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Ovvero

non si impara dai contenuti ma con i contenuti

Ogni discorso sul rinnovamento della scuola (forse, sarebbe meglio chiamarlo cambiamento con tutta la carica dirompente che questo termine porta con sè) passa inevitabilmente dai contenuti per il semplice fatto che la scuola tradizionale è la scuola dei contenuti.

Editori a parte che del commercio di contenuti fanno, giustamente, la loro ragion d’essere e per i quali, ma solo per loro “content is the king, , da ogni altro dove si leva alta l’invocazione di andare oltre i contenuti. Con il corollario del de-centrarsi dall’insegnamento a favore del processo di apprendimento. Il cambiamento invocato riguarda l’abbandono della centralità dell’insegnante portando al centro la persona che apprende. Tutte cose sentite e ri-sentite.

Contrariamente a quanto fanno credere coloro che difendono a spada tratta i “contenuti”, quanto io e tantissimi altri predicano, non è l’abbandono dei contenuti ma una loro diversa concettualizzazione nel processo insegnamento-apprendimento.

I miei convincimenti in materia nascono dalla reciproca interazione tra la mia esperienza diretta e la letteratura internazionale. La letteratura, con le sue concettualizzazioni, mi aiuta a comprendere e a spiegare i fatti che ho sotto gli occhi; i fatti cui partecipo e vedo mi consentono di validare alcune delle concettualizzazioni presenti in letteratura offrendomi un criterio di affidabilità per quelle concettualizzazioni di cui non faccio esperienza diretta ma che, in virtù della loro affiidabilità (empiricamente costruita con il metodo enunciato) mi sento di assumere come linee guida per la mia pratica.

Estratti questo “metodo” personale, i caposaldi del mio pensiero e della mia pratica professionale riferita, anche, alla tematica “contenuti” sono i seguenti:

  • la questione “contenuti” va vista per la sua rilevanza con le problematiche dell’apprendimento
  • per me “apprendere” vuol dire “comprendere”
  • la comprensione (che genera applicazione) segue strade diverse da quelle della memorizzazione (che genera ripetizione)
  • la comprensione richiede la conseiderazione di prospettive multiple
  • i contenuti presentati al di fuori di un contesto d’uso vengono, nella migliore delle ipotesi, memorizzati e generano conoscenza inerte (Brown, Collins, Duguid)
  • la semplificazione didattica dei concetti e dei fatti e la loro presentazione tramite contenuti “didattici” non consente la comprensione di quei fatti, di quei concetti e, quindi, il loro utilizzo
  • l’informazione non è conoscenza
  • la (mia) conoscenza che comunico, che racconto (non che  “trasmetto” o che  “trasferisco”), per chi la “riceve” è informazione
  • l’informazione si trasmette, la conoscenza si costruisce
  • l’informazione si trasforma in conoscenza nel processo di apprendimento
  • la persona apprende solo ciò che è significativo per sè
  • “Se sono gli insegnanti a stabilire cosa sia importante conoscere, come farlo e come imparare, gli studenti non potranno esercitare l’intenzionalità e la costruzione per il semplice fatto che non è loro permesso” (Jonassen)
  • solo a scuola le idee, i fatti del mondo .. sono spezzettati in discipline; la realtà è interdisciplinare
  • nella vita siamo chiamati a svolgere attività, a risolvere problemi, non a ripetere informazioni. Perchè la scuola insegna a ripetere informazioni? (Jonassen)
  • i contenuti sono strumenti per risolvere problemi, per realizzare attività
  • i contenuti vanno presentati nel contesto di attività da svolgere
  • è lo scopo che guida la scelta dei contenuti, non la disciplina

E potrei continuare ancora per parecchie altre righe  e mi avvio alla conclusione propositiva evidenziando come, da questa disamina,  risulti chiaro che nessuno predica la scomparsa dei “contenuti”. Quindi, ogni discorso deve partire da questa ovvietà.

In coerenza con quanto sopra affermato:

  1. va riconsiderato il ruolo dei contenuti nell’apprendimento e, di conseguenza, nella didattica
  2. il “contenuto” necessario in ogni situazione didattica è specifico per quella situazione
  3. la “qualità” del contenuto non è data ne dalla sua “correttezza” ne dalla sua qualità editoriale
  4. la “qualità” del contenuto è data dalla sua adeguatezza allo scopo
  5. l’ “adeguatezza allo scopo”  la può stabilire solo l’insegnante
  6. è il “bravo” insegnante che costruisce con sapiente mashup, di volta in volta, il “contenuto” che gli serve
  7. l’accesso aperto, libero, agevole ad una grande massa di “contenuti” via internet non rende neccessaria una strutturazione dei contenuti in libri di testo o in quelli che vengono chiamati learning object
  8. ogni “bravo” insegnante ha il “suo” libro di testo
  9. solo il “cattivo” (da questo punto di vista) insegnante  ha bisogno di contenuti strutturati e di percorsi altrettanto strutturati per farsi guidare nel somministrarli agli studenti.

Rimane, comunque, aperta la questione di come possano essere fatti i libri di testo del futuro per il semplice fatto che non credo sia prossima a venire la fine degli stessi e nell’attesa di questo evento qualche cambiamento credo sia possibile considerata la presenza della rete e del digitale. La riflessione e le sperimentazioni sono in campo da tempo, oltre la pidieffazione dei libri di testo analogici. Seguo con intresse i lavori di Noa Carpignano , editrice indipendente e di Maria Grazia Fiore, insegnante; ma parecchie altre persone stanno ragionando sul tema, anche con approccio visionario. Qualche tentativo l’avevo fatto anch’io.

Quando parlo di contenuti co-costruiti dagli studenti, di contenuti che esauriscono la loro funzione non appena “costruiti”,  mi riferisco alla tematica della rappresentazione della conoscenza costruita dalla persona che ha appreso. L’apprendimento è nel processo, non nel contenuto. Per apprendere bisogna “costruire” (*) usando i contenuti come strumenti. Quando l’artefatto è stato costruito, il processo di apprendimento si è sviluppato ed il suo prodotto altro non è che la rappresentazione, la visualizzazione di ciò che la persona ha imparato e sa. Ed il suo valore sta proprio nel rappresentare l’apprendimento. In questa prospettiva, un contenuto costruito da un insegnante o da un terzo qualsiasi, è privo di valore.

Ecco perchè

non si impara dai contenuti ma con i contenuti

(*) Ciò che, più di ogni altra cosa, guida l’apprendimento è la comprensione e lo sforzo fatto nel completare un compito o una attività (Jonassen)

 

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Ogni tanto qualcuno mi chiede perchè “perda” tanto tempo a scrivere di queste cose nel blog. La risposta è molto semplice: perchè scrivere mi porta a riflettere e riflettendo migliora (o almeno lo spero) il mio pensiero (Schon lo chiama “reflection-on-action”). Lo faccio, cioè, per tornaconto personale.

 

3 people like this post.

6 pensiero su “Contenuti digitali, ma sempre contenuti sono ….”
  1. Gianni,
    condivido molto di quanto hai lucidamente argomentato.
    Vorrei però commentare ciò che, se ho ben inteso ed interpretato, non mi convince.
    Mi sembra che tu sollevi la Scuola dal far acquisire e padroneggiare agli studenti un corpus organico, strutturato e ordinato di conoscenze/contenuti di base (quelle che si incarnano nel buon-libro-di-testo). Rifiutando nettamente la deriva nozionistica di certa cattiva scuola, ritengo comunque che lo sviluppo di abilità cognitive rilevanti si possa efficacemente innescare solo se accompagnato dalla costruzione di una solida struttura di conoscenze/contenuti, di un’enciclopedia di base. Non mi convince del tutto, se ho ben compreso, la destrutturazione, frammentazione delle conoscenze/contenuti cui si assegna una mera funzione strumentale poiché potrebbe far mancare quell’obiettivo, anch’esso fondamentale.
    Un altro dubbio riguarda l’affermazione “la persona apprende solo ciò che è significativo per sé”. Questo principio andragogico non credo si possa applicare/estendere sic et simpliciter ad un adolescente o ad un bambino, che ha bisogno, invece, di guida, controllo e stimolo esterno. Piuttosto, anche qui, è compito della Scuola far diventare significativo ciò che per i nostri ragazzi non può né potrebbe mai esserlo senza di essa.
    Grazie per gli spunti di riflessione che ci proponi.
    Marcello

  2. Marcello, grazie per davvero per la tua attenzione alle cosucce che scrivo e per le osservazioni critiche cha fai. Andiamo per ordine sui punti del disaccordo per capire se è questione di aver espresso in modo poco chiaro il mio pensiero o se abbiamo punti di vista differenti.
    1) sollevare la scuola dalla responsabilità di acquisire e padroneggiare agli studenti un corpus organico, strutturato e ordinato di conoscenze/contenuti di base (quelle che si incarnano nel buon-libro-di-testo)…. No, non sollevo la scuola da questo compito. Andrebbe definito cosa si intenda oggi e per il futuro “conoscenze” di base. E su questo ne stiamo parlando su LSCF (oggi aggiorno i miei interventi). Chiarito questo, non credo che per farlo sia necessario usare quello che tu chiami un “buon” libro di testo. Possiamo usarlo o anche no. Per dirlo dovremo entrare nel merito dei “contenuti” e di volta in volta vedere la soluzione adeguata. Perchè tu dici sia necessario?
    2)
    abilità cognitive rilevanti: io credo che queste si sviluppino più attraverso “metodi” che attraverso “contenuti”. Nessun bisogno di “enciclopedia di base”. Mi piacerebbe sapere il perchè di questa tua affermazione sulal necessità dell’enciclopedia.
    3) sulla destrutturazione/frammentazione non ho capito la questione
    4) Il principio “La persone apprende solo …” non si applica solo all’andragogia, se mai sia nato in contesto andragogico. Ritrovo quel concetto in autori pre-andragogici e immagino che sia stato solo ripreso da knowels & Co. Quello che posso dire è che il principo “deve” valere sempre con gli adulti e si può ignorare con ragazzi per la semplice ragione che i ragazzi sono obbligati a “imparare” pena la bocciatura. Un adulto se non impara nulla, scappa via; un ragazzo memorizza per dovere e “rigurgita” quel materiale pressochè intatto. Salvo, poi, a dimenticarlo o a matterlo del deposito della conoscenza inerte

  3. Gianni,
    con libro di testo intendo semplicemente una raccolta di contenuti/informazioni destinate ad essere manipolate e trasformate, attraverso attività/processi guidati dal docente, in acquisizioni significative (comprensioni) da parte dello studente. Per me l’organicità e coerenza di questi contenuti è rilevante e va salvaguardata contro il rischio di destrutturazione e frammentazione dei contenuti ‘fai da te’ del pur bravo docente.
    Con enciclopedia di base intendo poi il sistema organico e coerente di contenuti/informazioni che gli studenti dovrebbero acquisire insieme alle abilità cognitive.
    Penso che l’organicità e coerenza dei contenuti da ‘comprendere’ sia importante e che la Scuola debba fondare la sua funzione educativa proprio sull’intersezione dei piani conoscitivo e cognitivo. Riconosco, però, che questo punto andrebbe argomentato e sostenuto più approfonditamente (mi riprometto di farlo).
    Sul fatto che i metodi siano decisivi per lo sviluppo delle abilità cognitive, siamo assolutamente d’accordo.

  4. E’ pur vero, però, che il sistema non è più né organico, né coerente nella società della complessità a differenza di quanto poteva essere rilevato nel passato. Molteplici ibridazioni disciplinari hanno creato nuove intersezioni nei campi del sapere. La settorializzazione disciplinare è un artefatto culturale che – pur utile all’economia del sapere – ha bisogno di essere ripensata nel terzo millennio.
    A mio parere, occorre distinguere tra l’artefatto “libro di testo” e la definizione condivisa del quadro di conoscenze/competenze necessario a dare degli strumenti conoscitivi solidi e duraturi (per quanto possibile) alle nuove generazioni (di cui, mi pare, parli Marcello).
    Perché il libro di testo dovrebbe garantire maggiormente – a parità di obiettivi perseguiti e contenuti “fondanti” – l’acquisizione di un adeguato bagaglio culturale, rispetto all’utilizzo di contenuti reperiti da varie fonti, adeguatamente validate?

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