Forse poteva suonare meglio “webfobia” ma c’ho messo la “o” per farlo meglio assonare con “omofobia”. Giusto per capirci.
Posta generato da un ulteriore stimolo in rete (via Facebook, Cristina Galizia) che segnala un recente post di Giorgio Israel.
Che dice il nostro da meritare le mie attenzioni? Tante, ne dice. Una vera miniera. Ma andiamo con ordine
Il signor Israel nel post “Un appello per abolire Dante con surreale dibattito allegato” prende di mira l’iniziativa di tale Dino Cofrancesco, sedicente segretario dell’ ARRE “associazione per il rispetto di tutte le religioni e la convivenza pacifica delle etinie culturali” reo di aver diffuso un appello per la cancellazione dello studio di Dante a scuola in quanto, attraverso la Divina Commedia offenderebbe le religioni non cristiane. Tale appello sarebbe collegato ad una petizione fatta dall’ illustre presidente (prof. Franco Romano) e dall’altrettanto illustre presidente onorario (Sergio Cardini) del ARRE al ministro Gelmini
Credo che al signor Isral di Dante non gliene importi tanto (almeno nel post in questione) in quanto il vero tema è la creduloneria di tante associazioni religiose,di insegnanti, di liberi cittadini che hanno rilanciato l’appello senza sincerarsi se quell’appello fosse vero prendendo per buono quanto letto in internet. In realtà non esiste alcuna ARRE come non esistono ne Franco Romano ne Sergio Cardini (lo dice Isral, io non ho controllato).
La questione che io sollevo rigurada la morale che il signor Israel trae da questo fattaccio (evidenziazione mia):
Lo so che un simile atteggiamento credulone era implicito nel fatto di discutere sul serio i contenuti della petizione. Ma mi chiedo: a quale livello siamo scesi, a quale forma di “wikipedizzazione” che spinge a bere qualsiasi cosa circoli in rete? C’è da stupirsi allora se i nostri giovani stanno cadendo in una condizione di abbrutimento culturale crescente?
Quello che emerge da questa chiosa è la demonizzazione della rete; una rete che uccide il senso critico delle persone: La “wikipedizzazione” del pensiero causata ad internet, il suo impoverimento, il suo appiattimento; il suo abbruttimento.
Ancor più spaventoso l’uso dell’argomentazione che tutto questo (la rete) sta portando nientepoppò di meno che all’abbruttimento culturale (in crescita) dei nostri giovani. Equazione: “frequentazione della rete = abbruttimento culturale”
Con questa affermazioni del signor Israel (ascoltato consulente della Gelmini e ispiratore “culturale” delle sue riforme) assistamo al solito pensiero piatto, al solito pensiero debole, al solito pensiero vuoto, al solito pensiero superficiale, al solito pensiero fazioso delle belle menti pensanti che oggi vanno per la maggiore.
La rete è molto di più di una bufala continua; la rete è molto di più di piccoli giochi di personaggi dementi. Ma non occore ripeterlo.
I giovani usano la rete molto meglio di quanto certi personaggi vogliono far credere e non stanno certamente portando all’ammasso i loro cervelli wikipedizzandosi. Ma non occore ripeterlo.
Se il signor Israel e compagnia cantante avessero davvero a cuore la sorte della “cultura” che viene offerta ai giovani dovrebbero denunciare l’intero sistema che sta, e per davvero, uccidendo il pensiero, la critica. Dovrebbero denunciare chi controlla i mezzi di comunicazione di massa oggi in Italia, chi fa, così, passare le informazioni che vuole; chi deforma a proprio intresse la realtà dei fatti. Dovrebbe denunciare, lui stesso in primis, chi sta uccidendo la scuola italiana, chi sta lavorando per una scuola che insegna a ubbidire e a non pensare.
Ho quasi la sensazione che questo sparare a zero contro la rete sia un ulteriore manovra ben orchestrata per demonizzare (prima) e ridurre al silenzio (poi) l’unico media attraverso cui si può ancora assicurare la libera circolazione delle informazioni, delle idee, del pensiero.
E per depotenziare il potere della rete, si usano le solite armi dello stereotipo, della reazione non riflessiva, del pensiero primitivo. Per promuovere stereotipi, ubbidienza, paure.
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L’astio viscerale del Nostro verso la cultura giovanile (tutti zombie) e verso gli insegnanti (tutti ignoranti, salvo quelli che studiano i suoi libri ed adottano i suoi metodi) lo rivela con il post successivo il cui irride al linguaggio del cellulare e fa poco affidamento sulla capacità degli insegnanti di matematica di trattare la matematica, complici libri di testo altrettanto scemi. Come dire, la riforma della scuola nelle mani della persona giusta. Auguri scuola, auguri insegnanti ….
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Nel merito del Dante si o Dante no, un dibattito serio si sta sviluppando in rete, anche su Facebook e su “La scuola che funziona” e riguarda l’opportunità di insegnare ancora i “grandi classici” o se non sia opportuno dedicare il tempo scuola ad altri contenuti più utili, forse, per attrezzare meglio i giovani alla realtà che già vivono e che vivranno quando saranno adulti
Qui lo scontro, al calor bianco, è tra “passatisti” e “futuristi”. E, spesso, lo scontro è anch’esso poco riflessivo e tanto umorale.
Ma è un discorso che, a mio avviso, varrebbe la pena fare per intero.
Sì Gianni Marconato, la linea appare, a tutt’oggi, questa conservatori(insegnanti) e conservatorismo (isituzioni) a braccetto: i conservatori credono di aver trovato una soluzione; il conservatorismo li stringe in un abbraccio che conduce la scuola pubblica alla sua fine (probabilmente prima quella culturale e educativa e poi l’altra).
Né gli uni né l’altro trovano però direzione e luce.
O forse nemmeno la cercano.
La logica dell’inerzia intellettuale a conservare da un lato e quella del taglio ai fondi per risparmiare dall’altro stanno nuocendosi reciprocamente.
Sono, a mio avviso, i risultati di un pensiero senza visione e senza progetto.
Cui prodest? Io credo a nessuno.
Nemmeno alla scuola privata nel medio termine.
Le private (tranne i davvero pochissimi istituti di consolidata e provata serietà) hanno quasi sempre preso a modello la pubblica semplificandone la severità e amplificandone la funzionalità; che cosa riusciranno a proporre se non un progetto di babysitteraggio e/o parcheggio-adolescenti assistito?
Lieta di confrontare idee.
Provo ad intervenire umilmente in un dibattito acceso quanto interessante. E provo a rifuggire da posizioni estremistiche… e piuttosto che contestare o appoggiare qualcuna delle opinioni già espresse, provo a dire la mia. Cercherò di essere breve, ma dubito di riuscirci.
1. La scuola è UNA delle agenzie educative dei nostri giovani ed adolescenti. E non può ignorare il web e tutte le risorse che questo “strumento” mette a disposizione.
2. La scuola DEVE fornire gli strumenti per orientarsi nella società. E dunque anche su internet. QUesto non significa, a mio parere, dire COME si deve usare internet. Io sono per un approccio antidogmatico, in tutti i sensi. Dire: questa è una fonte attendibile e questa no, è un approccio dogmatico. Dire che il cartaceo è cultura e il digitale no, è approccio dogmatico. Dire che PRIMA bisogna imparare a usare internet e POI bisogna usarlo è un approccio dogmatico. A mio figlio piccolo non ho insegnato PRIMA come si cammina e POI si è messo a camminare. Ma ha imparato camminando, e io ho cercato di “aggiustare il tiro”. Ma è LUI che ha trovato il suo modo di camminare.
3. La scuola non deve essere autoritaria. La scuola deve essere autorevole. E altrettanto vale per il docente. Io ritengo di essere autorevole con i miei alunni. I feedback che ricevo me lo confermano. Ma mi metto in continua discussione, la mia comunicazione (non solo didattica) è bidirezionale, non a senso unico. Ovviamente nella mia interazione didattica e personale non prescindo dalle regole. Ma le regole vengono vissute, non solo enunciate o imposte. Un esempio per tutti: utilizzare il cellulare in classe, durante la lezione, diventa elemento di disturbo all’apprendimento. Per questo non lo usiAMO. E’ prassi, mia e loro, il non utilizzo del cellulare. E questo a prescindere da direttive ministeriali, leggi dello Stato o leggi Costituzionali. E’ semplice buon senso. Le regole sono, secondo me, la codificazione del buon senso.
Mi fermo qui per ora. Ma mi riprometto di continuare.
@ Pino, come non concordare sul autorevolezza vs. autorità o dogmatico (credo) v. antidogmatico (voglio capire) e, non ultimo, imparare nel fare che significa imparare per uno scopo vs. imparare per imparare? Riassunti in poche parole alcuni dei cardini fondamentali della scuola che vorremmo
Egr. Marconato,
come preferisce, posto qui le mie considerazioni. Ho tagliato un pò qua e un pò là ripromettendomi di approfondire alcuni punti se qualcuno ne facesse richiesta, ma il risultato è comunque un pò corposo. Come le dicevo, penso ora di avere una visione migliore delle sue opinioni, ma beninteso sarà lei a doverlo stabilire. Andiamo con ordine: sul recupero delle “buone maniere”, del rispetto a scuola, ecc. siamo d’ accordo, ma per come la vedo io non si tratta affatto di dettagli. Dopodiché lei non vede “altro di positivo”, ma io avevo parlato (oltre al resto) anche di cessare la farsa delle promozioni facili a tutti, a prescindere dal merito e dall’ impegno; se non è positivo questo… Non si può certo rimproverare alla “vecchia” scuola un’ eccessiva manica larga nelle promozioni (casomai il contrario!). Ripeto ancora che non ritengo affatto conveniente un “inversione a U” sulla scuola, ma auspico la conservazione degli aspetti positivi e una accorta modifica di quelli negativi. E veniamo ai pedagogisti, perché, di nuovo, si tratta di mettersi d’ accordo sui termini. Quando parla di “restaurazione a 360 gradi” riferendosi agli attacchi ai pedagogisti e alle “metodologie”, io penso che stia semplicemente giocando “al rialzo”. Non nego che vi siano state e vi siano posizioni di critica più “estremistiche”, ma in tutto quanto ho scritto finora, e in tutti gli esempi che le posso citare (e alcuni li citerò) non c’ è una critica alla metodologia tout court, ma solo a CERTA didattica e a CERTA metodologia. Nello specifico, a una metodologia che si dimentica troppo spesso del proprio ruolo di catalizzatore del processo di acquisizione critica di una disciplina specifica a danno di quella disciplina stessa. Sto esagerando? Entriamo nel merito di uno degli articoli che ha citato. Per esempio, quando parla dello sviluppo a tutti i livelli delle “competenze cognitive superiori (pensare, ragionare, riflettere, capire)”. Il punto, mi perdoni, è che non esiste altro modo serio e redditizio per imparare a “pensare”, a “ragionare”, ecc. che non quello, appunto, di prendere qualcosa di concreto (un problema di matematica, una poesia, una pagina di storia, di economia, di diritto ecc.), rimboccarsi le maniche e cercare di comprenderne il contenuto, di riflettere sulle sue implicazioni e sul pensiero dell’ autore, ecc. Ogni altro “approccio” diverso da questo può solo costituire un’ integrazione, talvolta utile, spesso necessaria, ma sempre di integrazione stiamo parlando. Esattamente come per imparare a suonare il pianoforte è necessario studiare una teoria (quella della notazione musicale e del tempo (che, nello specifico, resta entro le cerchie della musica stessa e non ne va “al di là”), ma occorre confrontarsi prima o poi con lo strumento vero e proprio. Parlandomi di “competenza di risolvere problemi” sfonda una porta aperta, ma come sopra, il metodo migliore è prendere un problema specifico e tentare di risolverlo; poi prenderne un’ altro, un’ altro e così via. Tutto il resto deve venire dopo, o non ci saranno risultati apprezzabili. Quando leggo, invece, “la conoscenza per la conoscenza non è utile ma serve la conoscenza applicata, usata per fare qualcosa”, mi deprimo. Questa affermazione più di ogni altra manifesta l’ intrinseca inapplicabilità in casi concreti di certa metodologia e di certa didattica. Cosa succede se, come dice lei, applichiamo questo “criterio” a qualcosa, per esempio, alla conoscenza delle scienze matematiche e fisiche? Succede che commettiamo un errore IMMENSO. Nella vita reale a che serve lo studio dell’ aritmetica dei numeri interi? Non il “far di conto”, beninteso, ma (per esempio) lo studio dei numeri primi o delle congruenze Gaussiane? A che serve l’ algebra? a che serve scomporre un polinomio o trovare una formula per le radici delle equazioni algebriche di 2°, 3° o 4° grado? Quali sarebbero le “applicazioni” di questi enti? Queste nozioni sono nate nella più suprema e ostentata indifferenza per la loro “utilità”; chi le ha concepite non aveva il minimo interesse per una loro “applicazione a qualcosa”. C’ è stato addirittura chi si è VANTATO di dedicare il proprio tempo a cose completamente “inutili” come queste. Il fatto è che ciò ha accomunato tutto lo sviluppo storico delle scienze matematiche e naturali, dai greci ad oggi: ogni innovazione in questi campi è stata partorita dalla mente di persone il cui unico scopo era proprio la tanto deleteria “conoscenza per la conoscenza”. Nonostante questo e fuori da ogni più roseo auspicio, molto di questo immenso deposito di conoscenze ha trovato applicazione nei campi più disparati: fisica, chimica, economia, biologia, scienze naturali, informatica. Se lei oggi vanta tanto i pregi del web, è perché qualcuno, tanti anni fa, è riuscito a idearlo grazie a solide conoscenze di matematica e logica, apprese “trasmissivamente” da una scuola (dal suo punto di vista) con zero “didattica” e zero “metodologia”. La “tecnologia”, l’ “innovazione” ecc. non nascono sugli alberi, ma sono principalmente applicazioni delle scienze di base “trasmissive”; puntare tutto sui frutti e occuparsi negligentemente (o per nulla) della pianta è tanto miope quanto ignorante (a proposito di “operazioni prima di tutto, ignoranti”…), ma lo dico senza voler minimamente insultare. E non lo dico io, ma lo hanno detto tanti tante volte, persino Albert Einstein. Fin dalle scuole elementari una materia come la matematica (la disciplina attualmente più importante e pari soltanto allo studio della propria lingua madre) non può e non deve essere presentata come “applicativa” per il semplice fatto che NON LO E’. Voglio raccontarle un aneddoto: una volta il re Tolomeo domandò ad Euclide un mezzo più rapido e agevole per apprendere la sua geometria, ma Euclide rispose: “Maestà, non esistono vie regie in geometria”. Altro che “conceptual knowledge”! Sotto questo punto di vista la matematica da allora non è cambiata di un ette: non ci sono scorciatoie, c’ è un solo modo per insegnarla proficuamente e centomila per non insegnarla affatto. Sorvolo per ora, tuttavia, sulla mia didattica “trasmissiva” e “piatta”, ma entrerò nel merito se ne vorrà sapere di più. Se ritiene, invece, che oggi occorrerebbe andare al di là della parcellizzazione tra discipline o non so cos’ altro, mi creda, i suoi studenti la matematica non la sapranno mai. Forse avranno i “metodi”, forse avranno , come dice lei, “appreso ad apprendere”, ma non avranno la materia su cui lavorare, sulla quale concentrare la propria attenzione. Dal momento che questa disciplina bisogna comunque saperla e insegnarla, non vedo alternative. Non vorrà mica seriamente sostenere che lo studente debba farsi le “proprie matematiche” (ammesso che qualcuno possa spiegarmi di cosa si tratta)? Sono d’ accordo sul fatto che non sia utile ingurgitare passivamente i vari contenuti, ma appropriarsi approfonditamente di nozioni e metodi sviluppati da altri non coincide nella maniera più assoluta nella passività di cui sopra e nell’ uccisione in culla di ogni scintilla creativa. Se fosse così allora assisteremmo da secoli al protrarsi di una stasi culturale insopportabile, i testi più all’ avanguardia sarebbero quelli di Arisotele e nessuno potrebbe sgarrare di una virgola perché “ipse dixit”. Invece una conoscenza approfondita del “prima” permette di riconsiderarla criticamente e di innovarla. Non appena uno studente arriva alla comprensione approfondita di un argomento (unica fase in cui si potrebbe eventualmente parlare di “ruolo passivo”), di fronte al successo nell’ affrontare alcuni esercizi aumenta la propria fiducia in sé stesso. In alcuni casi, il senso di curiosità nei confronti della materia fa sì che egli inizi ad approfondirla da solo, senza l’ insegnante, magari tramite un testo più corposo, o anche tramite internet, perché no?. Sarà poi compito dell’ insegnante consigliare le fonti più autorevoli e appropriate (esistono oggettivamente, quindi perché negarlo?) per soddisfare questa curiosità. Questa fase è tutt’ altro che “passiva”. In mancanza di un insegnamento strutturato così (per esempio senza una valutazione di merito del rendimento), invece, lo studente non sarà stimolato a interessarsi alla materia, la considererà banale e indegna della propria attenzione. Tutto questo discorso che mi sono permesso di farle, potrebbe essere applicato pari pari allo studio della storia, della letteratura, ecc. ; materie eminentemente teoriche e non “applicabili” a nulla. Il che rende priva di fondamento e di utiltà, secondo me, anche la frase “non ha alcun valore l’imparare per imparare anche in assenza di una applicazione” di Schank. Chi professa che “la scuola crede che studiare sia una parte importante dell’apprendere”, mi chiedo se si sia mai trovato di fronte a una classe di alunni ad insegnare qualcosa. Ma Schank cosa dice degli studenti cinesi, indiani e coreani, che trovano normalissimo stare ore a sedere a studiare dopo le lezioni? Sarà un caso, ma la maggioranza dei PhD conseguiti negli USA da qualche tempo a questa parte riguarda proprio studenti asiatici, che poi riportano la loro competenza in patria; lei chi pensa che porterà “innovazione” e “nuove tecnologie” in futuro se non persone con un analogo curriculum di preparazione approfondita nella varie discipline? Specie a fronte al crollo delle vocazioni scientifiche che imperversa per tutto l’ occidente. Mi consola almeno il fatto che sulla disciplina a scuola si sia mostrato d’ accordo con me e non con Schank, ma riconosco di non poter chiudere così tutte le questioni e i punti da lui sollevati. Invece ci sono state (e ci sono) voci, anche molto autorevoli, che hanno espresso fortemente il loro dissenso nei confronti di una visione della scuola molto simile a quella che ha Shank. Anzi, in molti casi non si tratta di discorsi teorici, ma di critiche 1) A POSTERIORI, ossia sui RISULTATI che porta una scuola come la intende lei, e 2) CONTINGENTI, vale a dire riguardanti specifici casi ed esempi concreti, in virtù del fatto che, a quanto pare, alcune istanze di rinnovamento da lei auspicate si siano realizzate da qualche parte (purtroppo) concretamente. Conosce (almeno credo) quelle del prof. Israel, che in Italia ha scritto molto contro il degenerare di una scuola in cui fin dalle elementari si riscontrano lacune (mai più colmate) nel lessico, nella scrittura, nelle conoscenze matematiche e storiche nei bambini. In rete ho avuto occasione di visitare i blog di tanti insegnanti che la pensano come il prof. Israel, gente che non ne può proprio più di sentir parlare di “scuola della condivisione” e che ha scritto anche dei libri in proposito. Comunque, senza fare nomi, penso che alcuni li abbia sentiti e, anche solo in parte, conosca le loro critiche. Invece vorrei permettermi di alzare un po’ “il tiro” e chiederle se conosce la vicenda Lafforgue in Francia. Se non la conosce, potrà trovarne un esauriente riassunto ai seguenti link, che le consiglio di leggere con attenzione:
http://www.clonline.org/Art_dett.asp?offset=2669&ID=20061226
http://www.euresis.org/Public/EditorUpload/Documents/mc2/mc2_28/reprint28_lafforgue.pdf
Ecco, secondo me è stato vergognoso che in un paese civile come la Francia si sia potuto verificare che un eminente e brillante ricercatore sia stato messo da parte per evitare di mettere in discussione il paradigma “culturale” dominante sulla scuola, non crede? Per come la vedo io, è un po’ come se si decidesse di rinunciare al parere di un luminare della medicina per non rischiare di mettere in discussione i precetti di un manipolo di maghi e guaritori a cui lo stato ha consegnato per legge le redini della scuola. Eppure Lafforgue ha tanto da dire e ha detto tanto; ha parlato delle teste dei bambini delle scuole elementari, che girano come le trottole per la confusione; ha parlato di “politiche ispirate da un’ ideologia che non attribuisce valore al sapere”, di “teorie pedagogiche deliranti”, di “teorie dell’ allievo al centro del sistema” che ”deve costruire lui stesso i suoi saperi”, e di tante altre assurdità che, a parer suo, infestano la scuola francese di oggi ma che, a meno che io non abbia capito male, riscuotono la sua approvazione. Lei si sentirebbe davvero di non dare il minimo peso alle critiche di uno scienziato che ha raggiunto risultati intellettuali così straordinari da essere degni di una medaglia Fields (un riconoscimento più prestigioso e raro persino del Nobel)? Forse la situazione italiana non è come quella francese, ma pare che le lacune degli studenti che accedono all’ università siano molto simili, e non solo nella loro gravità. In ogni caso, comunque, penso che meditare le parole di Lafforgue non possa che essere utile anche per noi. In fondo, neanche a farlo apposta, Lafforgue risponde persino a suo figlio, egr. Marconato. Di fronte a un insegnante che “straparla” viene sì la voglia di chiacchierare con il compagno di banco, ci mancherebbe, ma c’ è una cosa per cui, “anche quando a lezione ti annoi, continui ad ascoltare e a prendere appunti”. Di cosa si tratta? Dell’ AUTOCONTROLLO. Con questo non sto crcando di giustificare l’ insegnanate di suo figlio, il cui modo di insegnare è magari effettivamente poco “attrattivo” e un pò noioso. Del resto funziona così anche all’ università e nel mondo del lavoro, e sono sicuro che un uomo della sua età lo sa bene. Con tutto il rispetto, quell’ episodio da lei raccontato sull’ entusiasmo di suo figlio per le nuove tecnologie e sul tempo che ha impiegato autonomamente per prendere dimestichezza con il pc è un esempio di come egli dedichi impegno a qualcosa che ha suscitato il suo interesse e la sua curiosità, ma non significa nella maniera più assoluta che qualcosa che non susciti la sua attenzione e la sua curiosità sia necessariamente indegna della sua concentrazione e della sua fatica, poco utile o poco importante. Mi sbaglio? Non tutte le attività utili sono piacevoli e facili, esattamente come non tutte le attività piacevoli e facili sono utili: non capisco davvero l’ utilità di nascondere a un bambino o ad adolescente questo semplice dato di fatto, “nato digitale” o no che sia. Sa, tanti insegnanti nel corso della Storia non hanno brillato per comunicatività e didattica, seppure molto validi e competenti nella loro disciplina, ma i loro studenti si sarebbero persi molto se si fossero sempre messi a chiacchierare durante le lezioni.
Parole sagge, Pino, e dense di esperienza sul campo: un’esperienza meditata e rielaborata. La consapevolezza che la scuola sia solo una delle “agenzie” educative è importante, ne parliamo da tempo. Però non sempre ne traiamo le conseguenze (pragmatiche almeno) che ciò comporta.
Ad esempio, ipotizzo… e chiedo cosa ne pensate, partendo da questa premessa il concetto stesso di “educazione” non si sposta inevitablmente verso quello di “esperienza”?
Mi piacerebbe, inoltre, discutere sul concetto di approccio dogmatico o meglio antidogmatico. Che ne pensa, ad esempio, anche A. Marinelli?
E’ il solito modo di fare informazione, anzi di non farla e di dare una visione verosimile della realtà.
Tutto sta nel numero di quel che si cita e che si omette di raccontare.
Il sistema ha fallito in modo puntiforme? Molto bene, si dia grande risalto all’intoppo, al baco del sistema, al problema e con questo si taccia tutto il resto.
Non parliamo degli esempi positivi della rete, non parliamo di Cultura che circola, quella con la C maiuscola, parliamo solo dell’errore.
L’unica arma per opporci a questo e riportare i dati reali e darne amplificazione in modo coordinato.
Sul network siamo 800 persone. Dobbiamo far sapere al modo che la rete funziona, anzi dobbiamo farlo sapere a quella parte del mondo che ancora non lo sa.
Per conto mio, vi assicuro che il giorno che mi oscurano internet io emigro.
Chiedo scusa se intervengo con un post brevissimo, ma lo scritto lungo e interessante di Marinelli mi ha punto nel vivo in una metafora che ha usato e alla quale non posso fare a meno di replicare immediatamente.
Scrive il Marinelli:
<>
Bene, io sono un docente di strumento musicale. E per imparare a suonare il pianoforte (o un qualsiasi strumento) è la VECCHIA didattica che imponeva di studiare PRIMA il solfeggio (teoria e musica PARLATA) e POI iniziare a mettere le dita sul pianoforte.
Purtroppo questa prassi didattica è ancora molto, troppo diffusa. La norma relativa ai corsi ad orientamento musicale è in questo più all’avanguardia, in quanto parla di “teoria e solfeggio DILUITI nella pratica strumentale” (ho citato a memoria, quindi potrei essere non preciso, ma il senso è quello).
Bene, io la teoria musicale la faccio studiare, e la faccio anche formalizzare ma CONTEMPORANEAMENTE allo studio dello strumento. Quando risulta STRETTAMENTE collegata alle esigenze esecutive.
E tutti (molti) dicono: ma noi abbiamo studiato PRIMA il solfeggio e POI lo strumento. E vedi? Comunque siamo arrivati a padroneggiare anche lo strumento.
Controrisposta mia (ma ovviamente fondata su studi non proprio recentissimi): ma con noi che ce l’abbiamo fatta, quanti hanno abbandonato proprio per il solfeggio? Proprio perché volevano suonare e si sono trovati a sorbire nozioni di torte divise in due, in quattro, in otto, in un quarto più la metà di un quarto, e compagnia bella?
Molti. Troppi compagni di studi non ce l’hanno fatta a superare lo scoglio del solfeggio.
E’ questo quello che vogliamo? Una scuola in cui quasi darwinianamente ci sia una selezione non sull’aspetto fondamentale (suonare uno strumento) ma su quello che “si presume” (a torto) esserne un prerequisito “imprescindibile”?
La mia risposta è NO. Non è il più forte che deve sopravvivere. IL più forte proseguirà la sua strada e valorizzerà sempre di più le sue capacità, abilità e competenze. Ma il più debole DEVE (ed è un dovere etico, prima ancora che normativo) avere la possibilità di fruire di un intervento didattico secondo le sue capacità. Il ben-essere a scuola DEVE essere preoccupazione costante della scuola a favore di tutti, e non appannaggio di pochi eletti.
scusate ma mi ha tagliato la citazione, che riporto qui:
Esattamente come per imparare a suonare il pianoforte è necessario studiare una teoria (quella della notazione musicale e del tempo (che, nello specifico, resta entro le cerchie della musica stessa e non ne va “al di là”), ma occorre confrontarsi prima o poi con lo strumento vero e proprio.
Parte prima
Egregio Marinelli,
la ringrazio per l’esteso contributo che mi da modo di meglio conoscere il suo punto di vista e di replicare, spero, in modo altrettanto circostanziato.
Credo che l’idea di scuola che lei propugna si fondi su un fraintendimento di enorme rilevanza: La scuola d’oggi, la scuola che lei crtirica, la scuola per la quale lei propone i sui rimedi è già la scuola che lei immagina. La scuola d’oggi è già la scuola del passato alla quele lei vorrebbe ritornare. Non serve fare alcuno sforzo per “ritornare” a quella scuola. Quella scuola c’è già; è qui, presente, viva e vegeta. La scuola d’oggi non è quella delle “innovazioni didattiche” contro cui lei si scaglia; quelle innovazioni sono poca, pochissima cosa. Casi isolati (anche se felici). La “nuova” scuola è più nelle parole, nei desideri, negli auspici degli innovatori che non nella pratica. La scuola che lei condanna (giustamente) è proprio la scuola che auspica.
Credo, inoltre, che nel propugnare il modello di scuola che descrive, lei commetta un’omissione di enorme rilevanza: lei pare (dico “pare” perché con questi temi non si misura ma può averli ben considerati e ritenuti irrilevanti) trascurare tutta la ricerca contemporanea (dicamo 20 – 30 anni?) sull’apprendimento, sui processi cognitivi, sulle strategie didattiche, o meglio, di apprendimento correlate. La sua pedagogia, la sua didattica si ferma a parecchio tempo fa e non si misura con i risultati del lavoro serio, documentato, rigoroso di numerosi scienziati di rilevanza internazionale.
Non basta liquidare quegli approcci con la definizione spezzante di “CERTA didattica, di CERTA metodologia. Nel suo valutare quegli approcci, la prego di non farsi ingannare da CERTE applicazioni che vede nella scuola oggi. Gli utilizzi seri, competenti, riflettuti di quegli approcci sono ben pochi, oggi, qui nella nostra scuola. Assistiamo, per contro, a numerosa didattica pseudo-attiva, pseudo-costruttivista, pseudo-innovativa di dubbia qualità. Applicazioni superficiali, parziali .. dovute ad una comprensione superficiale, parziale di quegli approcci e degli assunti concettuali che ne stanno alla base. Applicazioni, a volte dettate dalla buona volontà ma non sostenute dalla comprensione e dalla competenza. Applicazioni che ipersemplificano il processo di apprendimento , che ne trascurano la complessità, che lo banalizzano. Le applicazioni rigorose, competenti, autentiche di quella che lei definisce CERTA pedagogia sono davvero poche e dove ci sono gli effetti sono di straordinaria rilevanza.
Proseguirò entrando nel merito delle cose su cui concordiamo e di quelle su quelle su cui dissentiamo.
Da pedagogista (causa di tutti i malanni della scuola) vorrei fare qualche piccola osservazione:
1. la crisi dell’autosufficienza saperi non è una questione locale, che riguarda lo stato attuale delle scuole, imbarbarite da pseudoesperti, ma è questione storico-sociale, che prende le mosse nella seconda metà dell’Ottocento, in buona parte degli ambiti scientifici e tecnologici;
2. questa crisi si accompagna (non è causata da, nè è essa stessa causa, semplicemente si accompagna) alla democratizzazione del sapere e allo sviluppo delle tecnologie della conoscenza e della comunicazione (stampa periodica, telefono, radio, cinema, televisione, computer, rete);
3. il rapporto tra 1 e 2 sta ancora attendendo un riconoscimento da parte della cultura scolastica dei paesi occidentali;
4. il pensiero restauratore, oggi dominante nella pedagogia spontanea di quanti si preoccupano di scuola, nel nostro paese, fa riferimento ad un’idea di istruzione (e educazione) che sta al di qua di quanto indicato in 1 e 2, in ciò contribuendo ad un processo ormai inarrestabile di descolarizzazione.
Egr. Monopoli,
premetto che, pur sapendo suonare il flauto e la cornamusa, non conosco affatto bene le notazioni musicali e tutta la teoria musicale, per cui sicuramente lei ne sa molto più di me. Il mio riferimento al pianoforte voleva essere solo un esempio del fatto che, per come la vedo io, ogni ragionevole metodo di insegnamento di una disciplina non deve “sublimarsi” fino a scordarsi che il proprio fine è proprio fornire una padronanza quanto più approfondita della disciplina stessa. Non intendevo dire che, per forza, il solfeggio deve venire PRIMA dell’ esperienza diretta col piano, ma che insegnare a suonare il pianoforte non può consistere SOLO di solfeggio. Allo stesso modo, una didattica e una metodologia che “sublimino” ad uno status di discipline indipendenti dalle altre, quasi delle “metadiscipline”, non sarebbero più di aiuto all’ insegnamento della matematica, della storia, della letteratura, ecc. Anzi, perdendo di vista queste materie, sarebbero nettamente d’ intralcio. Ciò, ci tengo a precisarlo, non vuol dire che non abbia senso elaborare degli sviluppi teoretici per didattica e metodologia in generale, che potrebbero anche essere interessanti e degni oggetti di studio, ma al massimo a livelli di università. Nella scuola è opportuno riservare la posizione centrale ai contenuti, alle materie e ad una didattica funzionale all’ apprendimento di quest’ ultime. Infine, sul fatto che “il più debole DEVE avere la possibilità ecc.”, sono ovviamente d’ accordo con lei, ma, anche in questo caso, non bisogna esagerare. Simmetricamente, non bisogna mettere “al guinzaglio” gli elementi più promettenti e brillanti solo perché ci sono altri meno interessati di loro (specie perché, per mia esperienza, si tratta meno spesso di “talento” e molto più spesso di svogliatezza, difficoltà a concentrarsi, ecc.). Premiare il merito, non dimentichiamolo, può anche costituire uno stimolo per chi non ha ancora raggiunto certi risultati. Garantire lo stesso risultato a tutti a prescindere, invece, comporta molto più spesso l’ indifferenza e la perdita di interesse piuttosto che una soddisfazione generale.
Egr. Marconato,
ma lei si sente davvero di poter sostenere seriamente che “la scuola d’ oggi è già la scuola del passato”? Dai tempi di Don Milani a questa parte lei non denota alcuna differenza? Eppure mi sembrava di aver almeno accennato, che so, a scarsi rendimenti scolastici e a troppe promozioni immeritate, tutte cose che hanno molto a che fare con la scuola di oggi e nulla a che fare con la scuola “vecchia” (come ho già detto, casomai era il contrario!). E, di nuovo, come ho già detto, non ritengo nè UTILE nè POSSIBILE un’ inversione a U dalla scuola di oggi a quella del passato. Inoltre, mi creda, io non “condanno” alcun tipo di scuola, meno che mai quella che “auspico”. Mi permetto semplicemente di criticare, osservare ed esprimere il mio disappunto quando lo ritengo opportuno, ma sempre entrando nel merito, spiegando i motivi e fornendo esempi. Si tratta di una critica, non di una “condanna”. Nel mio post precedente ho cercato di mostrare perché alcuni approcci didattici (sicuramente molto innovativi) presentati nei link che ha citato, per esempio le teorie di Schank, risultano praticamente inapplicabili all’ insegnamento di materie specifiche e, per loro natura, eminentemente “teoriche” come la matematica, molte discipline umanistiche, ecc. Il che, tra l’ altro, è abbastanza ironico se si pensa allo slogan dell’ inutilità della “conoscenza in assenza di una applicazione”. Tuttavia lei dice che mi starei facendo irriverentemente beffe di “ricerca contemporanea sull’apprendimento, sui processi cognitivi, sulle strategie didattiche” e via discorrendo. Vorrei chiederle, quindi, di fornirmi degli esempi di “applicazioni rigorose” e di “effetti di straordinaria rilevanza” di buona pedagogia dal suo punto di vista. Se scenderà un pò più nei dettagli potrei accorgermi che ha ragione, ma mi permetto di rivolgerle la seguente domanda: queste ricerche pluridecennali sono applicabili a qualcosa (sempre in nome dello spirito della “conoscenza per l’ applicabilità”)? Danno a me, insegnante di matematica, dei consigli utili, pratici e comprensibili su come migliorare la didattica della mia disciplina e far sì che i miei studenti la padroneggino meglio? Cosa direbbero di concreto questi nuovi paradigmi didattici e metodologici a un insegnante disposto a seguire le loro direttive? Perché se la risposta è “nulla di concreto e applicabile”, allora è inutile che continuiamo a discuterne. Se invece la risposta è diversa, non escludo a priori che possa esserci anche qualche buona idea, ma mi riservo di riparlarne dopo averne saputo di più. Per il momento concludo dicendo che se lei mi esorta a non disprezzare un patrimonio di ricerche di 20-30 anni, allora vorrei esortarle a non sottovalutare un patrimonio di ricerche e conoscenze di 2000-3000 anni.
Beh, ci sarebbe poco da dire. La contrapposizione tra conservatori e innovatori è millenaria. Se si vuole rispondere, è difficile evitare i toni della filippica.
La cosa interessante di ogni approccio conservatore è questo rimpiangere i bei tempi che furono senza comprendere, come ha già notato Gianni, che i tempi non sono (purtroppo) cambiati per nulla. E proprio questo è il problema della scuola di oggi. Il mondo è trasformato totalmente, e la scuola non è cambiata per nulla. E questa direi che è una verità che possiamo dare per scontata, perchè chi la nega non è mai entrato in una scuola.
Riprendo l’esempio di Pino sulla musica, con cui concordo ovviamente, aggiungendo una chiosa: occorre dire che non sono affatto i più “forti” che resistono ad una didattica nozionistica teorica astratta, ma sono i più imbecillemente sgobboni. Chi ha talento e cervello rifiuta lo studio per lo studio. Sempre. Chi ha talento apprende voracemente e basta. Divora. Ho conosciuto talenti enormi violentati dalla assoluta e violenta inutilità dei corsi di composizione conservatoriali. Chi ha talento, fugge ogni dogmatismo. E chi ne ha meno, di certo non ne acquisirà con il dogmatismo. E’ il caso di chiamare le cose con il loro nome, senza tanti giri di parole. Gli studenti che oggi, anno 2010, ancora studiano per mero senso del dovere tanto per studiare (e quindi senza che l’apprendimento sia per loro significativo), sono quelli più deboli, più fragili, meno autonomi, meno liberi. Lo studente evoluto di oggi non ragiona come un cinese o un italiano sgobbone del XIX-XX secolo. E’ un ragazzo che si informa da solo, che impara da solo, che crea da solo, che se ne fotte dei miei titoli accademici e del mio ruolo di insegnante. Vuole una cosa e se la prende. Se puoi aiutarlo, sei uno che vale, altrimenti sei solo un cretino che si vanta del titolo di insegnante. E questo è uno studente evoluto, sia chiaro. E non uno studente degenerato e strafottente, come vorrebbero dipingerlo i peracottari che rifiutano tutta la storia del pensiero degli ultimi 50 anni.
Mi rivolgo ora a Marinelli, strenuo difensore dell’indifendibile Israel, a cui forse non è chiara una cosa. Una cosa su cui lo invito a riflettere seriamente e che dovrebbe farlo subito ricredere su tutta la linea. Marinelli, stai ricevendo attenzione qui, proprio perchè non siamo quei vecchi professoroni che tanto dimostri di apprezzare. Non siamo quelli delle nozioncine di grammatica e di algebra. Quei vecchi professoroni che tanto ti piacciono neppure avrebbero preso in considerazione i tuoi commenti da anonimo sconosciuto (chi è Lei? I suoi titoli? si qualifichi!), i tuoi ripetuti strafalcioni linguistici, il tuo ignorare sistematicamente tutto il pensiero contemporaneo. Eppure, qui un Gianni Marconato, che vanta una pluridecennale esperienza nel campo, con tanta umiltà e infinita disponibilità ti spiega passo dopo passo i tuoi macroscopici errori. Ed è questo il nuovo mondo, Marinelli. Tu in fondo ti stai servendo di una possibilità nuova per ribadire pensieri a dir poco obsoleti. Ma ti stiamo rispondendo solo e perchè siamo formatori e docenti evoluti. Un professore vecchio stampo ti avrebbe ignorato o al massimo ti avrebbe umiliato mettendo in evidenza i tuoi strafalcioni. E sai l’unico caso in cui un professorone ti avrebbe risposto? Nel caso in cui gli avresti leccato il sedere. Allora sì, che ti avrebbe perdonato tutto. Pensa, quindi, che chi la pensa diversamente da te ti sta dedicando il suo tempo, mentre chi tu dimostri di amare, se ne fregherebbe di te e del tuo pensiero per il semplice fatto che per lui non esisti.
Non dimentichiamo mai che al centro di tutto ci sono i ragazzi, non le nostre teorie.
Questi ragazzi faranno piazza pulita della scuola in cui si studiava a suon di bacchettate e bocciature (bocciature! cosa mi tocca ancora sentire nella scuola del XXI secolo! BOCCIATURE!!!). E lo faranno naturalmente. Dimostrandoci che la maestrina che ci dice di studiare le nozioncine e ci segna gli errorini con la penna rossa e blu può essere sostituita in meglio da un programmino al pc, mentre per creare un uomo a mille dimensioni occorre ancora un maestro vero, una guida integrale, un formatore a 360 gradi.
Guardate il mondo che ha creato quella cultura trasmissiva d’accatto! Quella che un Israel rimpiange! E’ sotto i nostri occhi ogni giorno! Guardate i nostri politici! Guardateli! Del tutto incapaci di governare i processi del nuovo millennio! Miopi! Imbarazzati e imbarazzanti! Pa-te-ti-ci! E i giovani che fanno di fronte a questo? Stanno a casa e non perdono certo del tempo andando a votare. E gli stessi giovani, scusate, cosa stanno facendo con la scuola? La stessa cosa. Più diventano grandi e autonomi, più decidono di stare a casa e non perder tempo con chi ti spiega la regoletta sulle funzioni e 3 ottave dell’Orlando Furioso!
Quella scuola autoritaria-trasmissiva-passiva-rimbecillente, che qualcuno ancora ha il coraggio di rimpiangere, ha prodotto questa classe dirigente. Quella scuola, che ti faceva imparare canti di Dante a memoria!, ha prodotto una classe dirigente stracolma di tutti i vizi che Dante ha denunciato otto secoli fa: regna ovunque l’avidità, linvidia e l’accidia. Ma che importa? Io so la Commedia a memoria! “Ripeti come un pappagallo, bel bambino! Ma non capire nulla di quello che leggi, per carità! Dimmi al massimo le figure retoriche che ci sono nel testo! E’ una filastrocca il buon Dante! Ripetimi i versi e poi comportati come vuoi! Sono endecasillabi, non è mica vita!”
Coloro che hanno studiato in quel modo passivo, subendo l’autorità del Professore, li riconoscete subito oggi: sono tutti coloro incapaci di comprendere i nostri tempi. Sono tutti coloro per cui esiste un mondo di carta, non un mondo di carne. La carta dei libri e non la carne degli uomini. Ma i libri fino al 1960! mi raccomando! Ed esclusi sempre i testi di tutte le avanguardie! Quelli sono pericolosi! Che poi ci tocca dire che neppure i libri sono buoni, perchè si inizia a parlare di psicologia, pedagogia, comunicazione, media, e ci tocca rinnegare pure l’autorità libresca!
Di cosa stiamo parlando, signori.
Israel può parlare quanto vuole. Ma il suo mondo è terminato. Il suo tempo scaduto.
I giovani ci pongono una domanda di realtà. Sono loro il futuro. Noi possiamo aiutarli ammettendo le nostre difficoltà, o fregarcene di loro scegliendo di proclamare la validità perenne della nostra (oggi inutile)formazione.
Il dado è tratto. Seguiamo i giovani e tutti gli adulti che stanno con i giovani. A chi soffre di torcicolli nostalgici non posso fare che un augurio: vivere un po’ in mezzo al mondo, e leggere qualche testo eretico in più.
Continuiamo nelle scuole la nostra battaglia di igienico rinnovamento e lasciamo perdere i vecchi accidiosi lamentosi. A loro i titoli. A noi la vita.
Auguri a tutti
Egr. Saccocio
innanzitutto vorrei chiederle di darmi del lei, come ho fatto sinora io. Poi le dirò che, di nuovo, alcune sue posizioni mi sembrano davvero un pò troppo radicali. Il mondo è trasformato completamente rispettoa 40 anni fa, è vero, ma anche la scuola in parte è cambiata, nel bene e nel male, e non è più quella di una volta; riconosciamolo per non cadere nel ridicolo; lo dicevo anche prima al sig. Marconato. Lei parla di studio all’ insegna del “senso del dovere”, ma quest’ ultimo non è poi completamente da buttar via. Se sapientemente indirizzato da validi esempi (famiglie responsabili, validi insegnanti, ecc.) potrebbe rivelarsi molto utile alla società tutta. Ancora, “chi ha talento e cervello” rifiuta forse “lo studio per lo studio”, ma non rifiuta certamente “lo studio”, neanche quello impegnativo, fatto sui libri e sotto la guida degli insegnanti. Lei potrà ritenere un vanto per uno studente il “fottersi dei titoli accademici”, ma non può banalmente bollare come “cretino che si vanta del titolo di insegnante” chi ha delle riserve su questo punto. Lei mi definisce “difensore” dell’ “indifendibile Israel”, ma io ho solo ammesso che su diversi punti sono d’ accordo con lui. Non sono un “difensore” per il semplice fatto che Israel non deve essere difeso, visto che non si trova affatto “sotto attacco” e le sue posizioni sono condivise da molti (prerogativa di un “indifendibile”, non c’è che dire). Infine, non ho il minimo disprezzo per il pensiero degli ultimi 50 anni, sono molto interessato alla storia e alla letteratura (specie quella degli anni ’60), mi piace Kerouac, ecc. Forse se avesse parlato un pò più con me invece di giudicarmi solo sulla base del film che ha in testa, non mi avrebbe accusato di considerare eretica tutta la cultura successsiva agli anni ’50. Altra cosa: Il signor Marconato mi ha sottoposto del materiale e io ho espresso le mie impressioni e opinioni, ha detto che potrebbe scendere più nel dettaglio per farmi capire meglio come stanno le cose e io ho risposto che sono in attesa di saperne di più, ma che occorra comunque tenere conto di quanto argomentato sin lì. Sa come si chiama questo? Si chiama “dialogo”. Quanto è comodo e facile ravvisare negli altri una scarsissima disponibilità al dialogo, nevvero? Probabilmente quei “vecchi professoroni” a cui lei si riferisce non mi avrebbero dedicato il loro tempo, ma lei pensa di dare l’ impressione di essere molto diverso da costoro quando mi rivela che sta rispondendo solo in virtù della sua “evoluzione” e della sua superiore saggezza? Io, misero mortale, che ho l’ ardire di turbare la sublime serenità di quest’ olimpo intellettuale? Figurarsi! Comunque, se pensa che i ragazzi faranno “piazza pulita” di quella scuola che le suscita tanto disprezzo, allora di cosa si preoccupa? Nessuna “ondata reazionaria” potrà impedire loro di mandare a quel paese un insegnante come me, così ostinato nel voler proporre l’ aritmetica, i polinomi, la geometria cartesiana, il calcolo infinitesimale e via dicendo nelle ore dedicate alla matematica. Invece, curiosamente, i miei studenti mi apprezzano e nessuno si è mai lamentato dei miei metodi o della mia didattica, famiglie comprese. Lei chiama “dogmatismo” quello che io chiamo buonsenso e modesta esperienza. “Più diventano grandi e autonomi, più decidono di stare a casa e non perder tempo (!!!!) con chi ti spiega la regoletta sulle funzioni e 3 ottave dell’Orlando Furioso”. Lei invece “la regoletta sulle funzioni” magari non la sa proprio e salta l’ ostacolo a pié pari, beatamente ignaro del legame tra quella “regoletta” e i risultati culturali e tecnologici che da essa derivano. Se non insegna matematica, avrebbe potuto almeno chiedermi di saperne di più al riguardo, ma ha già deciso che sono un troglodita indegno di considerazione vero? Le piace rinfacciarmi gli “strafalcioni” (quando li fanno i ragazzi, invece, è “grammatica giovanile innovativa”) e appiccicarmi le varie etichette che di volta in volta le risultano più gradite: “nemico dell’ umanità”, “reazionario”, “obsoleto”, “miope”, “autorità trasmissiva-passiva-rimbecillente” senza avermi chiesto una sola volta che tipo di approccio io adotti con gli studenti. Le sembra un comportamento degno di una persona che aspiri ad insegnare qualcosa agli altri? Ebbene, ne ho abbastanza. E’ evidente che la mia presenza su questo blog le dà prurito agli occhi e non vedo perché dovrei contribuire a rovinarle la giornata. Continui a crogiolarsi nella ridicola illusione di essere depositario di chissà quale verità, continui a vedere negli altri il medioevo e ad affogare nella sua bile se le vicende non prenderanno la piega che lei auspica. Continui a dire che “il mondo di Israel è finito” e “il suo tempo è scaduto”; continui a ripetere questo mantra per autoconvincersi che le cose stanno così. Il futuro potrebbe riservarle brutte sorprese, quindi farebbe meglio a domandarsi se non ha qualche pregiudizio anche lei, invece di rovesciare infantilmente epiteti su chi vuole liberamente discutere. Concludo rivolgendomi a lei, egr. Marconato, per ringraziarla della disponibilità e del tempo concessomi, ma anche per assicurarle come il mio dissenso verso alcune sue posizioni non mi abbia impedito di apprezzare la cortesia e la moderazione con le quali ha esposto i suoi interventi (a differenza di altri) e commentato i miei. Buona fortuna.
Racconterò la mia esperienza. Prima di studente, poi di docente.
Al liceo (scientifico!)ho avuto sempre pessimi insegnanti di matematica: aridi, pedissequi. Per un paio di anni sono andata a ripetizioni da mio zio: mi sentivo stupida, non capivo l’utilità di tutte quelle cose. Seno, coseno…per me era solo fare un cruciverba, solo un mero passatempo che volentieri avrei sostituito con altri più piacevoli. Ho subìto la matematica per 5 lunghi anni, io che avevo scelto lo scientifico, e non solo non ho appreso nulla, ma oggi mi sento letteralemnte defraudata: sento che tanto mi è stato negato, precluso…e oggi che sono adulta, avverto la lacuna e denuncio il furto. Furto la cui colpa non è nel contenuto, ma nel docente, nella sua didattica scollata dal reale: la matematica E’ applicazione, E’ utile, E’ realtà, non ne può essere scissa. Pena studenti che sotto il banco impugnano Bartezzaghi. Per questo mi sono appassionata invece alla fisica: la vedevo, la percepivo reale, utile. Avete presente gli esercizi tipo “Quanto tempo ci vuole per riempire una vasca?” o “Se vado a 150Km/h quanto tempo e spazio impiegherò per frenare” e simili? (ricordo col sorriso una pagina di esercizi macabri sul cane in autostrada e sul suo destino in caso di frenata ritardata 😉 ) Beh, questo tipo di esercizi (eccezion fatta per quelli del cane…) mi hanno fatto amare la disciplina, non perché essa fosse intrinsecamente piacevole, ma perché veniva proposta come tale, ovvero mostrata come utile, applicata al reale, non tra le nuvole.
Dopo il liceo scientifico, ho frequentato lettere e oggi insegno con passione italiano nella scuola media.
Rimango perplessa a leggere che la letteratura o similia non sono applicabili al reale:
Tutto questo discorso che mi sono permesso di farle, potrebbe essere applicato pari pari allo studio della storia, della letteratura, ecc. ; materie eminentemente teoriche e non “applicabili” a nulla.
Come dire: letteratura, arte, musica fine e se stesse: dunque si scrive o si dipinge per non comunicare nulla? La letteratura e la storia SONO reali, concrete e applicabili. Come? Provato mai a far conforntare le canzoni d’amore alle poesie stilnoviste? Paragonate mai gli stereotipi petrarcheschi a certe pubblicità? Le letteratura non è sapere per sapere o scrivere per scrivere: è narrare per formare, formare persone e reale. Far studiare la letteratura solo perché la si deve fare, senza mostrare il collegamento al mondo d’oggi, è sterile e inutile. Lo dico da insegnante di lettere. Insegnare figure retoriche o le correnti di pensiero (ovvero la teoria) senza mostrare cosa quelle figure retoriche hanno veicolato e cosa quelle correnti di pensiero hanno modificato OGGI (ovvero la pratica) è derubare i nostri ragazzi. Nulla contro la teoria (necessaria), tutto contro la teoria per la teoria e per il voto (su cui tornerò), tutto per una teoria osmotica alla pratica e alla attualizzazione.
Mi permetto, con modestia, credetemi, di segnalare nel mio blog http://www.arringo.blogspot.com (non so perché, ma se inserisco i link non accetta il commento) alcuni lavori eseguiti in classe coi miei ragazzi: chi avrà voglia e pazienza di leggere, vedrà come teoria e pratica possano fondersi e essere “applicabili” facilemnte al reale e produrre…risultati (nel blog la parte da leone la fanno gli elaborati dei ragazzi)
qui un’attualizzazione di storia
storiografar-crescendo-iia
qui la “spiegazione”/attuazione di descrizione oggettiva e soggettiva attraverso un compito reale e divertente
vendesi-arringo
qui la “spiegazione” di una figura retorica
la-poesia-e-arrivata-in-passerella
qui l’attualizzazione del discorso poetico (Dante vs Vasco 😉 )
la-letteratura-noiosa-nooo
aiuto-ho-dei-guinizzelli-e-dei-cavalcanti-in-classe
Solo alcuni lavori: tanti altri nel mio blog, per chi vorrà visitarlo.
Non esistono argomenti piacevoli o non piacevoli, non esistono saperi applicabili o non applicabili al reale. Partono dall’uomo, come potrebbero esserne scissi o noiosi? Partono dall’uomo, di ieri e di oggi, e all’uomo, di oggi e di domani, devono tornare. A far la differenza la pratica didattica, che presenta come noioso e astratto quello che è solo presentato come tale.
Ho riprovato ad inserire i link ma niente da fare…pazienza.
Colgo l’occasione di augurare a tutti una felice e serena Pasqua e di ringraziare tutti coloro che sono intervenuti in questa discussione.
Ciao!
Essendomi prima dimenticato di fare gli auguri a tutti per una buona e serena Pasqua e volendo rimediare, approfitto di un ultimo post per rispondere a Cristina Galizia, che molto gentilmente e con più competenza di me nel suo campo, è entrata finalmente nel merito di quanto ho scritto. Sono sostanzialmente d’ accordo con lei.
Gent.ma Cristina Galizia,
sappia anzitutto che ha la mia più sincera solidarietà. Anche il mio prof. di matematica (e di fisica, purtroppo) non era un granché. Di fatto, ho iniziato ad amare queste discipline solo all’ università, e oggi mi attengo ad una didattica molto diversa da quella che usava lui. Invece i miei insegnanti di lettere e storia del’ arte erano validi e le loro spiegazioni erano molto corpose, ma erano anche parecchio esigenti. Non fatico a credere che il suo ping-pong tra passato e presente in letteratura riesca a catturare l’ attenzione dei suoi studenti. Quello che volevo intendere sulla “non applicabilità a qualcosa della letteratura, della musica”, ecc. era, però, in stretto rapporto con la tesi di Schank secondo cui “non ha alcun valore l’imparare per imparare anche in assenza di una applicazione” e con gli inconvenienti che porta (secondo me) l’ applicazione stringente di una visione così radicale. Intendevo dire che non ritengo saggio concentrarsi SOLO sull’ “applicabilità” del sapere, ricercare l’ applicabilità fine a sé stessa, vedere l’ “applicabilità” come il fine più importante, come mi pare di aver capito pensi Schank. Se ho inteso correttamente il suo pensiero, lei presenta la letteratura ai suoi studenti comunque indissolubilmente legata al suo contesto storico-culturale e soffermandosi sui contenuti veri e propri, ma crea ANCHE un ponte tra quel tempo e il nostro. Forse mi sbaglio, ma Schank farebbe un pò l’ inverso: magari darebbe importanza più ad “immergere” la letteratura del passato nel tempo odierno, ma rischierebbe di non presentare abbastanza approfonditamente l’ argomento agli studenti (magari non insistendo a sufficienza sui contenuti, sull’ aspetto storico-critico dell’ opera, ecc.). Ripeto, FORSE. Del resto, mi creda, anche una materia come la fisica, risultata a lei più gradita per via della sua “applicabilità”, in realtà può essere insegnata assai male (e del tutto indipendentemente dal fatto che si occupa intrinsecamente del “reale” e che quindi possa sembrare “naturalmente” applicativa). Basta presentarla come sterile e arido insieme di tecniche standard e di algoritmi ripetitivi per la risoluzione di una manciata di problemi-tipo, e sarà odiata dalla metà di una classe e ritenuta banale dall’ altra metà. Nè, la matematica, nella sua natura ed essenza meramente teoriche, deve per forza essere sgradevole, implicitamente poco interessante e macchinosa. Esistono metodi, mi creda, per renderla più interessante e stimolante, in certi casi anche divertente, ma tutti in seno alla matematica stessa e tali da non far perdere di vista il nocciolo della questione: gli scolari devono impararla.
Caro Marinelli,
leggerò con calma tutti questi commenti, è una promessa, una frase però, anzi due, mi hanno colpito profondamente e non posso fare a meno di ribattere a caldo.
” si tratta meno spesso di “talento” e molto più spesso di svogliatezza, difficoltà a concentrarsi”
Mi dica lei per caso ha il dono della lettura nel pensiero? Può davvero essere così certo che si tratti di svogliatezza? Ha trovato qualche attrezzo particolare che misura la voglia e l’impegno? Ha una laurea in psicologia che Le permette di rilevare da movimenti particolari la svogliatezza o l’impegno di una persona? L’intelligenza? La dote?
Ed ancora, non crede che sia compito di un insegnante trovare l’argomento che motiva l’alunno? Dopotutto i signorini sono OBBLIGATI a frequentare, direi che da parte nostra (Le parlo come insegnante di matematica) dovremmo almeno fare lo sforzo di garantire qualcosa di interessante da ascoltare.
“Premiare il merito, non dimentichiamolo, può anche costituire uno stimolo per chi non ha ancora raggiunto certi risultati. Garantire lo stesso risultato a tutti a prescindere, invece, comporta molto più spesso l’ indifferenza e la perdita di interesse piuttosto che una soddisfazione generale.”
Garantire la possibilità di dare il meglio di sè darebbe il giusto stimolo. Se ha bisogno di qualche idea al riguardo mi offro per suggerimenti pratici. Le assicuro che esistono metodi per insegnare la matematica che sono garanzia di riuscita.
Ma chi si esprime, Elena, come abbiamo letto sopra, ha davvero a cuore la scuola e soprattutto la riuscita dello studente?
In un post successivo a questo chi vuole può leggere queste note: “Il messaggio oggi cambia ed è diventato “basta innovazione, ritorniamo alle buone vecchie pratiche didattiche del passato”.
Accompagna questo messaggio l’attacco ai pedagogisti contemporanei rei di aver portato alla rovina la nostra scuola, l’attacco all’attenzione che viene posta da chi si occupa di scuola alla “metodologia” come se chi opera nella scuola non dovesse basare le proprie pratiche su un qualsiasi metodo .
Solo agli sprovveduti non appare chiaro il contenuto vero di messaggio che è: non state lì a pensare a NUOVE metodologie, fate come avete sempre fatto; se si è sempre fatto così un buon motivo ci dovrà pur essere. Non domandatevi come insegnare, non domandatevi se il vostro insegnamento va bene e se va cambiato. Affidatevi al vostro buon senso … basta grilli per la testa”
cfr https://www.giannimarconato.it/2010/03/oltre-la-pedagogia-del-grembiulino/
Come vedi, Elena, le idee sono chiare sia dalla parte dei torcicollo come dalla parte di chi ha chiara la visione del presente e vede nitidamente le vie verso il futuro.
Roberto Maragliano ha aggiunto ulteriore luce a questi concetti; una luce di cui la nostra scuola ha assoluta urgenza: qualcuno è così lontano dalla realtò che pensa di prescinderne?
Parte seconda
Gentile Marinelli,
prima di entarare nel merito delle sue obiezioni sul metodo (parte terza e forse quarta), voglio sgombererare il camponda possibili e ulteriori fraintendimenti.
1) La “disciplina” , le “buone maniere” l’ “essere una persona educata”: concordo con lei che tutti, anche i giovani d’oggi debbano saper vivere assieme agli altri e che questo atteggiamento, questa “abilità”, se non presente debba essere promossa anche dalla scuola (sarebbe, però, da intendersi quali sono le “buone maniere” perchè se intendere essere rispettosi del ruolo-potere dell’insegnante, ad esempio, dissento totalmente ed auspico la massima maleducazione). Ma fare della disciplina ecc…. il cavallo di battaglia, il punto di partenza della “nuova” scuola, proprio non mi va, perchè è indicatore di una cultura eminentemente repressiva e basata sul potere,
2) l’impegno, lo studio, il fare fatica a scuola: guardi, Martinelli, che spesso, per non dires empre, quando mi trovo a fare “lezione” “agli” insegnanti sul tema della valutazione, faccio questa affermazione: “se volte sapere se un vostro allievo ha imparato qualcosa, cercate di capire se ha fatto fatica”. Apprendere è un processo che richiede impegno (cognitivo) e che costa fatica. Il bravo insegnante non è quello che allevia la fatica dell’apprendimento semplificando ecc…ma quello che sa rendere più duro l’apprendimento, quello che sa impegnare cognitivamente gli studenti, quello che crea condizioni di lavoro oerchè gli studenti diano un significato a quello che apprendono. Il bravo insegnante è quello che sostiene lo studente in questa suo sforzo, in questa sua fatica. La questione è fare fatica per cosa. E’ giusto che gli studenti non vogliano fare fatica per lavori inutili: chi di noi adulti lo farebbe? forse solo una persona decerebrata, una persona che non si rende conto di quello che fa, una persona votata al martirio, o una persona estremanete ubbidiente, o una persona dotata di un super-io rigido. Tutte condizioni che nessuno, spero, voglia auspicare.
Quindi, si, si deve chiedere di fare fatica, senza fatica non si apprende, senza fatica non si va da nessuna parte, senza fatica non si ottiene alcun risultato. Ma, ecco il punto, si deve chiedere (e pretendere) fatica per obiettivi sensati. Chiedere fatica per memorizzare è come sottoporre gli studenti a tortura; chiedere fatica come atto di fede (impara che anche se adesso non capisci a cosa serva, in futuro ti servirà) non è più il tempo. Fortunatamente i giovani d’oggi non sono tantro disponbili ad atti di fede
Parte seconda bis
dimenticavo un topic importante
Bocciature e meritocrazia: manica larga o manica stretta? Un falso problema. Preoccupiamoci, prima ,di far funzionare la scuola, di fare buona scuola, di fare una scuola dove le persone possano imparare per davvero, di fare una scuola di bravi insegnanti, competenti, adeguatamente remunerati … e solo dopo preeoccupiamoci di identificare l’altezza a cui mettere l’assicella per il salto buono. Alzare o abbassare l’assicella e basta, di farlo prima ancora di aver bravi atleti e bravi allenatori è la solita mistificazione del problema. E’ il solito modo di far credere di aver affrontato e risolto un problema senza neppure averci messo le mani. Perchè fare le cose quando basta dire di averlo fatto?
Parlare, oggi, di meritocrazia vuol dire fare un discorso classista (offrire opportunità sulla base del censo sociale ed economico e dell’apprtenenza (politica) più che sul merito. Sappiamo tutti che l’Italia è il Paese con un ampio divario tra ricchi e poveri, tra chi può e chi non può. Sappiamo anche che l’Italia è un Paese con bassissima mobilità sociale ed economica. Sappiamo bene che la scuola italiana non promuove la mobilità sociale. Con la corruzione che c’è in Italia, il clientelismo, la diffusa cultura della raccomandazione e della spintarella, con il pessimo esempio che rispetto a questo i “capi” ci danno (non parliamo dell’università), parlare di meritocrazia – che pure io invoco, in linea di principio – vuol dire essere in mala fede, o fare un discorso mistificatorio o ignorare del tutto il contesto in cui si vorrebbe promuovere il merito, la competenza. Meglio, quindi, star zitti e non parlare a vanvera. Non sopporto più mistificazioni.
Caro Marinelli,
Come promesso ho cominciato a leggermi i commenti, ed ora cercherò di rispondere, con metodo, e quindi con ordine. Comincio dal suo primo intervento.
Su internet, va detto, la probabilità di imbattersi in una corbelleria è di gran lunga superiore a quella di reperire informazioni veritiere da fonti autorevoli e attendibili.
Mi piacerebbe sapere se sia mai stato fatto uno studio razionale, un lavoro scientifico, che paragoni la qualità (Q1) delle informazioni che si possono trovare su internet, e la quantità (Q2), alla Q1 e alla Q2 che si possono reperire nei libri e attraverso i media. Se non esiste uno studio del genere qualsiasi opinione è priva di fondamento scientifico e pertanto è di poco valore.
Internet è una benedizione per chi lo sappia usare e un “aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto”, per dirla con Galileo, per chi non abbia ancora questa capacità (e praticamente la totalità degli studenti pre-universitari rientra in questa seconda categoria).
Anche qui, è da dimostrare (DD) . Mi stupisco di lei Marinelli, come insegnante di matematica mi aspettavo argomentazioni più razionali e meno parole basate su luoghi comuni. Mi sento davvero sola in questa rete di colleghi di nome molto scientifici e di fatto molto opinionisti.
Molti sul blog hanno convenuto con il Prof. Israel sul fatto che sia tuttora insostituibile il libro “cartaceo” come primo strumento di conoscenza e di approccio ad un ampliamento del proprio sapere.
Molti è una quantità indeterminata, io amo i numeri e poi i paragoni critici, i dati significativi. Mi sono permessa di contare le parole scientifiche presenti sul testo di scienze (in media per pagina) e confrontarle con quelle di un articolo di wikipedia criticizzato. Ho svolto in test chi quadrato. Le assicuro che la differenza è estremamente significativa ed è (con mia grande tristezza) a favore del wiki. In altre parole la mia opinione è che l’impoverimento culturale avviene proprio attraverso la carta stampata, per questo sono molto triste (ma fino a che non si faranno studi controllati al riguardo, resta una mia opinione).
I miei ragazzi di terza media leggono ormai da ottobre articoli scientifici presi dai pubmed e le assicuro che non è necessario per loro conoscere i fondamenti di anatomia per comprendere concetti anche molto complessi ed attuali (codici deontologici, etica della medicina, multifattorialità, fenotipo). Al contrario, l’anatomia viene imparata di volta in volta, quando si presenta il problema relativo ad un dato organo, e la conoscenza che ne deriva è estremamente approfondita.
ma allora perché i professori universitari si lamentano sempre di più dei ragli delle loro matricole?
Qui torniamo alla questione dei numeri e del peso. Io insegno anche all’università. Sono piccoli corsi ma partecipo a quasi tutte le riunioni di consiglio e le assicuro che in nessuna di queste i colleghi si sono lamentati del livello delle, come le chiama Lei , cyber-matricole, anche perché c’è un test di ammissione per quasi tutti i corsi di laurea. La lamentela altro non è che una bugia resa verosimile dalla potenza del messaggio mediatico della carta stampata, appesa come un panno sporco dal giornalaio, urlata col megafono al telegiornale. In questo paese si sa che chi più urla è più forte. Basta guardare il Parlamento per accorgersi che siamo nel pianeta delle scimmie )o delle mummie). Siamo nel paese dove l’informazione stampata e divulgata a mezzo TV non può essere controllata, internet è l’unico strumento di paragone.
Ma di chi si tratta? Chi è? Forse è “chi controlla i mezzi di comunicazione di massa oggi in Italia”, come dice lei?
Ma vorrei farle presente che informazione, intrattenimento mediatico e cultura sono cose molto diverse tra loro, e che i ragazzi passano le loro mattinate nelle aule di scuola, sprovviste (che io sappia) di televisione.
Intanto la correggo, il nerd è il ragazzino che passa parecchio tempo su internet, ma è anche il ragazzino che normalmente se la cava bene a scuola. Il playstation dipendente è il ragazzino che gioca su internet o alla console e si infila negli RPG tridimensionali tralasciando un po’ troppo lo studio. Ovvio che se passo tutto il tempo a giocare ad un videogame può anche essere che io vada male a scuola, ma non si deve confondere il videogame con wikipedia. E poi ci sono quelli che seguono il “grande bordello”, per quelli probabilmente non c’è più nulla da fare, come per quelli dell’”Isola dei bavosi” .
Le aule di scuola sono per sfortuna sprovviste di televisioni, altrimenti si potrebbe studiare la lingua straniera seguendo le trasmissioni con la parabola, si potrebbero guardare film in lingua. Siamo sprovvisti di un terminale per banco, dove si potrebbero utilizzare i programmi che servono oggi nelle aziende per lavorare, o pensa che sia più importante saper scrivere su un foglio di carta? Siamo sprovvisti di ORE, perché in 110 minuti di scienze (gli altri 10 si mettono da parte per le sostituzioni) si fanno i miracoli per trattare la materia in modo completo.
Insegnare è un lavoro semplice reso difficile da un pessimo datore di lavoro.
Molti studenti, in realtà, semplicemente non obbediscono a nessuno e sono in balìa della loro ignoranza e irriverenza per il rispetto delle regole e degli insegnanti.
Qualsiasi studente intelligente ha il diritto di pretendere un insegnamento ragionevole, utile. Ha il dovere di lottare contro il dogmatismo, di chiedere dimostrazioni e spiegazioni esaurienti e di rispettare il suo professore per la capacità di trasmettere la conoscenza, non per la forza bruta con cui si fa il tentativo di educare.
Il crollo della disciplina nelle scuole è ormai fuori discussione: qui ho l’impressione che in classe da lei ci siano problemi di disciplina. Io non ne ho e non ho nemmeno tante insufficienze. Forse dovrebbe cominciare a pensare a un metodo diverso che produca risultati migliori. Dove insegna, alle superiori?
francamente assurdo parlare di “astio verso la cultura giovanile”, visto che non si capisce bene in cosa consista quest’ ultima e perché debba fregiarsi del titolo di “cultura”.
Non c’è astio, assolutamente! Marinelli ma si rilegge? Dante esiste e se io non lo conosco sono io l’ignorante. Lei non riesce nemmeno a considerare l’idea che i giovani producano cultura!!!! Questo come lo chiama? Se non è astio è grande ignoranza! Specialmente per un professore che dei giovani dovrebbe sforzarsi di conoscere tutto. La cultura giovanile esiste. Se non la riesce a vedere il problema non è dei giovani ma è una sua mancanza. Sarebbe apprezzabile leggere in questa sede: scusate, non mi ero accorto che esistesse una forma d’espressione giovanile che denota cultura, potete mostrarmela?
Infine, riguardo alla riforma della scuola, vorrei chiederle di suggerire qualcosa e di avanzare qualche proposta invece di limitarsi semplicemente a criticare l’ altrui operato.
Marinelli, di proposte se ne stanno facendo a decine. Ci sono 830 (contati) insegnanti che si trovano per proporre prassi di insegnamento che funzionano. Su questo stesso blog le proposte si sprecano, basta aver voglia di leggere. Certo, è molto più semplice risolvere tutto con una bocciatura, ma BOCCIARE non vuol dire INSEGNARE.
Dimenticavo…al posto di scusarsi per la prolissità cerchi di essere più conciso.
Intervento n° 2
Mi amareggia non poco sentirmi chiamare “reazionario”. Possiamo lasciare questo e altri infelici termini oramai vetusti e anacronistici fuori dalla nostra discussione?
Chissà se hai ragazzi fa piacere sentirsi chiamare somari che ragliano?
Non parlavo di “disciplina” intendendo chissà cosa, ma semplicemente quello che è: autocritica, capacità di autocontrollo e di rispetto del prossimo:
questo secondo lei si insegna con un 5 in condotta? Con una bocciatura? E’ una soluzione al bullismo? Se anche lo fosse prima di utilizzare i ragazzi come cavie, sperimentando su di loro protocolli fascisti e antiquati sarebbe opportuno valutare razionalmente gli effetti delle decisioni. In più di 50 anni di scuola si sono alternate numerose prassi, bocciatura non bocciatura, colletivo non collettivo, basterebbe confrontare a posteriore i risultati ottenuti.
Scommettiamo che se vado a vedere le percentuali dei bocciati nella popolazione trovo che sono più alte nelle carceri piuttosto che negli incensurati? Forse uno studio del genere è anche già stato fatto, forse i sociologi e gli psicologi ci hanno già pensato.
Ad esempio Declaire e Gottman in un loro studio americano (studio razionale, con numeri e dati molto significativi) hanno dimostrato come un approccio empatico porti a risultati educativi vincenti, mentre l’approccio autoritario, coercitivo porta al completo fallimento sociale.
Ha mai sentito parlare di “intelligenza emotiva”?
A Singapore, in Cina e in India, per esempio, si studia grosso modo come da noi trenta anni fa, e i risultati si vedono.
Begli esempi. Arriveremo anche qui a fare massimo due figli e se la prima è femmina la si sopprime. Dunque si cerca un modello di scuola che ci abitui fin da sempre a chinare il capo, a obbedire senza chiedersi il perché. Marinelli, è sicuro di volere la scuola del terzo mondo?
Se “la realtà dei fatti è sotto gli occhi di tutti”, ci sono tante persone che non la pensano come lei o come il sig. Marconato.
Io e tante altre persone per fortuna la pensiamo come Gianni Marconato. Per fortuna ci sostengono genitori ed alunni. Il fatto che siamo in pochi è una sua opinione, si dovrebbe fare un sondaggio non crede? Ancora una volta si dovrebbero contare i casi. Il punto è che ci sono tante persone spaventate da questa falsa informazione che ingigantisce tutto, che riporta i fatti senza dare la possibilità di interiorizzarli, capirli. Si parla di bullismo con un titolo monofrasico “ragazzina picchiata dai compagni di scuola di….a….” e poi subito dopo “uscita nuova AUDI, promessa del mercato…”
Quando ci mettiamo a pensare a perché i ragazzini hanno fatto quello che hanno fatto?
L’anno scorso ho lavorato in una scuola dove ci sono 3 sezioni con consigli molto uniti. Nella sezione A l’approccio è empatico. Non si sono mai verificati casi di bullismo, i supplenti si trovano bene, i ragazzi sono disciplinati.
Nella sezione B e nella sezione C l’approccio è autoritario dogmatico. Ci sono problemi di disciplina, di attenzione, per fortuna non di bullismo.
Il bullo lo creiamo noi, col nostro esempio, quando utilizziamo la forza per imporci e non la ragionevolezza. In quel momento i ragazzi imparano a usare la forza.
Possibile che l’ Italia si divida così nettamente (e banalmente) in accorti e ingenui? In realtà tutta questa “evidenza” non c’ è, quindi la cosa migliore è spiegare più dettagliatamente il proprio parere.
Ammetto che i miei toni sono forti, questa frase mi invita a dialogare con lei più pacatamente. Mi piace il “spiegare più dettagliatamente il proprio parere”.
P.S.: sa, le “regole” secondo me andrebbero ogni tanto anche rispettate: le regole vanno rispettate se ragionevoli.
ma in società ci sono persone più colte e meno colte e su alcune questioni il parere delle prime non è paragonabile a quello delle seconde
La forza di un intervento non dipende dalla cultura ma dal valore.
Cultura non è intelligenza. L’intelligenza permette di comprendere culture profondamente diverse.
Le garantisco che non avevo alcuna intenzione di tirare fuori il “lei non sa chi sono io”, anche se, come ho già detto, in certi settori ci sono persone più esperte e meno esperte, per cui sarebbe poco saggio considerare della stessa “consistenza” le opinioni degli uni e degli altri.
Qui mi accendo di nuovo! Chi non lo farebbe! Ma chi è Israel? Uno psicologo? Un sociologo? Mi pare né più e né meno un ordinario professore universitario di matematica? Visto che si parla di esperti, pretendo che siano gli psicologi e i sociologi a parlare di metodi educativi. Lei Marinelli è iscritto all’albo di una di queste due categorie? Israel?
Infatti è poco saggio considerare alla stessa stregua le opinioni di Israel e quelle di Gianni Marconato! Su questo concordiamo, il primo non ha propria nessuna autorità in merito. E’ un opinionista dell’educazione, il secondo è un professionista. Israel può essere considerato quando parla di matematica e di scienza, non quando si parla di apprendimento. Questo vale per tutti gli insegnanti, per me, per Lei e per Israel.
So che molti studenti italiani (non tutti, ci mancherebbe!) sono parecchio carenti nel loro rendimento scolastico: c’è da chiedersi, vista la grande impreparazione, come mai poi tutti o quasi se la cavano nella vita, come mai i migliori sono costretti ad emigrare all’estero per fare ricerca. C’è da chiedersi chi valuta e come è valutata la preparazione. Non solo degli alunni però…
Vede Marinelli, se io chiamo l’idraulico per aggiustare il rubinetto che perde e quando l’ho pagato, il rubinetto perde ancora, mi chiedo se l’idraulico sia capace di svolgere il suo lavoro.
Quanto all’università, non credo che i problemi siano lì. Poco importa se i giovani fanno fatica a laurearsi, la volontà e le capacità personali possono effettivamente essere un limite. Il problema è che non è garantita la formazione alla scuola dell’obbligo. Si scambia apprendimento con bocciatura. Se poi, il mondo del lavoro, giudica priva di valore di formazione la laurea italiana, allora i professori universitari inizino a chiedersi il perché. Accade?
scusate, “hai ragazzi” prima riga…c’è un H di troppo.
Egr. Marconato,
mi piacerebbe molto continuare a discutere con lei (e anche con Elena, le cui opinioni in parte condivido e in parte no), ma avevo manifestato l’ intenzione di lasciar perdere per evitare di ricevere, prima o poi, un’ altra valanga di etichettature condite con argomentazioni assai poco rispettose della mia dignità. Chiedo scusa se potrò sembrare a mia volta poco disposto al dialogo. Posso chiedere al sig. Saccoccio la cortesia di cambiare un pò i toni nei miei confronti?
P.S.: a questo proposito terrei a precisare che non sono solito usare termini come “raglio” e “somaro” di fronte ai miei studenti; li ho usati in questa sede perché non pensavo potessero uratre particolarmente la suscettibilità di qualcuno. Siccome mi sono sbagliato, non mi costa nulla usare un linguaggio diverso. Invece sono stato proprio io, in questa stessa sede, ad essere etichettato come “reazionario” e tutto il resto, oltre ad essere stato accusato anche di sperimetare protocolli “fascisti”.
Terzo e ultimo mio intervento, comincio a essere stanca lo dimostrano i miei terribili errori 😛
Mariaserena mi darà qualche frase da scrivere per questo? Scherzi a parte, torno su alcuni concetti, cercando toni più quieti.
1) Sono aumentate le bocciature, non vedo come il dato possa essere letto in chiave positiva.
Se consideriamo l’aumento delle bocciature come crescita di severità nella formazione allora vuol dire che vi è stata disparità di giudizio tra oggi e quanto fatto in passato. Cosa che sarebbe assai grave.
Se consideriamo le bocciature come frutto di un giudizio vero, genuino, non ci resta che concludere che oggi la scuola ha lavorato peggio di ieri, visto che la scuola deve formare , lo so, formare non vuol dire bocciare.
2)Sul fatto che i giovani abbiano bisogno di un punto di riferimento, di una guida, penso si sia tutti d’accordo. Allora nell’età in cui si forma il senso critico appare evidente che l’esempio della forza, dell’imposizione è sconsigliabile. Forse si dovrebbe parlare di relazione studente/docente. Senza relazione non ci può essere apprendimento. Lo dicono i saggi psicologi ed io ci credo.
3) sull’utilità di un voto: la scuola DEVE garantire la formazione. Il che vuol dire che se faccio il mio lavoro, il ragazzino DEVE saper fare 4+4 (a meno di eventuale distrazione, come la mia H come la sua Q).
Se si sa fare qualcosa non si sa fare da 6 o da 10. Si sa fare e basta. Se ci pensate bene, specialmente in matematica, il voto, da 5 in giù (compreso il 5) indica che l’obiettivo non è stato raggiunto.
Il voto, da 6 in su, indica che è stato raggiunto. Ma se è stato raggiunto, perché 7, 8, 9, 10? Perché in una prova si può essere diversamente concentrati, veloci, precisi.
Allora, non avrebbe più senso compilare un patentino delle competenze? Perché posso avere 10 a Catanzaro, e non saper fare gli integrali, 8 a Milano, e saper fare gli integrali. Ed ancora un 6 , un 10, in base a cosa? In base al livello deciso dall’insegnante? Al livello che l’insegnante stesso possiede?
E se io meritassi un insegnante che m’insegna gli integrali in terza media, ma non sono così fortunato da averlo? Devo prendere 10 come il compagno che sa svolgere con sicurezza il tema d’esame ma nulla di più?
Molto più giusto scrivere = è in grado di utilizzare l’operatore aritmetico somma.
Oppure: sa calcolare le derivate
In questo modo il livello di conoscenza raggiunta è trasparente, sotto gli occhi di tutti.
Ogni studente dovrebbe avere un unico libretto dove ogni volta viene aggiunto il progresso raggiunto.
Per accedere all’università non servirebbero test, ma solo il patentino completo.
Il sistema non demotiverebbe nessuno, tutti sarebbero stimolati a migliorare, a cercare di aggiungere “bollini” di conoscenza al loro libretto. Si potrebbe decidere che si va a scuola fino a quando non si sono raggiunti determinati traguardi, perché il punto non è l’età e non sono gli anni obbligatori, ma cosa si deve imparare.
Che ne dice Marinelli? Non risponda UTOPIA perché sarebbe da immaturi.
Quanto ai modi di imparare: Il punto, mi perdoni, è che non esiste altro modo serio e redditizio per imparare a “pensare”, a “ragionare”, ecc. che non quello, appunto, di prendere qualcosa di concreto (un problema di matematica, una poesia, una pagina di storia, di economia, di diritto ecc.), rimboccarsi le maniche e cercare di comprenderne il contenuto, di riflettere sulle sue implicazioni e sul pensiero dell’ autore, ecc.
Il fatto che lei Marinelli non conosca altri modi d’insegnare, e di comunicare che quelli da Lei proposti non vuol dire che non ne esistano altri.
Queste nozioni sono nate nella più suprema e ostentata indifferenza per la loro “utilità”; chi le ha concepite non aveva il minimo interesse per una loro “applicazione a qualcosa”. C’è stato addirittura chi si è VANTATO di dedicare il proprio tempo a cose completamente “inutili” come queste.
Il fatto che ci siano ricercatori che si vantino di dedicare il loro tempo a cose inutili non vuol dire che le cose inutili debbano essere proposte come obbligatorie ai nostri ragazzi.
Ci sono già così tante cose utili da imparare! I miei professori del liceo, per quanto pessimi nella relazione, non hanno mai tralasciato di spiegarmi perché studiavo qualcosa.
Marinelli, eviti di parlare di Albert Einstein, visto che lui per primo è stato emarginato e scartato dalla scuola che voi conservatori auspicate. Il povero Albert ha dovuto aspettare di arrivare all’ufficio brevetti perché il suo genio venisse compreso.
Fin dalle scuole elementari una materia come la matematica (la disciplina attualmente più importante e pari soltanto allo studio della propria lingua madre) non può e non deve essere presentata come “applicativa” per il semplice fatto che NON LO E’.
COSA INTENDE PER APPLICATIVA?
La matematica è la materia degli idioti. E’ la più semplice delle discipline perché è esatta, discreta, quantificabile, certa. Tutti i miei studenti la imparano perfino i discalculici (le garantisco che è solo questione di tempo)! Fortunatamente la matematica può essere applicata al mondo reale. Ma lei è sicuro di insegnare matematica?
Marinelli, le offro un metodo molto semplice per valutare la sua efficacia d’insegnante.
Calcoli la percentuale degli studenti che raggiungono il 10 nella sua classe, nella sua materia e poi esprima la percentuale in unità che vanno da 1 a 9. Quello è il suo voto.
Se preferisce calcolare una percentuale tenendo conto degli obiettivi raggiunti e delle capacità di trasmettere la conoscenza, fissi l’obiettivo didattico per lei più importante (quello indispensabile per accedere alla classe successiva) e conti quanti studenti hanno raggiunto l’obiettivo. Calcoli la percentuale sulla classe e poi trasformi la percentuale in unità secondo la proporzione:
100% : 10 = (percentuale trovata) : X
Questo è il suo voto. Se è soddisfatto, continui così.
Comunque, la rete, è per sua natura aggregante, di insegnanti che piangono alunni incapaci è pieno.
Guardi qui: (URL rimosso).
Pensi che questa signora che non sa spiegare la geografia alle medie spera di andare ad insegnarla alle superiori.
A mio avviso sono tutte persone che non sanno comunicare e relazionare con i ragazzi e che molto spesso non vogliono insegnare, sono insegnanti per ripiego, non amano il loro lavoro. Oppure sono insegnanti che non hanno mai lavorato prima, non hanno esperienze lavorative e quindi sono completamente dissociati dalla realtà.
Come possono queste persone pensare anche lontanamente di migliorare un sistema che non comprendono?
Paradossalmente, la maggior parte di loro, che voi Gelminiani difendete, è arrabbiata con il MIUR e si dissocia dalla riforma.
Vede? Tutti infelici e scontenti. Su questo almeno siamo in accordo.
Grazie Cristina per gli esempi di didattica che condividi. Sono esempi di come i principi pedagogici e didattici tanto contestati da Marinelli sono possibili, sono reali, sono efficaci. Sinceramente non capisco come Marinelli possa dichiararsi daccordo con te (immagino con la tua didattica) e poi dichiararsi contrario ai principi su cui si basa …..
Cristina, tu affermi di essere stata derubata. Derubata da chi? Derubata di cosa? Sei stata derubata del tuo diritto di imparare, del tuo diritto di credere e di amare l’apprendimento e la scuola. Sei stata derubata, anche, del tuo diritto di credere in te stessa, del tuo valore e del tuo valere come persona. Cristina, sei stata derubata da quella scuola che Gelmini & Israel e i loro sodali erigono ad esempio di scuola virtusa, sei stata derubata da quella didattica che da questi viene invocata a piena voce come una didattica che premia il merito. Cristina, tu, per la tua storia anche familiare, immagino, sei riuscita a rimediare a questo furto; hai avuto gli strumenti e la possibilità di recuperare fiducia in te stessa e nella scuola e nonostante la scuola e nonostante gli insegnanti hai creduto ancora nella scuola e negli insegnanti tanto da diventare insegnante te stessa. Ma quante persone che bìnon hanno avuto le tue opportunità, i tuoi strumenti sono stati irrimediabilmente “uccisi” da quella pessima scuola, da quei pessimi insegnanti, da quella pessima metodologia? Quanti studenti sono stati derubati del loro futuro?
E questi vogliono venirci a riproporre quella scuola? E vogliono riproporcela in nome del merito? Ma quale merito? Il merito di appartenere ad una classe sociale ed economica benestante? Il merito di avere un genitore “luminare” universitario? Il merito di essere contiguo con il potere? Questo è il merito che si vuole promuovere. Non certamente la competenza, non certamente l”impegno, non certamente il lavoro sodo.
Grazie, Cristina per la testimonianza di buona scuola.
@ Elena: Nessuna frase, quando le ho date si trattava di un esempio di “scuola del passato” ad uso e terapia di eventuali nostalgie (o nevralgie da torcicollo) 🙂 Complimenti, invece: la scuola ha bisogno di passione e competenza e di chi, ne dimostri tanta.
… e di chi, *come te, ne dimostri tanta.
Marconato
se un insegnante non è valido, non si fa capire, non si interessa di come vengano recepite le sue parole in classe, non c’ è scampo. I suoi studenti non lo stimeranno e non ne saranno intimoriti. Quindi non c’ è pericolo che vengano oppressi dal “ruolo-potere” dell’ insegnante. Sulla disciplina e tutto il resto siamo d’ accordo, ma non so se si possa parlare di “cavallo di battaglia”; la vedo solo come una misura, tra le tante, da prendere, niente di più. Siamo anche d’ accordissimo sul faticare inutilmente: al solito, quello che non mi piace è la generalizzazione. Intendevo solo dire che, secondo me, è sbagliato veicolare il messaggio che la scuola debba sempre e comunque essere agevole, facile, spassosa e via discorrendo, ma per il semplice fatto che non lo è (così come non lo è la vita). Si può e si deve fare molto per apportare miglioramenti, questo sì, ma esattamente, si deve si deve “chiedere (e pretendere) fatica per obiettivi sensati” (come per esempio, la padronanza di una disciplina). Siamo ancora d’ accordo. Sulle bocciature, pensavo di essermi già espresso. Si tratta di uno strumento che non può essere escluso a priori (la fiera delle promozioni facili), ma deve essere usato con estrema cautela e analizzando sistematicamente caso per caso. Comunque sia, mi pareva di aver già detto che non vedo l’ aumento delle bocciature come qualcosa di necessariamente POSITIVO; forse di DOVEROSO, se è vero (come penso) che negli ultimi anni ci siano stati troppi casi di promozioni immeritate. Cosa mi dice, allora, riguardo a quello che le chiedevo prima sui consigli pratici che potrebbe darmi?
Gent.ma Elena
vedo che a lei i numeri piacciono davvero molto e fa bene, visto che le valutazioni numeriche sono quasi sempre necessarie e in molti casi utilissime. Ciò non significa, tuttavia, che tutto si riduca a numeri e cifre, o che le valutazioni quantitative siano sempre le sole possibili e/o affidabili. Riguardo al web, è mia opinione (e l’ ho detto in uno dei post precedenti) che su internet si possano trovare buone informazioni, ma anche vere e proprie castronerie. D’ altro canto, ho citato enciclopedie come la Treccani e la Britannica, sulle quali è impossibile reperire informazioni non affidabili (per esempio, alcuni lemmi sono stati scritti anni fa da scienziati molto esperti nei vari campi). Da questo punto di vista, ho accennato al fatto che uno studente alle prese con una ricerca di fisica, per esempio, possa andare sul sicuro con queste due fonti. Può anche usare internet, ovviamente, ma c’ è la possibilità di imbattersi in cose non vere, purtroppo; penso che sia la pura verità. Sono arrivato a questo parere semplicemente perché ho trovato degli esempi e dei casi che lo confermavano, ma questo non vuol dire nella maniera più assoluta che TUTTA l’ informazione presente su internet sia da buttare.
In merito a questo , mi rende parecchio perplesso l’ espressione “se non esiste uno studio del genere qualsiasi opinione è priva di fondamento scientifico e pertanto è di poco valore.”. Trattandosi 1) di mie opinioni e 2) confermate da alcuni esempi (che posso citare, se me lo chiede), non devo dimostrare un bel niente a nessuno. Tesi: su internet circolano delle sciocchezze. Verifica: basta trovare alcune sciocchezze; siccome le ho trovate e posso citarle, abbiamo finito. Non vedo che senso abbia parlare di opinioni prive di “fondamento scientifico”. Altra mia opinione è che molte matricole universitarie, specie nei corsi di laurea in ingegneria (che, tra l’ altro, prevedono proprio i test d’ ingresso che lei cita), abbiano molte carenze in matematica. Conosco personalmente molti professori universitari che sono di questo parere e credo che abbiano ragione. Mi spiega che cosa dovrei dimostrare? Proprio perché non ho fatto un’ affermazione “quantitativa” del tipo “il 70% delle matricole è impreparata” non c’ è nulla da dimostrare. Se poi mi viene a dire che ha contato le “parole scientifiche” (?) presenti su un testo di scienze e le ha confrontate con wikipedia tramite il chi quadrato, mi chiedo se pensa seriamente che un paragone del genere possa essere sufficiente. Le dico come avrei proceduto io: 1) controllo l’ argomento del testo in questione e mi assicuro di essere competente in materia; 2) se lo sono, leggo il testo di scienze; 3) leggo wikipedia (che tra l’ altro, non disprezzo); 4) entro nel merito dei contenuti cercando di separare il grano dal loglio. Le pare poi un metodo così inaffidabile? Certo, lei può ritenere che le opinioni dei professori universitari che conosco siano “bugie”, ma, anche qui, non c’ è assolutamente nulla da dimostrare. Passiamo ad altro: oggi scrivere al pc e su un foglio di carta è ugualmente importante. Sarebbe senz’ altro utile disporre di un terminale per banco per fare tutto quello che ha detto lei, purché (sempre secondo me) non ci si imponga di utilizzarli per qualsiasi cosa. La cosa migliore sarebbe prevedere alcune ore di utilizzo e lasciare il resto a discrezione del singolo insegnante visto che in fin dei conti, è lui che si trova lì. Su quello che ho definito “crollo della disciplina in classe” non mi dilungo. Si tratta sempre di mie opinioni e si può essere d’ accordo o non d’ accordo, punto. Sulla “cultura giovanile” ha ragione lei e altri con cui ho discusso; sono stato un pò troppo lapidario e superficiale (senza contare che, in fondo, non ho il diritto né la capacità di giudicare in merito). Mi piacerebbe sinceramente saperne di più su come la pensa al riguardo. Pensa di potermi fare degli esempi su cosa intende con “cultura giovanile”? Di nuovo, ha ragione sul numero di proposte sulla scuola; certamente anche solo su questo blog, ora che l’ ho esplorato un pò di più, ne ho viste molte (a prescindere dal fatto che le consideri sensate o no). Sul modo di studiare in molti paesi asiatici sta polemizzando inutilmente; non ho mai sostenuto di ritenere quelle SOCIETA’ in qualche modo “migliori” della nostra. Mi riferivo solo al fatto che un certo tipo di scuola (che da noi potrebbe essere vista come abbastanza tradizionale, su per giù) porta dei risultati interessanti e degni di considerazione. Dopodiché, quando mi dice che “La forza di un intervento non dipende dalla cultura ma dal valore.” sono sostanzialmente concorde, ma chi deve dare un parere su questo “valore”? Quando mi dice “chi è Israel?” e pretende che siano psicologi e sociologi a parlare di “metodi educativi”, puntualizzo le seguenti cose: 1) il parere e l’ esperienza di chi insegna da tanti anni può sempre essere utile; non capisco perché uno come Israel debba necessariamente dire solo insensatezze; 2) AMMESSO E NON CONCESSO che debbano essere gli psicologi e i sociologi a venirmi a dire come insegnare la matematica, pretendo non solo che mi dicano chiaramente cosa IN CONCRETO mi consigliano di fare, ma anche di poter esprimere i miei dubbi se trovo (o se penso di trovarmi di fronte a) delle irriducibili inconciliabilità tra certi metodi e i contenuti e la natura della matematica. Il signor Marconato mi ha concesso con somma gentilezza di poter esprimere corposamente alcuni dei miei dubbi in merito a certi approcci didattici, secondo me eccessivamente innovativi e radicali. Penso di avere il diritto ad esprimere queste perplessità, ma le garantisco che sono sinceramente curioso di saperne di più, di capire cosa dovrei fare di fronte agli studenti, o almeno cosa non dovrei fare. Altrimenti avrei potuto infischiarmene da un pezzo e oggi continuerei a insegnare con l’ approccio che uso con i miei studenti; un approccio che ha davvero assai poco da spartire con Schank e affini, che ritengo comunque molto diverso da quello di trent’ anni fa e che, almeno fino ad ora, non ha dato problemi a nessuno. Sarei la persona più felice del mondo se la finissimo di girarci attorno e cominciassimo a parlare, per esempio, di cosa insegnare (secondo lei, secondo Marconato, secondo qualcun altro ecc.) nell’ ora di matematica, come e perché. Può anche darsi che io non conosca altri “altri modi d’insegnare e di comunicare” diversi da quelli che uso, ma potrebbe darsi altrettanto che non porti a nulla insistere sul come si debba insegnare o apprendere prescindendo dal COSA si debba insegnare o apprendere: musica, matematica, letteratura, sport e via discorrendo. Non potrebbe essere questo il problema di fondo? Qualcuno può spiegarmelo? Infine spero di non apparire troppo polemico, ma mi permetto di farle notare una cosa: ciò che lei ha bollato come cose “inutili” (senza le virgolette!) erano quelle creazioni matematiche puramente astratte che ho citato nella mia lunga risposta al sig. Marconato. Lei, come insegnante di matematica, arriva davvero a pensare che possano essere inutili? Se è così, vorrei permettermi di chiederle cosa insegna nelle sue lezioni; matematica “alternativa”? Nello specifico, mi stavo riferendo a Godfrey Harold Hardy, celebre matematico britannico del secolo scorso, del quale spero abbia letto “Apologia di un matematico”; è lui il “troglodita” che si è vantato di dedicare il suo tempo a concepire “inutilità” come la prima dimostrazione dell’ infinità degli zeri della funzione Zeta di Riemann sulla retta critica. Insomma, un “mangiastipendio” a tradimento, secondo lei. So benissimo che la matematica “può essere applicata al mondo reale”, MA NON NASCE E NON E’ MAI NATA COME (o principalmente come) APPLICAZIONE A QUALCOSA CHE NON SIA STATA LA MATEMATICA STESSA, salvo che in pochissimi casi. E’ una materia di natura puramente teorica, basata per il 90% su idee e astrazioni. Questo, però, non vuol dire nella maniera più assoluta che io pensi che non possa essere resa meno noiosa e più interessante. Per dimostrarle che non mi sto inventando nulla, mi permetta di citare un altro luminare del secolo passato, anzi un vero e proprio gigante: John Von Neumann: “Le idee matematiche hanno origine a livello empirico […] Ma una volta che esse sono state concepite in questo modo, l’ argomento comincia a vivere di vita propria e viene paragonato con maggiore facilità a qualcosa di creativo, governato quasi del tutto da motivazioni estetiche”. Se si tratta di un altro cialtone, per di più completamente sprovvisto di lauree in psicologia o in sociologia, mi permetta di rigirarle la domanda: è sicura di insegnare matematica? Infine, riguardo ad Einstein, le consiglio di andarsi a leggerle una valida biografia e di non affidarsi ai luoghi comuni: il suo disagio e la sua “emarginazione” a scuola non erano minimamente dovuti alla “trasmissione dei contenuti”, bensì ai metodi repressivi e violenti usati di norma dai suoi insegnanti (da lui paragonati a sergenti e tenenti) in collegio, incluse marce con finte armi. In realtà Einstein è andato sempre bene nelle materie che gli interessavano di più: fisica e matematica. Addirittura, quando decise di cambiare scuola esasperato da quel militarismo autoritario (quello sì) e idiota, il suo insegnante di matematica e fisica gli rilasciò una dichiarazione che attestava i suoi risultati (cito testualmente) “di eccezionale qualità”. Che sia quella la scuola che noi “conservatori” (sempre la mania ad etichettare…) abbiamo in mente, può solo pensarlo in preda a qualche delirio. Chiedo scusa di nuovo per la prolissità e spero di essere stato più “conciso”.
Egr. Marconato,
mi scuso per le ripetizioni nella risposta che le ho inviato. Intendevo dire:
“Si può e si deve fare molto per apportare miglioramenti, questo sì; si deve “chiedere (e pretendere) fatica per obiettivi sensati” (come per esempio, la padronanza di una disciplina). Siamo ancora d’ accordo”
Concordo con il sig. Marinelli sulla critica all’affermazione “la conoscenza per la conoscenza non è utile ma serve la conoscenza applicata, usata per fare qualcosa”. A volte si tende ad applicare poco avvedutamente e prudentemente alla pedagogia principi che sarebbero probabilmente più adeguati in un ambito andragogico.
Vorrei anche aggiungere qualche ulteriore riflessione agli argomenti già avanzati dal sig Marinelli contro questa affermazione.
Trovo che l’”imparare per imparare”, nel senso di affrontare ‘prove’ cognitive apparentemente fini a se stesse, abbia perfettamente senso in un contesto educativo-scolastico poiché stimola l’esercizio e l’applicazione da parte dell’allievo di strategie che possano portarlo alla consapevolezza, sviluppo e padronanza dei propri processi cognitivi, specie se accompagnato e sostenuto da una forte attività metacognitiva. L’utilità della conoscenza acquisita che dovrebbe interessare un docente, infatti, è quella legata proprio allo sviluppo, ampliamento e consolidamento di schemi e processi mentali “alti”, alla loro trasferibilità ed applicazione ad altri contesti conoscitivi, al conseguimento del senso di autoefficacia e alla conseguente motivazione e piacere che deriva dall’affrontare, fronteggiare e ‘vincere’ sfide cognitive ardue, anche se non immediatamente utili o spendibili per fare qualcosa (ma poi utili a cosa? chi e su quali basi definisce questa utilità?).
E tutto questo si ottiene (come sottolinea Marconato) sì grazie all’impegno faticoso, difficile, ma solo se questo viene indirizzato, incanalato verso il successo da quegli scaffolds, supporti che il docente sapientemente costruisce intorno all’allievo (ad ogni singolo allievo).
Dunque (come si domanda giustamente Marconato) fare fatica per cosa? Per imparare a percepire il piacere di apprendere, il gusto della sfida intellettuale, del riconoscere e superare i propri limiti, dell’amare la fatica mentale se questa è la via (e lo è) per migliorarsi.
Credo anche che sia del tutto sbagliata (e, non me ne voglia, anche sballata) l’affermazione del sig Saccoccio che guarda allo studente di oggi come a “un ragazzo che si informa da solo, che impara da solo, che crea da solo, che se ne fotte dei miei titoli accademici e del mio ruolo di insegnante”. I giovani di oggi (come quelli di ieri e di domani) possiedono delle preconoscenze, delle ‘teorie’ e degli schemi mentali più o meno ingenue e più o meno sbagliate (o, anche qui, sballate), che vanno attentamente considerate e poi superate, consapevolmente corrette non certo attraverso la loro sostituzione mnemonica con le conoscenze ‘giuste’ e ‘vere’ quanto piuttosto attraverso la guida alla comprensione significativa e alla metacognizione da parte dell’insegnante (anche se il ragazzo “se ne fotte”).
Grazie ancora a tutti per gli spunti di riflessione anche critica che offrite.
Parte terza 1
Egregio Marinelli,
le devo impegno almeno pari a quello da lei messo nel leggere e nel replicare alle cose da me scritte e cerco di farlo usando l’espediente formale della replica punto-su-punto alle sue affermazioni che maggiormente mi hanno colpito per la loro dissonaza con le mie idee e le mie convinzioni. Un modo per massimizzare dialogo e tempo disponibile.
Ho fatto copia-e-incolla dai suoi ultimi contributi (in corsivo) a questa nostra conversazione nella speranza che a lei e ai nostri lettori risulti agevole situare l’estratto nel contesto del discorso
Cosa vuol dire “acquisizione critica” di una disciplina se non il padroneggiarla, se non il darne senso personale, se non l’integrazione delle nuove conoscenze in quelle già possedute? Orbene, questi obiettivi sono perseguiti in modo diretto, sistematico, quasi esclusivo da quello che lei definisce CERTA didattica. Si prenda la briga di studiare e di capire tutto quello sterminato corpus di letteratura fondata su rigorosa ricerca ( e non su un argomentare propagandistico e totalmente privo di autorevolezza come fa Israel in un articoletto recente su Il Giornale 23.2.2010) cha va da Piaget a Bruner, a Vygotskij, ai più recenti Lave, Spiro, Schank, Jonassen, Kolodner, Bender, Resnick, Brown, Duguid, Brandsford e, se proprio vuol osare spingendosi fino alle posizioni più radicali, l’ottimo Ernst von Glaserfeld
Non ci sono dubbi che lo sviluppo di abilità cognitive superiori, le diverse forme di pensiero, di ragionamento
(analogico, causale, deduttivo, induttivo, aduttivo, argomentativo) come quelle che abbiamo indicato, vadano, debbano essere promossi, sviluppati, sostenuti nel contesto di processi di apprendimento catalizzati da attività da svolgere, da problemi da risolvere, da contenuti e non in isolamento e con approcci finalizzati solo a quelli. Questo approccio è esattamente quanto è stato oggetto di decenni di ricerca cognitiva e didattica da parte degli autori sopra citati e che hanno portato alla messa a punto, sperimentazione e validazione (scientifica) di quelle pratiche didattiche da Israel (tanto per citare una comune conoscenza) tanto condannate
Parte terza 2
Mi dispiace, signor Marinelli, che si deprima per così poco! Forse si tratta di un fraintendimento, ma questa affermazione è frutto, ripeto, di decenni di lavoro da parte di scienziati di valore internazionale, non delle elucubrazioni e degli sproloqui di qualche pseudo-scienziato all’amatriciana (con tutto il rispetto per l’amatriciana) che bazzica dalle nostre parti
Certo signor Martinelli. Non solo conceptual knowledge, ma anche Ontological Knowledege (di cui fa parte la conceptual assieme alla declarative e la structural) , Epistemological Knowlwedge (procedural, situational, strategic) e la Phenomenological Knowledge (tacit, socio-cultural, experiential). Forse varrebbe la pena di prendere contatto, anche, con questi concetti altrimenti ci si mantiere al livello del discorso dell’uomo delal strada, della casalinga di Voghera, altrimenti non facciamo un discorso tecnico, un discorso professionale.
Quello che si auspica è andare (didatticamente) oltre la parcellizzazione delle discipline proprio per far si che le discipline siano ben comprese. Forse ci si dimentica la genesi della “disciplina” e come nella pratica didattica corrente queste origine e il suo vero significato, sia stata travisato fino a snaturarlo tanto nel concetto che nella sua pratica (la invito a leggere qualche capitolo da Conoscere l’insegnamento, di Teresa Russo Agrusti, 1992). Forse ci si dimentica che le “discipline” sono rappresentazioni astratte dai fatti del mondo, che al solo scopo di ricerca e di rappresentazione sono tra di loro separate, che il modo funziona in modo interdisciplinare, che solo a scuola il mondo, la realtà, vengono approcciati in modi scissi.
Parte terza 3
E chi ha mai fatto questa affermazione? E chi ha mai propugnato una didattica finalizzata a questo? Quello che si afferma (il riferimento è, purtroppo, alla solita letteratura) è che ogni persona deve appopriarsi, ad esempio, della matematica ma che per farlo deve poterne dare un significato personale, deve poter seguire le sue proprie strade alla comprensione della matematica. Il problema è il metodo, non il contenuto. Le dico di più: quello che si propugna è l’apprendimento della complessità di un “contenuto”, non l’apprendimento di una versione semplificata, ipersemplificata a scopo didattico. Tutti gli approcci di cui sopra vanno in questa direzione. La quasi totalità della didattica presente nella nostra scuola oggi, quella che a lei piace tanto, va, invece, nella adirezione di un apprendimentio superficiale, ipersemplificato, non trasferibile. Un apprendimento che raramente va oltre la memorizzazione. Non dimentichi, signor Marinelli, che se nonostante questa scuola le cose ancora funzionano, è perché le persone, con la loro intelligenza, con le loro risorse e nonostante la scuola, sono riuscite a dare un senso a quello che la scuola ha propinato loro. Perché, allora, non pensiano a una scuola che intervenga direttamente su questi processi (ora spontenei, autoguidati, extrascolastici, alla portati del più “dotati”, vedi l’esempio-caso-storia della professoressa Galizia)? Questa scuola è la scuola concettualizzata nella citata letteratura.
Appropriarsi approfonditamente… questo è il vero problema. E credo che ci sia parecchio fraintendimento sulla natura di questo processo e su come la scuola possa attivarlo e sostenerlo. La didattica trasmissiva tanto cara a lei, e purtroppo, non solo a lei, va esattamente nella direzione opposta a questo obiettivo (appropriarsi approfonditamente). Tutta la pedagogia e la didattica trasmissiva (in gergo professionale, in letteratura “direct instruction”) si è occupata di come si insegna a partire dalla struttura del contenuto; la didattica che per semplicità chiamiamo costruttivista (vedi citazioni precedenti) si occupa di come le persone apprendono, si occupa dei processi cognitivi. Si occupa della complessità dei processi cognitivi e dell’apprendimento. Lo fa da anni con ricerca rigorosa e producendo applicazioni didattiche scrupolosamente validate (vedi ad esempio l’Anchored Learning e le applicazioni all’apprendimento della matematica nella Jasper Series)
Signor Marinelli, le i si è fatta un’idea errata e seplicistica del pensiero di Schank perché si è fermato alle poche cose che io ho estrapolato da un contesto dove il tutto ha una trattazione approfondita e ampia e, soprattutto, dove queste affermazioni sono fatte a conclusione di articolati ragionamenti suffragati da osservazione rigorosa di fatti. La inviterei, quindi, a prendere contatto con il lavoro di Schank nel suo insieme prima di liquidarlo con l’affermazione che l’autore non si è mai trovato di fronte a una classe.
Parte terza 4
Mi pare che questa citazione della situazione cinese, indiana, coreana vanga fatta a sproposito. Non può citare quelle situazioni a sistengo delle sue tesi. Si tratta di affermazioni qualunquistiche che posso accettare dall’uomo della strada che guarda in modo superficiale e semplicistico alle questioni, non nel contesto di un discorsdo professionale come vuol essere questo. La correlazione “tipo di scuola – competenza dei suoi studenti” o impatto economico sul sistema Paese, nei Paesi che lei porta a esempio va ben oltre l’indicatore della quantità di studio fatta dagli studenti e trascurare tuuto questo fa dell’affermazione mera propaganda con cui non mi intressa misurarmi.
Certo, l’innovazione sarà portata da persone competenti, non ne ho il minimo dubbio. La questione è cosa significa essere competenti nel mondo d’oggi, quale sia il ruolo della scuola oggi nel percorso di costruzione della competenza e quali siano le tecniche didattiche coerenti. Tutti gli approcci, tutta la letteratura che cito sono finalizzati a creare una scuola che serva al presente e al futuro
No, signor Martinelli, non conosco cosa ha scritto Israel e credo non perderò neppure un minuto del mio tempo a conscerlo per il semplice motivo che mi sono reso conto che la persona è priva di alcuna autorevolezza sul campo e che la sua e mera propaganda. Pensiero personale, ovviamente
(Lafforgue) … ha parlato di “politiche ispirate da un’ ideologia che non attribuisce valore al sapere”, di “teorie pedagogiche deliranti”, di “teorie dell’ allievo al centro del sistema” che ”deve costruire lui stesso i suoi saperi”, e di tante altre assurdità che
Non conosco il caso di Lafforgue ma mi pare tanto l’omologo francese di Israel che, Lafforgue, con le affermazioni che lei, Martinelli, mi cita parla a vanvera senza alcuna cognizione di causa. Quando bolla come “deliranti” le teorie pedagogiche centrate sull’allievo … mi cadono le braccia e non ho alcuna intenzione di perdere tempo con il pensiero di un ignorante. Credo che in Francia abbiamo fatto bene a ignorarlo; forse hanno fatto male a non internarlo in un manicomio psichiatrico.
Parte terza 5
Si, Marinelli, si sbaglia e si sbaglia di grosso. E lo dico sulla base dell’idea che ho io di apprendimento e di insegnamento. L’apprendimento (quello autentico, quello significativo, non la memorizzazione) è un atto volontario. Una persona non apprende per obbligo, per dovere. Per obbligo, per dovere, nel migliore dei casi memorizza e non sa che farne di qullo che ha ingurgitato. Ecco perché tanta nostra scuola fallisce: le persone che escono dalla stessa, anche con votazioni elavate, non hanno appresso un fico secco. Sono dei grandi depositi di informazioni ma di nessuna “conoscenza” (spero che lei , Martinelli, faccia differenza tra informazione e conoscenza, altrimenti questo è tutto tempo perso). Ha mai approcciato il concetto di “conoscenza inerte”? Se no, le consiglio vivamente di farlo. E’ la base di ogni altro nostro discorso.
Poca differenza, reale, dai tempi di Don Milani e ancor meno se la scuola Gelmini-Isarel prende piede. Solo in pochi casi il pensiero autentico di Don Milani ha inciso nella realtà scolastica. Certo, assistiamo oggi ad una maggior accesso alla scuola, a una maggior democratizzazione dell’accesso, ma una scuola che non promuove la mobilità sociale, come non fa in Italia, è una scuola pre Don Milani.
Come ho cercato di dimostrare non è uno slogan ma un concetto fondato e ben presente e ben accreditato nella letteratura e nella pratica internazionale. E’ alla base, anche, dalla scuola in Cina, in India, in Corea nonostate se ne voglia, propagandisticamente, attribuire il merito ad altro (= ordine, disciplina, ubbidienza, rispetto, studio studio studio ….)
Parte terza 6
Affermazione destituita di alcun fondamento. Affermazione che denota la non conoscenza (o la voluta ignoranza) di tutto uno sterminato corpus scienza didattica contemporanea. Ma qui torniamo all’origine delal questione.
Esempi li può trovare nel lavoro degli autori prima citati. Può trovare ulteriori riferimenti in un lavoretto di analisi della letteratura che ho fatto qualche anno fa e il cui prodotto lo può trovare nella sezione “Learning Strategies, schede di sintesi” nel sito http://www.apprendereconletecnologie.it/. Esempi sono anche quelli indicati, qui, dalla professoressa Galizia, dalla professoressa Favaron e l’elenco potrebbe continuare
Non sottovaluto e non ignoro nulla. Le vorrei ricordare, mi consenta, che la scienza è in costate evoluzione (per alcuni potrebbe anche non essere in “progresso”) e che costruisce sempre sulle acquisizioni precedenti. La conoscenza sviluppata in questi 20 – 30 anni ha costruito su quella precedente e ne costituiosce l’evoluzione. Le teorie che cito non sono costruite sul nulla e si misurano costantemente sullo stato dell’arte precedente.
Parte terza 7
Certo che gli studenti (preferisco questo termine a “scolari”) devo “imparare”. Cosa di diverso vanno a fare a scuola? La questione è “cosa vuol dire imparare”? Quando dico che “una persona ha imparato”? Come posso, da insegnante, aiutare gli studenti a imparare? Per me imparare vuol dire comprendeer, da un senso, integrare il nuovo materiale di apprendimento con l’esistente; avere imparato vuol dire essere in grado di trasferire la conoscenza acquisita in un contesto (ad esempio, a scuola, ma non solo) in uno diverso. Come “insegnare”? Ecco qui il solto rimando alle precedenti citazioni
Qui proprio non ci siamo. E forse sta tutto qui il vero senso della divergenza dei nostri punti di vista. Gi studenti dovrebbero essere intimoriti? IN-TI-MO-RI-TI? Ma scherziamo? Ma ci mettiamo a professare dopo al pedagogia del grembiulio, anche la pedagogia della paura? Ma che discorsi facciamo? Ma davvero ho perso tempo a conversare con lei? Un insegnante non deve incutere timore, ma autorevolezza, stima, se proprio vogliamo esagerere, ammirazione
Consigli pratici gliene ho già dati molti, qui, in questa replica in precedenza.
Parte terza 8
Non credo che su Internet si rinvengano informazioni non affidabili in misura significativamente superiore a quelle presenti in altre risorse, Treccani e Britannica comprese. Credo anche che Israel abbia contribuito a riempire internet, giornali e libri di tante schiocchezze. L’affidabilità di un’informazione è spesso fatto soggettivo. Il nostro obiettivo, come educatori, come formatori, come insegnanti è di aiutare i nostri allievi a determinare da sé l’affidabilità di una informazione non quella di selezionare noi per loro le fonti, le informazioni affidabili.
Cosa vuol dire “eccessivamente” innovativi e “radicali”? Perché ciò che è eccessivamente innovativo non va bene? Chi stabisce il giusto grado di innovazione? Perché un approccio “radicale” non va bene? Proprio non capisco
Spero che i suoi studenti non abbiano a soffrire troppo per i suoi metodi didattiche che hanno poco o nulla da spartire con quelli si Schank e affini . Ma si immagina un chirurgo che entri in sala operatoria attrezzata come 50 anni fa e utlizzi metodiche altrettanto aggiornate? Si può solo sperare che sopravviva e guarsisca nonostante il medico. Dico questo in linea di principio e senza conoscere i suoi metodi e i loro effetti. Sarebbe da domandarsi, sempre in linea di principio, se dato il tempo che lei e i suoi studenti dedicate alla scuola non sia possibile ottenete risultati migliori utilizzando approcci diversi
Parte terza 9
Credo che con questa idea di matematica non si vada tanto lontano e che sarà ben difficile che i nostri studenti raggiungano gli standard di quelli cinesi, indiani e coreani . Per le ragioni che detto prima
Concludo dichiarandomi del tutto in linea con l’analisi fatta da Saccoccio sullo stato e sulle prospettive della nostra scuola. Si potrà gradire o no lo stile con cui lo fa ed il linguaggio “all’attacco” che usa (a me, personalmente piace; a volte lo trovo autentica poesia); alcuni potrebbero trovare irritante anche il suo, Marinelli, o il mio linguaggio. Ma, credo, bisognerebbe governare questa “repulsione” istitiva ed entrare nel merito delle argomentazioni.
Marcello, insisto col dire che “imparare per imparare” no ha senso. Ma forse questa affermazione va meglio spiegata e situata. E sono molte le prospettive dalle quali questo può esser fatto.
Da quello storico-sociologico: per anni ,ma anche ora, la scuola ha chiesto agli studenti atti di fede per imparare anche cose che a loro parevano prive di senso. Con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti: disaffezione allo studio, scarso rendimento eccc…. Oggi è sempre meno possibile chiedere atti di fede ed è ancor meno proponibile, come vorrebbero gli epigoni della “nuova” scuola, i pedagogisti del grembiulino e della paura, farlo per obbligo. Non è più possibile perchè i tempi sono cambiati e i giovani chiedono di dare un senso a quello che fanno anche a scuola. Ci sono quelli che più di altri hanno introiettato il senso del dovere che ancora studiano perchè bisogna. Ma anche questi performano su livelli davvero bassi: raggiungono la sufficienza o poco di più ma oltre non vanno. Poi ci sono quelli che si rifiutano di studiare perchè non capiscono il senso della fatica. Anche per coloro che “non capisco ma mi adeguo” credo si possa parlare di scuola a basso rendimento. Tante risorse buttate dentro, anche le loro intelligenze, ma poco risultato. Sono certo, perchè le prove ci sono, che con un approccio didattico diverso si otterrebbero performance migliori anche per i primi e se ne recuperebbero molti anche dei secondi. Riportare indietro l’orologio non si può; tanto vale guardare la realtà, predndeer atto dei fallimenti di questa scuola e guardare al futuro cercando approcci nuovi.
Da quello cognitivo: il superamento dell’ “imparare per imparare” viene da me, e nonosolo da me ma anche da personaggi ben più autorevoli di me, va proprio nella direzione da te auspicata: la consapevolezza, la padronanza, il transfer, la metacognizione. Ovviamente con lo scaffold cogntivo dell’insegnante. Il piacare, il gusto per lo studio avviene solo dopo il successo, non prima. E per ottenere il successi si devono utilizzare staregia didiattiche e attivare strategie di apprendimento focalizzate sulla persona che apprende, non sulla struttura di cosa deve essere imparato.
Relativamente alle tuo obiezioni al Saccoccio-pensiero, detto che Antonio non ha bisogno di alcun avvocato difensore, io credo che i giovani d’oggi siano molto migliori di come li si vuol dipingere. Non possiamo soffermarci, come tanti benpensanti fanno, sul sintomo reattivo, sui loro comportamenti di rifiuto. Proviamo a guardali in quelle situazioni in cui sonoa scoltati, sono presi per quel che sono, sono valorizzati, e scopriremo tante persone intelligenti, motivate, capaci, disponibili a farsi il culo a scuola. Troveremo persone che non rifiutano di farsi guidare, di farsi aiutare. Ma vogliono insegnanti che si sforzino di capirli, insegannati capaci di una attenzione individualizzata. Ma fintanto che abbiamo insegnanti capaci solo di un insegnamento industrializzato… daranno solo il peggio di loro stessi. Con la gran gioia dei conservatori e dei reazionari che trovano in questi comportamenti la prova delle loro idee. Speriamo, davvero, che il vento cambi ….
PS: ancora una volta, caro Marcello, ti dico che una certa pedagogia, una certa didattica non vale solo per gli adulti ma anche per i non adulti. Quando si tratta di apprendimento, la nostra zucca funziona sempre allo stesso modo; quello che cambia è, caso mai la didattica.
Egr. Marconato,
cercherò anche io di risponderle e argomentare punto per punto, ma non ho potuto fare a meno di essere un pò corposo, anche in questo caso. “Acquisizione critica di una disciplina”, per come la vedo io, è conoscerla approfonditamente, saperne discutere, saperla criticare, essere in grado di dare pareri originali e validi sui suoi contenuti. Io non dico che non siano autorevoli o che siano prive di ogni valore le ricerche delle persone che ha citato (ci mancherebbe). Il problema è che potrei citarle a mia volta una lista di persone molto competenti e autorevoli, per esempio in matematica, che sostengono una cosa molto semplice: se applichiamo quello “sterminato corpus di letteratura” all’ insegnamento e alla didattica della matematica, otteniamo risultati pessimi. Su “Chi sono i nemici della Scienza”, Giorgio Israel parla molto approfonditamente, citando esperienze di tanti insegnanti e anche casi personali, delle gravissime lacune che si ritrovano persino i bambini usciti da certe scuole elementari. Lacune dovute, secondo queste persone, all’ inconsistenza di certe innovazioni pedagogiche e didattiche che, invece, riscuotono la sua approvazione. Naturalmente, nel libro ci si sofferma ad analizzare molte di queste proposte, individuandone le criticità (e in certi casi anche le assurdità; sarò più preciso se vorrà saperne di più). Il caso Lafforgue che le ho citato è ancora più grave ed emblematico. Non sono riuscito a trovare dei link che spiegassero più approfonditamente (e in italiano) le critiche di Lafforgue a quelle teorie pedagogiche “deliranti” che “non attribuiscono valore al sapere”, ma, mi creda, si tratta di critiche su tutta la sua linea. Secondo Lafforgue, soprattutto dal punto di vista della matematica (ma anche per quanto riguarda la padronanza del linguaggio scritto e orale) i risultati scarsissimi degli ultimi anni denotano una sconfitta senza appello di quella pseudo-visione dell’ insegnamento. Il problema, mi creda, non è che Lafforgue critichi il semplice fatto che l’ allievo sia “al centro del sistema”, ma cosa, NELLO SPECIFICO, ciò significhi secondo alcuni pedagogisti e didatti. Perché, mello specifico, quello che si è verificato è che l’ allievo è rimasto al centro DEL NULLA; nei casi migliori non ha acquisito praticamente alcuna conoscenza, mentre nei casi peggiori la sua testa gira come una trottola per la confusione. E’ chiaro che la questione andrebbe approfondita anche quì, specie alla luce del fatto che (per sua stessa ammissione) non la conosce affatto bene, ma le sembra il caso, allora, di chiamare IGNORANTE e di ritenere passibile di ricovero coatto in un manicomio psichiatrico un matematico che ha raggiunto dei risultati intellettuali importantissimi? E questo solo per il fatto che lui, matematico di fama mondiale, si è permesso di criticare le visioni di un manipolo di pedagogisti ed “esperti” sull’ insegnamento della matematica, SUO CAMPO DI COMPETENZA, a fronte della totale incompetenza in materia degli altri? E questa come me la chiama, se non “disprezzo del sapere”? Io nel mio piccolo, Israel, Lafforgue e tanti altri dobbiamo giustamente informarci prima di parlare e attingere alle ricerche della gente che ha citato lei, però lei non ritiene di alcuna utilità e di alcun valore le critiche che ricevono i suoi mentori, diciamo così, da persone che conoscono (in alcuni casi molto bene) la materia in questione. Sull insegnamento DELLA MATEMATICA devo ascoltare e capire le opinioni di psicologi, didatti, pedagogisti e compagnia bella (e la cosa ci può stare, perché no?), però le mie critiche, le mie perplessità non hanno importanza, sono solo residui della mia ostinazione a propinare una didattica “trasmissiva” (di nuovo senza che nessuno abbia ancora chiesto com’ è la mia didattica). Lei ritiene addirittura DESTITUITA DI OGNI FONDAMENTO l’ affermazione secondo cui “la matematica sia una disciplina eminentemente teorica”? Quindi lei ha anche una laurea in matematica? Dice di denotare in me una “NON CONOSCENZA o VOLUTA IGNORANZA di tutto uno sterminato corpus di scienza didattica contemporanea”?????? Mi faccia capire bene, gli specialisti che dice lei hanno dimostrato con una sterminata letteratura che la MATEMATICA NON E’ UNA DISCIPLINA TEORICA? Oltre a pretendere di venirmi a dire come insegnarla, mi dicono anche CHE COSA SIA, QUALE SIA LA SUA VERA NATURA??? Lei mi viene a dire che con LA VISIONE DELLA MATEMATICA DI VON NEUMANN NON SI VA MOLTO AVANTI????? Ma lo sa almeno chi è stato e quello che il mondo intero deve alla sublime mente di Von Neumann??? Neanche a farlo apposta, il cervello a cui dobbiamo l’ architettura dei calcolatori e l’ quasi informatica intera! Secondo lei chi ha insegnato le scienze ai cinesi, ai coreani e compagnia bella? E stata LA VECCHIA EUROPA con le sue eminenti comunità scientifiche, le più importanti del mondo; quell’ Europa, 80 anni fa, “infestata” (secondo lei) da autentici geni come Von Neumann, ancora sprovvista di pedagogisti ed “esperti” e che solo le dittature nazifasciste e comuniste sono state in grado di distruggere. Se la pensa davvero così, purtroppo, temo di dover appellarmi al mio sacrosanto diritto ad infischiarmi del suo parere, senza offesa. Viene a dire a me che la scienza è in “costante evoluzione” e che “costruisce sempre sulle acquisizioni precedenti”? E’ esatto, “costruisce”, non “demolisce” (salvo rari casi) quello che c’ era prima, esattamente come la teoria della Relatività Generale di Einstein non ha contraddetto e demolito, ma inglobato e generalizzato, quella della Gravitazione Universale di Newton. Quello che invece i suoi specialisti (che, comunque, non fanno certo parte della cominità dei fisici, o dei matematici, o dei chimici, ecc.) mi pare abbiano in mente, è depennare senza tanti giri di parole tutto quello che abbiamo ereditato dal passato in materia di didattica specifica per ogni singola disciplina. Come disse un funzionario ministeriale francese qualche anno fa, sul fatto che occorresse fare una “lotta militante nei confronti dela sapere tradizionale”. Diamine, non erano forse eminenti didatti e filosofi della scienza (oltre che SCIENZIATI, naturalmente) Hanri Poincaré e Federigo Enriques? E’ non è stato forse Richard Feynman, brillante ed estrovero fisico, premio Nobel morto nell’ 88, a scrivere quelli che vengono all’ unanimità considerati dei capolavori di didattica della fisica, le “Feynman Lectures”? Con quale diritto si pretende, non dico di mettere in discussione le opinioni di questi signori, ma addirittura di non doverne tenere alcun conto? Il nocciolo della questione è questo e lo dico senza peli sulla lingua: io credo che molte delle proposte dei suoi esperti, per quanto riguarda lo specifico insegnamento di una materia come la matematica, siano del tutto prive di senso. E credo che lo siano principalmente per il semplice fatto che le competenze di questi signori in matematica sono NULLE. La verità è che la matematica è un corpus di saperi molto antico e vasto, e nessuno che non ne abbia una minima conoscenza può permettersi di pontificare sul suo insegnamento. Che si proceda con umiltà e reciproca considerazione dei pareri tra pedagogisti e matematici, dico io, non che gli esperti di didattica pretendano ciecamente di infischiarsi dell’ esperienza e delle cooscenze degli altri! Lei dice che il padroneggiare una disciplina è un obiettivo perseguito in modo “diretto, sistematico, QUASI ESCLUSIVO (addirittura!)” dai metodi di quella che io definisco “certa didattica”, il che, per alcuni, è semplicemente FALSO. E’ la sua parola contro quella, per esempio, di tanti insegnanti di matematica (anche ad altissimi livelli, come le ho dimostrato). Ora, mi spiega perché dovrei dare ragione a lei, o perché dovrei essere più propenso a dare ragione a lei? La frase sulla “conoscenza per la conoscenza” potrà anche essere frutto di “decenni di lavoro da parte di scienziati di valore internazionale”, ma anche le critiche non sono da meno. E sopratutto, sono gli “scienziati” che dice lei a fare invasione in campo altrui, diciamo così. Sono loro ad andare a dire agli altri quello che devono o non devono fare, come devono o non devono insegnare, infischiandosene della loro esperienza e competenza. Come si sbroglia una matassa del genere? Infine, è probabile che mi sia fatto un’ idea “errata e semplicistica” delle idee di Schank, ma ho anche detto “riconosco di non poter chiudere così tutte le questioni da lui sollevate”. Passiamo ad altro: che significa, IN CONCRETO, “andare (didatticamente) oltre la parcellizazione delle discipline”? Sono d’ accordo sul fatto che le discipline non siano fatte “a blocchi” e che siano tutte integrate tra loro, ma c’ è un’ ottima ragione per cui si insegnano singolarmente e separatamente (in “modi scissi”, come dice lei): per esigenze di ordine e di approfondimento. Lei cosa suggerirebbe, di fare ogni giorno un panegirico tra matematica, lettere, storia, fisica ecc. , tutto mischiato assieme, di fronte agli studenti? “Forse ci si dimentica” che le discipline non sono affatto “rappresentazioni astratte dei fatti del mondo” (secondo lei è oggettivamente esaustiva e soddisfacente una definizione del genere?); sono stratificazioni e strutturazioni di conoscenze ed esperienze accumulate, studiate e rifinite nel corso dei secoli in un processo che deve OBBLIGATORIAMENTE proseguire per il bene di tutti. Beato lei che sa “come funziona il mondo”… Invece sono d’ accordo con lei quando parla, per l’ insegnamento della matematica, di “poter seguire le sue proprie strade alla comprensione della matematica”, dal momento che tutta la cultura è sostanzialmente frutto di soggettività e che cercare di oggettivizzarla a tutti i costi è un idiozia. “Il problema è il metodo, non il contenuto”, giusto; specie se il metodo prevale sul contenuto e finisce per eclissarlo del tutto. E ci risiamo con la scuola che mi piace tanto, quella dell’ apprendimento superficiale (che personalmente ODIO) ecc. Guardi, terminato questo post ne metterò un altro (abbastanza breve, prometto), se vuole, in cui spiego che tipo di approccio adotto con gli studenti, così potrà giudicare lei stesso. Sul fatto che la didattica trasmissiva “tanto cara a me” vada nella direzione opposta all’ “appropriarsi approfonditamente” delle discipline, penso che sia semplicemente FALSO nella sua generalità, visto che la storia più antica fino a quella recente ci dà tante testimonianze di gente sempre più preparata in profondità nei propri campi di interesse. Diciamo invece che quel tipo di didattica tiene troppo poco conto (con conseguenze anche molto gravi) delle differenze degli alunni, del fatto che hanno gusti diversi, caratteri diversi e un diverso modo di porsi nei confronti delle difficoltà dello studio. E torniamo alla scuola “orientale”, perché il mio parere è che in realtà sia lei a guardare in modo superficiale e semplicistico quelli che sono veri e propri CONTROESEMPI alle sue idee. In quei paesi (lo so anche perché conosco personalmente dei giapponesi, con i quali ho parlato di queste cose) la scuola non ha nulla a che vedere con le innovazioni che dice lei. Gli insegnanti spiegano “trasmissivamente” (sigh!), gli alunni sono dispostissimi a stare ore e ore a sedere dopo le lezioni, se sono impreparati vengono bocciati senza tanti complimenti, la maggior parte di loro finisce nelle università di tutto il mondo a studiare per conseguire PHD nelle scienze di base come in quelle applicative. Tutto ciò non dimostra che le sue idee non funzionino, ma (casomai) che non siano le sole a poter funzionare. E’ inutile che mi parli di “impatto economico” (ma lei è anche economista?) o della società di quei paesi perché ho già detto e ripetuto che mi sto riferendo SOLO alla scuola. Mi permetta ora di citare alcuni passi dei suoi post.
“L’apprendimento (quello autentico, quello significativo, non la memorizzazione) è un atto volontario. Una persona non apprende per obbligo, per dovere. Per obbligo, per dovere, nel migliore dei casi memorizza e non sa che farne di qullo che ha ingurgitato.”
Quindi, tornando a suo figlio, secondo lei ogni volta che a scuola si annoia è perché l’ insegnante sta sbagliando qualcosa nel comunicare? Non potrebbe darsi che in certi momenti suo figlio voglia solo rilassarsi e fare una pausa? A scuola ci siamo stati tutti, no? E’ perfettamente naturale. Ma non pensa che anche in quei momenti, come dice Lafforgue, convenga mantenere un certo AUTOCONTROLLO, stringere i denti e continuare a prendere appunti? Se pensa che suo figlio non sia in grado di farlo, secondo me lo sottovaluta molto. Altra cosa: non intendevo affatto dire che gli studenti DEBBANO essere intimoriti dall’ insegnante, ci mancherebbe. Ho detto solo che un insegnante poco autorevole e poco valido perderà in men che non si dica il rispetto e l’ attenzione della classe. Sulle enciclopedie Britannica e Treccani, la imploro di indicarmi quali sono le inesattezza che ha riscontrato.
“Il nostro obiettivo, come educatori, come formatori, come insegnanti è di aiutare i nostri allievi a determinare da sé l’affidabilità di una informazione non quella di selezionare noi per loro le fonti, le informazioni affidabili”
Con tutto il rispetto, QUESTO LO DICE LEI. Una cosa non implica necessariamente la negazione dell’ altra. Se uno studente mi chiede di consigliargli un libro per lo studio delle Equazioni Differenziali Ordinarie, non esito a fargli una lista di titoli indicandogli quelli che ritengo migliori e quelli che non mi piacciono, proprio per contribuire ad un migliore apprendimento. Nel corso del tempo e con l’ esperienza, sarà lui stesso a capire il motivo delle mie preferenze, che potrà condividere o meno.
“Cosa vuol dire “eccessivamente” innovativi e “radicali”? Perché ciò che è eccessivamente innovativo non va bene? Chi stabisce il giusto grado di innovazione? Perché un approccio “radicale” non va bene? Proprio non capisco”
Vuol dire, come le ho detto in precedenza, che (secondo me) quello che ho capito del pensiero di Schank non è applicabile (ironia…) ad un insegnamento proficuo della matematica, e ho espresso diverse considerazioni in merito al perché. Non c’ è nulla di male, ovviamente ad essere molto innovativi, purché ci siano risultati migliori (o almeno confrontabili con quelli ottenuti con metodi più tradizionali o diversamente innovativi). “Chi stabilisce il grado di innovazione” è una domanda da 100.000 punti, ma la risposta è abbastanza scontata: IO. Come insegnante di matematica, sarò IO a dover stabilire (sulla base dei risultati e del livello di apprendimento della materia) se i nuovi metodi didattici sono utili o meno. Naturalmente dopo che qualcuno mi abbia spiegato in cosa consistono. Anche perché non vedo alternative: se la sentirebbe di correggere una pila di compiti di matematica di una classe di liceo?
Marinelli, dopo aver preteso di dare lezioni di bon ton a dritta e a manca lei ha, come direbbero i miei studenti, “sgravato”: ossia deposto con una certa primitività il frutto del suo essere.
Lei ha qui imboccato la strada di sciorinare teorie e nomi, ma non ha mai fatto la cortesia di indicare a tutti noi che pazientemente leggiamo, una sola riga di sua bibliografia; nemmeno un cenno su un qualunque breve saggio o pubblicazione sua originale (anche su web, su blog o dove le pare) da cui possiamo trar conforto al suo predicare.
Lei, signor Marinelli, assume la veste della maestà offesa per il tono appassionato del Prof. Antonio Saccoccio e, non contento, si permette, rivolgendosi a Gianni Marconato (del quale Le risparmio l’elenco di titoli e pubblicazioni per amore di brevità ma che chiunque può consultare liberamente su web i in biblioteca), di dichiarare (scripta manent!) “Se la pensa davvero così, purtroppo, temo di dover appellarmi al mio sacrosanto diritto ad infischiarmi del suo parere, senza offesa. Viene a dire a me che la scienza è in “costante evoluzione” e che “costruisce sempre sulle acquisizioni precedenti”?
“senza offesa” Marinelli? Ma certo, come no?
Io credo che un paio di ripassi di educazione-base, Marinelli le farebbe un gran bene e le sarebbero utili per il futuro.
Chi si rivolge a un autore e ne sollecita attenzione e risposte non si permette, dopo averle ottenute, di rispondere così anche in considerazione del fatto che chi la legge, Marinelli, l’ha anche con grande disponibilità ascoltata, che le ha dedicato tempo ed attenzione che Lei per primo gli si è rivolto scrivendo commenti su questo sito.
Ma detto questo, e rimanendo in tranquilla attesa di ulteriori suoi violenti strali, non posso che salutarla con una breve domanda. (Ha fatto domande a tutti, Marinelli, consentirà che se ne rivolga una a lei).
Quanta esperienza ha di insegnamento? Quanti anni intendo…
Perché vede Marinelli, chi insegna (e le Professoresse Galizia e Favaron nonché la sottoscritta e anche il Prof. Saccoccio) è abituato a guardare negli occhi i propri studenti.
Non aggiungo altro. Lei sa tante cose, perché dovrei insegnarle il senso della mia frase?
Ma un’ultima cosa solo le dico. Chi misura le competenze degli studenti (grandi o piccoli) lo può fare con perizia, scienza e coscienza oppure lo fa come lei e i suoi ispiratori.
Ma io non ho la pazienza di Gianni Marconato e nemmeno la sua saggezza.
Non ho nemmeno la lucida immediatezza e incisività di Antonio Saccoccio, né razionalità pacata di Cristina Galizia o i brillanti numeri di Elena Favron.
lo sono una persona semplice e con solo trent’anni di esperienza e di riflessione sulla scuola; credo in quella esperienza e credo nel buon senso per cui le dico che chi fa come lei si comporta come il chirurgo che esce sereno e appagato da un intervento dichiarando soavemente ai famigliari del malato: “L’operazione è perfettamente riuscita, ma il paziente non ha resistito ed è morto.”
Mariaserena
mettiamola così. Lei ha ragione a dire che ho esagerato. Il sig. Marcontato, in effetti, non si meritava da parte mia alcune frasi che ho scritto. E’ stata la foga della discussione. Cercherò di mantenere un tono più equilibrato, se il sig. Marconato vorrà continuare questa discussione. E’ pur vero che non mi pare di aver appiccicato etichette di comodo a destra e a manca, come altri hanno fatto con me. Non è che io abbia “preteso attenzione” da Marconato; ho postato un commento, lui ha risposto e siamo andati avanti, segno che entrambi siamo interesssati alle opinioni dell’ altro, pur non condividendole. Naturalmente ho gradito molto che le mie opinioni abbiano suscitato la sua attenzione, non lo nascondo di certo. Ho provato qualche fitta di irritazione, lo ammetto, di fronte al disappunto che ha espresso Marconato di fronte alla visione matematica di Von Neumann (anche perché lì si stava parlando di matematica, non di didattica) e il motivo è che, con tutta sincerità, credo che oggi non esista (né esisterà per un bel pezzo) uomo al mondo che possa competere con Von Neumann su quest’ argomento. Probabilmente vale anche il contrario, nel senso che Marconato avrà provato delle fitte di irritazione di fronte alla mia messa in discussione di alcune sue teorie o non sue (anche se io non sono quasi mai uscito dal mio ambito di competenza: la matematica e la SUA SPECIFICA didattica). Comunque spero che si riesca a leggere e a capire quanto ho scritto andando al di là del tono con cui l’ ho espresso. Vuole la bibliografia e i riferimenti per tutto quello che ho detto? Nulla di più facile: basta leggere le opere dei nomi che ho citato: Israel (“Chi sono i nemici della Scienza?”), Lafforgue (“La débâcle de l’école”); ho citato G.H.Hardy (“Apologia di un Matematico”), J. Von Neumann, H.Poincaré (“La Scienza e il Metodo”, “Il valore della Scienza”), F.Enriques, A.Einstein (la citazione esatta era “la scienza ristagnerà se la si farà asservire a scopi pratici”). Tutti questi giganti si sono soffermati diffusamente sulla didattica in tante loro opere; se avrà la pazienza di leggerli scoprirà tanta esperienza e un patrimonio intellettuale tra i più importanti del mondo. Voi, specialmente, che studiate didattica e metodologia, sareste doppiamente avvantaggiati dalla lettura di questi autori, perché sapreste vedere le loro opinioni da due punti di vista (e, tra l’ altro, vi difendereste egregiamente da coloro che vi accusano, come me, di non tener conto degli specialisti delle varie discipline). Ammetto comunque che Marconato abbia cominciato a fornirmi delle risposte, ma il punto è che alcune di queste non mi sembrano molto soddisfacenti (opinione del tutto personale, ma supportata dai motivi che ho spiegato nei post). Comunque, siccome la discussione va avanti, propongo una svolta. Voglio smetterla di fare il critico Critichetti e ascoltare il vostro parere su quella che ora presenterò: la mia didattica. Assicurando a tutti che anche io guardo gli studenti negli occhi, mi direte (se lo vorrete) come, dove e perché io non sia tra quelli che misurano la competenza degli studenti con “perizia, scienza e coscienza”. Con questo confido di dare anche una risposta al primissimo post di Elena, quello in cui mi promette di leggere tutti i miei commenti (sono lieto di tanta considerazione). Io non ho una classe “fissa” perché insegno in un istituto per recupero e ripetizioni, ho a che fare con tanti studenti di età diverse, insegnanti diversi e storie diverse, ma tutti accomunati dalle difficoltà in matematica. Sulla base di tutti gli esempi che mi sono capitati sotto mano finora, non è che i ragazzi non abbiano “talento” (non che ci voglia un particolare talento per capire la matematica, come dice giustamente Elena). Il più delle volte sono semplicemente svogliati, poco attratti dalla materia, poco inclini a stare a sedere a cercare di sbrogliare la matassa. Penso di saper riconoscere la svogliatezza in un ragazzo, ma non si tratta di qualcosa si strano né di irrimediabile. Approfitto per ringraziare Elena per avermi detto il suo metodo per valutare la mia efficacia come insegnante; le dico subito che sono curioso di provarlo con i voti che prenderanno i miei studenti. Ora è il momento di contraccambiare e di dirle il mio (in linea di massima):
1) Ogni singolo studente mi parla degli argomenti che l’ insegnante ha svolto in classe, mi indica le sue difficoltà specifiche e gli argomenti che non ha capito (tra l’ altro, ci tengo a precisarlo, in un atmosfera solitamente molto rilassata);
2) Dopo essermi accertato che non ci siano gravi lacune nelle conoscenze matematiche di base necessarie per gli argomenti in questione, comincio con una prima spiegazione e chiedo allo studente di fermarmi non appena c’ è qualcosa che non ha capito. Senza mettere troppa carne al fuoco, gli chiedo di dire la sua di fronte ad alcuni esempi e ai primi esercizi, specificando la richiesta di spiegarmi, passo per passo, tutte le concatenazioni logiche del suo ragionamento. Perché pensi questo? Perché mi hai risposto quest’ altro? Cosa te lo fa dire? Le ipotesi da cui siamo partiti sono sufficienti per dedurre legittimamente quello che dici, o c’ è un’ implicazione non valida? Sono necessari e sufficienti 3 punti per identificare una circonferenza nel piano? Se sì, perché proprio 3? Perché non 2? Come faresti per costruire un polinomio di grado 3 ma con solo 2 radici? E con solo una radice? Dato che esistono polinomi di grado 2 con nessuna radice reale, possiamo pensare a un polinomio di grado 3 con la stessa proprietà? Ecc.; pensi che propongo addirittura versioni semplificate di esercizi assegnati ai concorsi per l’ ammissione a Berkeley (“Berkeley Problems in Mathematics”, De Souza, Silva)
3) Lo studente inizia a capirci qualcosa perché sta muovendo gli ingranaggi della propria materia grigia e non sta passivamente ripetendo un banale algoritmo di risoluzione di un problema senza sapere come e perché. Si trova di fronte a un problema concreto, specifico, e deve tirarsi su le maniche e spremere le meningi per tentare di risolverlo. La fase 2) si ripete finché l’ alunno non ha la piena comprensione di ciò che prima gli era oscuro. Anche quando ho più alunni contemporaneamente, per OGNUNO di loro, dopo le spiegazioni, i chiarimenti, le domande ecc. ripeto la fase 2). OGNUNO di loro viene singolarmente interrogato da me e le sue conoscenze vengono sondate quasi “neurone per neurone”;
4) Quando tutti (TUTTI) gli studenti hanno capito perfettamente (o comunque abbastanza bene) gli argomenti su cui erano in difficoltà e ogni dubbio è stato fugato, chiedo loro “cosa ne pensate? Pensate di saperne di più di prima?” e, non per vantarmi, finora le risposte sono state tutte varianti del “sì, altroché!”. Naturalmente stabilisco IO se abbiano capito o no, ma lo faccio esclusivamente sulla base del buonsenso e della correttezza (o meno) delle loro risposte. Poi vengo a sapere i risultati dei compiti e delle interrogazioni e, dopo essermi assicurato che si tratta di buoni voti o, al più, di sufficienze, valuto assai positivamente la mia “efficacia” come insegnante.
Se la didattica di Elena è diversa da questa, consiglio di provarla; fa miracoli! Come può constatare, non uso né ho mai usato schemi, percentuali o distribuzioni chi quadro (il cui uso in quest’ ambito, in effetti, mi sembra MOLTO discutibile). E’ evidente come si tratti di una didattica basata SUI CONTENUTI, sulla sola unica universale matematica che abbiamo e conosciamo (e a cui tanto dobbiamo), ma non mi si venga a dire che è quella della “maestrina di trent’ anni fa che ti segna l’ errorino con la penna rossa e quella blu”. Se Schank o lo stesso Marconato (della pazienza del quale spero di non stare abusando) possono darmi dei consigli per migliorare, tanto ti cappello; sono più che benvenuti. Ecco la scuola che vorrei; ecco la scuola dei “conservatori”, dei “reazionari”, dei “protocolli fascisti”, della “didattica trasmissiva” e compagnia bella (lascio alla “poesia” del sig. Saccoccio il compito di continuare questa lista).
Marinelli prendo atto.
Ma prima di metter mano ad altre risposte c’è un dubbio che andrebbe sciolto.
Lei non ha già frequentato la SSIS?
La SSIS? Mai frequentata. Semplicemente, venni a sapere che c’ era bisogno di un laureato in matematica all’ istituto dove attualmente insegno, mi presentai e mi presero.
@Molino, e vai col flame! lo sport preferito in questa discussione!
Citi una mia frase, poi citi una mia convinzione e quindi le metti a far la guerra l’una contro l’altra?!?
Presunta abilità retorica o inutile e avventata bacchettata professorale?
Hai comunque sbagliato (e, non volermene, sballato, e direi pure sbarellato) alla grande.
Vediamo. Gli istinti dei nostri ragazzi vanno guidati e va fatto ampio uso della metacognizione. Giustissimo. E’ proprio quello che sostengo io da sempre e che porto avanti quotidianamente nella pratica con i ragazzi (puoi averne prove ovunque sul web, puoi intervistare un mio alunno a caso e se vuoi ti invito pure in classe da me!). Quindi, non è affatto sbagliata la mia frase “un ragazzo che si informa da solo, che impara da solo, che crea da solo, che se ne fotte dei miei titoli accademici e del mio ruolo di insegnante”, perchè queesta è la realtà dei fatti da cui l’insegnante deve sempre partire. E’ semmai sballata del tutto la tua deduzione che io possa ritenere questo approccio istintivo dei ragazzi sufficiente per un apprendimento evoluto. Dove ho mai scritto, perdonami, una cosa del genere?
Posso sbagliare (e anche sballare sbarellare sbadigliare) di certo su molti punti effettivamente critici, ma a pensare quelle cose sarei più che altro un perfetto minchione. 😉
Beh… Marinelli, ma non le sembra, allora, di essere partito un po’ troppo da… lontano?
Con lei ci vuole un miracolo. Auguri.
Mariaserena,
la ringrazio per gli auguri, ma cosa intende esattamente per “partito un pò troppo da lontano”?
@Saccoccio
Nessuna volontà di flame da parte mia, glielo assicuro. Credo di aver serenamente argomentato il mio disaccordo nei confronti di una sua frase.
Se poi questa sua frase, utilizzata nel contesto delle questioni che qui si stanno trattando, non rende giustizia né ai suoi convincimenti profondi né alla sua attività di insegnante, ne prendo atto.
Ero comunque certo che lei non fosse un minchione, visto che su alcuni punti siamo d’accordo …