo organizzato il “Ristorante E. F.” (iniziali della scuola) dove abbiamo servito su ordinazione dimostrazioni scientifiche. Abbiamo dimostrato che nella materia c’è il vuoto e tante altre cose.
Quest’anno stiamo controllando se i depuratori della nostra città funzionano. Proprio così, facciamo il prelievo nei fiumi, esaminiamo l’acqua calcoliamo l’indice biotico e poi, ci faremo sentire in Consiglio Comunale tramite il Consiglio Comunale dei Ragazzi. Sia che i dati siano positivi, sia che siano negativi.
Noi il libro lo usiamo solo quando ci serve. Tipo manuale delle giovani marmotte.
Io dico “a questo punto cosa ci serve?”
Loro “dobbiamo vedere cosa c’è nei detersivi e cosa deve essere depurato e cosa no. Cosa potrebbe nuocere e cosa no. Possiamo controllare nella parte di chimica del libro”.
Tutto quello che il libro non dice lo cerchiamo su internet.
Di nessuno di loro direi mai:
* è uno che non studia e non sa studiare
* che quando studia, la fa il minimo necessario
* poco interessato ad imparare
* sbrigativo
* superficiale
* dedito solo all’azione
* poco o nulla riflessivo
* con la testa tra le nuvole
* uno a cui non interessa ottenere “risultati”
* immaturo
* incapace di assumersi responsabilità
* dedito solo al gioco
A malicuore confesso che però alcuni insegnanti lo dicono. Per fortuna nelle scuole dove ho lavorato ho trovato anche tanti bravi colleghi da cui prendo numerosi spunti.
Mi è piaciuto molto quello che hai scritto…un abbraccio
Elena
@ Davide, grande testimonianza anche la tua. Trovo azzeccata l’espressione “I bravi insegnanti sono quelli che sono in grado di trovare buoni motivi“. Ho scoperto il tuo blog e lo trovo eccellente. Lo sfoglierò attentamente.
@ Elena, mi ha fatto piacere leggerti qui e leggere delle learning strategies che usi. Sono pienamente convinto che usare “compiti reali”, significativi, autentici sia la strada giusta per un apprendimento significativo
Post e commenti troppo interessanti per accontentarmi di leggere senza lasciare traccia. Ma la traccia dovrebbe essere troppo articolata, e dovrebbe, di fatto ripercorrere quasi tutti i miei post “professionali” che toccano quasi sempre questo tema. Al di là delle sfumature (io credo, come sai, che l’essere nati e cresciuti nel brodo digitale abbia una sostanziale importanza culturale) condivido l’analisi sulle nefandezze della scuola, che produce distorsioni cognitive non solo sui somari divergenti (che talvolta trovano riscatto nella vita, ma più spesso…), ma anche sui bravini convergenti (e qui è illuminante il commento di Maragliano). Del resto io ho 2 figli che rappresentano i due poli e sui quali mi piacerebbe molto raccontare, ma… Ma per ragioni di sintesi mi limito a porre l’accento su una delle sfaccettature del problema: il fatto che la scuola nel suo insieme non sappia lavorare per i bravini divergenti (e qui ci aiuta il lucido post di Antonio che ci ricorda i sentieri che dovremmo percorrere a tale scopo). Mio figlio piccolo (4 liceo) – lo so che avevo detto… – è uno di quei bravini convergenti per comodo (nel senso che riesce ad avere medie alte senza praticamente aprire libro), ma che giusto l’altro giorno ha urlato in faccia a sua made (che lo rimproverava perché non studiava e quindi “sprecava i suoi talenti”) che dalla scuola non imparava nulla, e che quindi preferisce impegnarsi nelle altre esperienze che gli danno molto di più (fa il catechista, l’animatore, suona, partecipa a dei musical, gioca a calcio a livello agonistico, legge e, naturalmente, smanetta a randa sul computer…)… La scuola fa schifo, dunque, ma non è tanto meglio il mondo della politica, quello amministrativo, e nemmeno la cosiddetta “società civile”… Come sai, attualmente faccio il politico, l’amministratore e l’insegnante… e il posto di lavoro che mi angoscia e mi deprime di meno è proprio la scuola: quando entro in classe (ma anche nei corridoi, davanti alla macchinetta del caffé…) io sono solitamente leggero e divertito. Certo mi aiuta il mio radicato e ironico cinismo, ma in fondo anche il pensiero che dalla scuola – dai ragazzi come EU – è un po’ più facile RI-Partire, rispetto agli altri mondi della nostra stanca civiltà. Decidiamo da cosa e da dove RI-partire e facciamolo, al di là delle gabbie Gelminiane… Ho qualche dubbio anche sulla diatriba fra il COSA insegnare e il COME insegnare: certo è importante anche il COSA, ma se l’obiettivo è imparare a ragionare (sintetizzo, ovviamente, quintalate di obiettivi) e diventare bravini divergenti, io sono convinto che si possa perseguire tale fine anche attraverso il latino, la storia, la filosofia (e soprattutto la matematica, la fisica, la chimica…)… Ma sto diventando noioso… CIao Gianni, buon anno e buona vita!
Buon giorno e buon anno intanto.
Mi sembra davvero un buon anno averlo iniziato leggendo le vostre esperienze e le vostre meditazioni.
Sono l’admin di un piccolo e giovanissimo forum sulla dislessia, e via via che procedo con l’osservazione di quanto succede, di quanto leggo, di quanto mi raccontano, mi convinco che sia ora di cambiare. Non di cambiare i dislessici, non di conformarli, ma di cambiare gli altri (quelli che si conformano ad una scuola senza senso) di cambiare non tanto le cose insegnate, un po’ anche, ma di cambiare il metodo e la ragione di insegnarle.
Dice Marco che si sente preoccupato per i ragazzi che trovano il modo di essere bravi studenti universitari, scherzando dice che non potrebbero andare all’estero perchè della lingua non conoscono altro che la teoria.
Lui scherza, ma ha ragione da vendere.
Qualche insegnante ha mai detto ad un ragazzo il motivo per cui studiamo la storia? Qualcuno ha spiegato loro che la storia serve per il futuro? che le pulsioni degli uomini sono le stesse, da che mondo e mondo e che le loro azioni tendevano ad arrivare a quello che muove noi, anche adesso?
Qualcuno ha mai pensato di integrare informatica e storia? Di far pensare ai ragazzi cosa avrebbe potuto fare Alessandro Magno se avesse avuto unn computer?
o un navigatore satellitare? O a Attila?
Ho spinto un po’, ma sono convinta che gli Eu di questo paese non sarebbero più considerati svogliati e disinteressati, e sono anche convinta che le Pierine, se ho capito bene che le Pierine sono quelle che si adeguano, forse imparerebbero l’inglese e potrebbero andare anche all’estero.
Complimenti e grazie per questo bello spunto di inizio anno.
Irene
Correggerei il titolo: COME SI APPRENDE NEL TEMPO DELLA CONDIVISIONE. Che è un tempo lungo, e non riguarda solo le generazioni più giovani, perché cose del genere le abbiamo fatte o pensate in tanti (perfino io!), anche se credo che ben pochi, sia “nativi” che “immigrati”, siano in grado davvero assemblare un pc senza far saltare il salvavita a ripetizione (complimenti a Eugenio!)
Mi ricordo quella volta che avevo montato sul PC un secondo disco fisso e i video non andavano, e il giovane tecnico non capiva il problema, anzi assicurava che tutto il suo software e gli strumenti diagnostici certificavano che tutto funzionava alla perfezione. Fino a che, ricontrollando a casa, non ho scoperto che avevo collegato il cavo IDE con la connessione 2, invece che con la 1. Probabilmente c’era un banale dispersione elettrica. Intuizione da umanista!
Una frase mi ricordo, dei tempi dell’università, e la riferisco a memoria al prof Battacchi, ma chissà se era sua e più o meno diceva: “Si può apprendere moltissimo, pur di non pensare!”
Il problema del nostro tempo è che il pensiero si sviluppa principalmente fuori dalla scuola e tutti, nativi e non, ci si deve arrangiare con le relazioni che riusciamo a stabilire, al si là dei programmi di studio, che anacronisticamente si concentrano sui contenuti e sottovalutano le relazioni. La rete può essere un aiuto enorme, ma solo se la si usa in modo attivo, non solo per “navigare”, ma per condividere. E credo che mediamente i 40 e 50enni lo facciano di più e con più metodo che gli adolescenti, anche perché magari lo fanno da decenni, da quando erano a loro volta poco più che adolescenti. Per chi è nato che il web c’era già, può essere più naturale, ma non è detto che sia più facile.
Nascendo in un epoca di possibile enorme condivisione, nativi e immigrati, quando cerchiamo di vivere, siamo portati a condividere. Ma nasciamo anche in un’epoca di enorme televisione, e purtroppo la maggioranza, che non sono né nativi né immigrati, ma semplici consumatori superficiali di oggetti (neanche delle loro funzioni, che conoscono solo in minima parte), complice anche la scuola, sono abituati soltanto a guardare.
Concordo in pieno con quanto affermato da Gianni. Anche se da alcuni anni sono lontana dall’insegnamento, perchè impegnata in un dottorato di ricerca sulla formazione on line, mi rendo perfettamente conto che è fondamentale dare un senso a ciò che insegniamo, e che al di là dei contenuti dobbiamo puntare anche alle competenze. Io insegno filosofia e dico sempre ai miei alunni che se la filosofia non insegna loro a ragionare, a pensare, non serve a nulla. Amo molto ascoltarli argomentare su tematiche varie, scoprire come procedono nelle affermazioni, e avventurarmi insieme a loro in nuove strade. A questo riguardo sono 2 anni che porto avanti una sperimentazione con l’Università di Macerata. Partendo da tematiche scelte dagli alunni del terzo anno delle scuole superiori (quelli che per la prima volta scoprono la filosofia)si da vita, nel forum on line, ad argomentazioni, con lo scopo non tanto di “giungere a delle verità”, quanto di imparare ad argomentare, perchè argomentare è filosofare, è dubitare e provare a sciogliere il dubbio. (Breve parentesi: ogni anno – finché ero a scuola – partivo dal far riflettere i ragazzi su cosa rende umano l’uomo, e vengono fuori delle considerazioni interessantissime e talvolta sbalorditive)
Per quanto riguarda invece le valutazioni punto molto anche sulla motivazione al di là degli obiettivi e numerici risultati.
Questi sono alcune strategie che metto in atto nella speranza di dare un senso allo studio della filosofia.
Approfitto di questa occasione per uno sfogo. In qualità di insegnante di ruolo per la classe di concorso A037, per legge devo insegnare storia e filosofia. Chiunque mi conosce: alunni, colleghi, dirigenti, sa del mio amore per la filosofia e della mia pena per il dover insegnare storia. Purtroppo sin dalle scuole elementari (nelle quali ho avuto la fortuna di avere una maestra straordinaria che ci ha insegnato la logica, e che ha utilizzato strategie e materiali tutt’oggi all’avanguardia, e parliamo di 30 anni fa) non ho avuto un buon rapporto con la storia, non ci ho mai capito nulla e mi sono sempre rifiutata di imparare nomi di re, date di guerre e via discorrendo. Anche all’Università mi sono limitata a fare 2 esami obbligatori ma a scelta tra i tanti periodi, tra i quali ho selezionato la storia romana e quella greca (che trattava delle lettere di Platone).
Ora, avendo superato un concorso, per mia fortuna e per mia disgrazia mi ritrovo ad insegnare ciò che più amo e ciò che meno conosco. Quel po di storia che so l’ho appresa dal mio stesso insegnamento e devo ammetere che comunque da quando ho iniziato ad insegnarla o anche cominciato ad apprezarla e a capirci qualcosa, rimane comunque un peso per me.
Perchè questo sfogo?!
Per dire che un limite di noi insegnanti è di non essere liberi di insegnare ciò che più amiamo e ciò in cui siamo più competenti. Io mi reputo una buona insegnante di filosofia, ma non lo sono altrettanto per la storia nonostante tutto il mio impegno e lo sforzo.
Quanto potrei donare ai miei alunni se mi facessero insegnare solo filosofia, e come dico io?!
Sono pienamente convinta che gli strumenti del web2.0 sono straordinari strumenti per riportare la filosofia alle sue origini, quando questa era confronto e discussione, era filosofare e non storia della filosofia.
Buonasera. Ho letto con interesse il tuo intervento. Mi chiedo tuttavia se il contesto da te descritto presenti effettivamente delle novità. Ho 50 anni e mi sembra che ragazzi con interessi specifici divergenti rispetto a quelli scolastici ce ne siano sempre stati. Chi non ha avuto l’amico “genio della meccanica” o “dell’elettronica” che poi a scuola aveva risultati disastrosi? E tutto questo valeva 50 come 30 come 20 come 10 anni fa. Qual era il motivo di tale idiosincrasia? Dipendeva e dipende dalla motivazione? Dai contenuti? Può darsi. Ma può banalmente dipendere dall’espressione del volto o dal deambulare o dai tic del docente. Le variabili sono infinite (amici, famiglia, quartiere, tv). La domanda è: può diventare medico o commercialista chi non studia anatomia o scienza delle finanze? E può studiare tali discipline chi passa ore e ore impegnandosi in altri ambiti? Si parla di intelligenze multiple. La scelta scolastica, per lo più imposta dalle famiglie, spesso non è effettuata tenendone conto. Ma l’insegnante non ha scelta … A me sembra che due siano le cose che innanzitutto si devono imparare (e la famiglia deve insegnare): che nella vita, dato un obiettivo, non si può fare sempre ciò che piace (comunque) e che il sapere non deve “immediatamente servire” a qualcosa. Altrimenti possiamo gettare alle ortiche Giulio Cesare, Socrate e Carlo Magno ecc. Sarò tradizionalista e retrogrado ma mi sembra che senza questi due prerequisiti non si possa andare da nessuna parte. Un saluto
Antonio
@Antonio,
il problema non è infatti studiare qualcosa che serve immediatamente, ma qualcosa di significativo, qualcosa di cui almeno si intuisce l’importanza.
Noi non tratteniamo ciò che ci viene spinto dentro a forza, ma solo quello che vogliamo conoscere.
Ottimo post, come ho scritto già su facebook.
E se conosco Gianni, questo non vuole essere solo una validissima testimonianza, ma un invito accorato a intraprendere la strada verso il cambiamento.
E di cambiamento ci occupiamo da qualche mese, seguendo un’intuizione di Gianni, qui, e più in particolare qui.
si può invertire rotta. coraggio!
Eh già … “per chi è questa scuola, questa università”, quali sono i “valori” che questa scuola promuove e premia …
Estratto dal discorso Do Schools Kill Creativity? fatto del prof. Ken Robinson al TED 2006.
Secondo me i libri dovrebbero essere solo manuali in cui ritrovare i riferimenti culturali fondamentali per navigare poi per conto proprio. I significati sono da trovare insieme agli alunni con i quali condividerli. Neanche loro troppo spesso sanno dove andarli a pescare e l’insegnante deve proporre indizi, dubbi, curiosità, non risposte. Ma noi lo sappiamo. Chi avverte i nostri ministri che la scuola deve cambiare nella sua struttura, non essere riformata? Che i contenuti vanno tutti bene(anche Federico II) se nei contenuti gli alunni imparano a pensare, a curiosare, a smanettare tra le possibilità, a confrontarsi, a coltivare strategie immaginative per inventare strade secondarie anche conoscendo quelle già battute, se imparano un metodo di ricerca e di studio. Sono andata dal mio dentista che ha un bambino in terza elementare. Mi ha detto che segue suo figlio nello studio delle varie materie e che lo fa in questo modo: leggono la paginetta, sottolineano le frasi più importanti, ripetono, ripetono, ripetono.. Siamo ancora qui. Quando gli ho accennato di mappe e di immaginazione, gli si è aperto un mondo! Ed ha solo 40 anni. Anche i genitori vanno educati a capire che la scuola non può essere come quella che hanno frequentato i loro genitori e che loro stessi hanno fotocopiato. Di fotocopia in fotocopia, non cambierà mai nulla. Ma chi deve farsi carico di questo cambiamento sono i nostri ministri e i nostri insegnanti. Per i ministri sappiamo in quali mani ci troviamo, per gli insegnanti abbiamo solo qualche luce nel buoi totale: neanche loro rinunciano a trasmettere le conoscenze che credono siano state importanti per loro. Dov’è allora il cammino?
[…] 1) Il Genocidio dimenticato 2) Tutte le carte geografiche a colori di Limes 3) Quella «benedetta» ora di religione 4) Grammatica araba (in inglese) 5) I vescovi australiani: i social network per conoscere Cristo 6) La didattica con le LIM: consigli per gli acquisti 7) Sabily la versione islamica di Ubuntu 8) Lettera a Gesù Bambino 9) Rinvenuta a Nazaret una residenza del tempo di Gesù 10) Mons. Celli: i giovani, diaconi della cultura digitale 11) Appare la Madonna al Cairo? 12) 6 modi con i quali la tecnologia ha cambiato la religione (articolo in inglese) 13) Videoconferenza sull’Enciclica “Caritas in Veritate” 14) Un sudario rilancia i dubbi sulla Sindone 15) Google Sketchup a scuola (tutorial in inglese) 16) Apple: “Dalai Lama censurato? Rispettiamo le leggi cinesi” 17) Panoramica a 360° di Stonehenge 18) Aggiungere versetti biblici alla firma di Gmail (in inglese) 19) 10 tools da usare con la Lim (in inglese) 20) Progetto di edizione della Bibbia in comics 21) Il glorioso Tempio di Livorno riprende vita e colore 22) Come apprende un Nativo Digitale […]
[…] suo racconto – posso chiamarlo "Natale (tecnologico) in casa Marconato"? – è davvero […]
Ho letto e il tuo post e le riflessioni si sprecano. Io insegno in una scuola primaria e devo dirti che anche qui l’entusiamo mi sembra che inizi a scemare. Ho avuto la fortuna di lavorare per anni nel tempo pieno e tre anni fa, ad inizio ciclo, il dirigente ha formato classi a tempo scuola misto (27/40 ore) il che significa svolgere il programma curricolare nelle 27 ore e riservare le rimanenti ad attività di approfondimento e/o rinforzo. Il motivo: ottimizzazione delle risorse! E i bambini? Al dirigente è interessato conoscere quanto sarebbe costato riuscire a formare un gruppo che includesse tutti? E il laboratorio teatrale e la sabbiera? Tutto finito! Abbiamo una classe dalla doppia personalità: al mattino una rincorsa continua tra una disciplina e l’altra, al pomeriggio tempi dilatati al massimo per non penalizzare i compagni del mattino. E noi insegnanti che ci barcameniamo tra una copertura mensa, una supplenza, un tentativo di realizzazione di qualche percorso di sperimentazione ma che continuiamo, nonostante tutto, a inventarci l’impossibile perché i bambini a scuola stiano bene. Ma non durerà più tanto a lungo anche perché sempre più numerosi, una volta cresciuti, i ragazzi tornano a trovarci e ci fanno una testa così sul tempo sprecato che sono costretti a dedicare alla scuola! Qualcuno spera nell’università ma non per realizzare un proprio sogno, solo per garantirsi un futuro il più possibile agevole. E il peggio è che i più delusi sono gli alunni migliori, quelli più sensibili, quelli più intelligenti, quelli appunto che, come il tuo Eugenio,vogliono capire più che ubbidire e fare più che ripetere. E mi chiedo se, cercando ogni giorno di creare per i miei alunni un ambiente di apprendimento che stimoli la loro curiosità e faciliti la loro voglia di fare esperienza, trovandomi tante volte nella condizione di imparare e scoprire con loro qualcosa che non sapevo ancora o che vedevo sotto un aspetto diverso, io faccia davvero il bene dei miei bambini o crei soltanto loro inutili aspettative.
Interessante, anche se non sono stato un nativo digitale, la scuola non mi stimolava ed ho inziato a scrivere poesia e ad appassionarmi di informatica, letteratura, psicologia, filosofia, col tempo, da solo.
Non credo che quello discusso in questo post sia un problema recente, ristretto a quest’epoca digitale. La scuola era già vecchia 20 anni fa.
Il miglior discorso sul gap della scuola oggi che io abbia sentito: va al cuore del problema…grazie!
Grazie per la tua attenzione, Giuliana!