Venerdì scorso, a Bologna, nel contesto della Giornata nazionale AIF sulla formazione, mi erano state chieste alcune riflessioni sull’apprendimento nell’era dei social network e sul social networking più in generale. Il mio intervento era previsto dopo  altri 5 o 6  ed alcune idee che avevo in mente le ho ho aggiornate alla luce dei primi interventi ribadendo, rinforzati, alcuni concetti ed inserendone altri.

Tant’è che le slide che avevo preparato in treno arrivando a BO le ho sostituite con altre cucinate sul posto in corso d’opera.

Queste le prime slide che dato che come del maiale, anche delle slide non si butta nulla ….

Le prime silide della seconda serie sono fatte con alcune vignette dell’ottimo Glasbergen che riassumono bene i temi della mattinata (le prime due) e l’approccio che, invece, si dovrebbe adottare (la terza)

Come vedo, oggi, la questione dei social network e del social networking

  • Sono quasi 20 anni che si fa attività in rete (anche se il social networking come lo intendiamo oggi è più recente, non va dimenticato che è del 1993 il libro di Howard Rehinngold “comunità virtuali”; l’interagire in rete è cosa “vecchia”di quasi 20 anni) e vedo ancora oggi fare discorsi come se il social networking fosse cosa di questi giorni. Quindi, basta fare oggi discorsi che potevano andare bene 10 anni fa
  • Correlato a questo tema, vedo ancora tanta retorica e poca consapevolezza su cosa significhe fare, per davvero, social networking. Basta parlare di social networking, facciamolo
  • Facciamo social networking e come “esperti” della cosa osserviamo le pratiche  e cerchiamo di capirle: non possiamo osservare un fenomento tanto nuovo usando riferimenti vecchi, riferimenti che ci portano, inevitabilmente, ad osservare il nuovo in termini di differenza con il nuovo e ad evidenziare cosa manca e non cosa c’è. Osserviamo il nuovo  usando schemi concettuali nuovi

Assumendo la prospettiva di capire cosa stia succedendo, mi sono fatto alcune idee:

  • Il social networking è espressione dei processi naturali di apprendimento: fare social networking è una pratica “naturale”, cognitiavamente ergonomica
  • Il Social networking è anche la pistola fumante della validità delle teorie contemporanee della cognizione e dell’apprendimento (vedi, ad esempio, tutte le concettualizzazioni riferibili al costruttivismo sociale, le concettualizzazioni di “comunità di pratiche”, di “apprendimento situato” di “cognizione distribuita” …)
  • Il vero tema che ci si potrebbe porre oggi è: “perché il social networking che in teoria dovrebbe essere una modalità di apprendimento agevole, naturale e diffusa non lo è?”
  • Le teorie sono dalla nostra parte , le tecnologie sono estremamente abilitanti, le pratiche sono prevalentemente deboli
  • Tanto social networking sta in superficie: relazioni superficiali, costruzione di conoscenza altrettanto superficiale …

Per poter fare qualche passo in avanti nella consocenza del fenomeno e nel miglioramento delle pratiche, credo che alcuni dei temi su cui lavorare possano essere:

  • cosa si apprende nei diversi tipi di social network (prendiamo a riferimento qualche buon modello concettuale sulla cognizione, sull’apprendimento, sulla conoscenza)
  • come si sostengono i processi naturali di apprendimento in un contesto formalizzato (potenziare i flussi spontanei senza bloccarli)

Ogni discorso rimane aperto ….

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Immagine www.mariedargent.com

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9 pensiero su “Il mio social networking”
  1. Firmina, io nel mio piccolo ho inziato anni fa nel SN Orientamenti e disorientamenti e continuo ora il LSCF. Il la scuola che funziona abbiamo lanciato un sondaggio tra i membri e lo chiudiamo oggi. A breve i dati. Intanto l’attività continua …..

  2. “Le teorie sono dalla nostra parte , le tecnologie sono estremamente abilitanti, le pratiche sono prevalentemente deboli”; “Tanto social networking sta in superficie: relazioni superficiali, costruzione di conoscenza altrettanto superficiale …; “…non possiamo osservare un fenomento tanto nuovo usando riferimenti vecchi…”Concordo e, senza fare inutili giri di parole, vengo al dunque.Usiamo schemi concettuali nuovi, tu dici. Ok, facciamolo!Il nostro modo di vedere le cose è ancora bidimensionale o al massimo tridimensionale, dovremmo riuscire a cogliere invece la profondità che è insita nel nuovo modo di approcciarsi alla conoscenza. Io non metto in discussione la validità del modello costruttivista, dico soltanto che non possiamo costruire con i mattoncini del Lego un castello la cui idea abbiamo già nella nostra mente. Mi rendo conto che è difficile affrontare un qualunque percorso senza avere l’idea di quale sarà il punto d’arrivo, ma mi sembra che l’idea del progetto didattico sia ormai andata in pensione. Il progetto è un sistema chiuso che vincola e limita, che pone delle condizioni a priori, che è adatto a definire sistemi chiusi, lontani mille miglia dall’apprendimento situato e dalla cognizione distribuita. Facendo un ragionamento paradossale, mi verrebbe da dire che le pratiche sono deboli perché il punto d’arrivo è ben chiaro e il percorso ben scandito con tanto di punti fermi come la valutazione e la programmazione per obiettivi o qualche altro residuato bellico-didattico.Credo che un salto di qualità si possa e si debba fare e che per cambiare ci sia bisogno di un fortissimo allargamento della base ideologica, cosa che certo non può avvenire soltanto durante le ore di lezione. Fare un percorso che consenta di dare una nuova logica alle nuove idee, significa spendere moltissimo tempo in attività di approfondimento teorico, attività che sono destinate a non incidere immediatamente sull’efficacia e sull’efficienza dei percorsi di insegnamento/apprendimento. E’ evidente che impegnarsi nel “pratico” è più appagante che impegnarsi nel “teorico”. L’approccio teorico non consente di ottenere il massimo risultato col minimo sforzo.Un social network deve essere in grado di proporre alternative, deve essere in grado cioè non solo di produrre nuove mappe di itinerari già conosciuti ma anche e soprattutto di indicare nuove strade.E le nuove strade possono essere percorse solo se si attivano dei processi che sono “contro” il sistema. Chiediamoci se è possibile conciliare il sapere liquido, e sempre più anarchico, con la scuola. Chiediamoci se è arrivato il momento di mettere in discussione l’idea stessa di istruzione. Chiediamoci se il sapere è davvero un prodotto a lunga conservazione, chiediamoci se è ancora valido un sistema d’istruzione centralizzato (perché l’autonomia di fatto non esiste), chiediamoci se siamo pronti ad accogliere il criterio della pertinenza momentanea e a mettere in discussione il sistema di valutazione e la valutazione stessa, chiediamoci se è possibile ricondurre l’insegnamento alla sua eticità produttiva. Le pratiche sono deboli perché, a mio avviso, rispondono a dei falsi bisogni, bisogni che sono magari solo nella nostra testa, ovviamente anche e soprattutto nella mia…Bisogna che ci attrezziamo per capire di cosa abbiamo veramente bisogno, e che lo facciamo con molta umiltà. Per parlare di scuola bisogna uscire dalla scuola.

  3. Concordo Fermina: "per parlare di scuola bisogna uscire dalla scuola" il che è del tutto coerente da quanto osserva Gianni M in particolar modo (a mio avviso) dove GM nota: "perché il social networking che in teoria dovrebbe essere una modalità di apprendimento agevole, naturale e diffusa non lo è?Le teorie sono dalla nostra parte , le tecnologie sono estremamente abilitanti, le pratiche sono prevalentemente deboli" Si prospetta infatti la necessità di una rivoluzione copernicana i cui risultati andranno sottoposti a verifica. Da oltre 30 maneggiamo e smanettiamo pc, da quasi 20 si fa attività di Rete, ma l'approccio di solito è stato solo applicativo nel senso tradizionale del termine. Per dir meglio : anche la persona evoluta che ha cominciato subito ad usare il pc si è chiesto, di solito, "come posso usare il media elettronico per fare, con meno tempo e fatica, quello che devo fare manualmente o con sistemi tradizionali?" Da un atteggiamento mentale di questo tipo (tradizionalissimo) non poteva venire qualcosa di davvero nuovo. E infatti potremmo quasi dire che il telefono cellulare ha cambiato la nostra comunicazione molto più del pc. Se ci poniamo invece il problema non solo di comunicare più velocemente (cellulare), ma di definire modelli cognitivi allora la questione si complica. Condivido quello che scrive Gianni : " fare social networking è una pratica “naturale”, cognitiavamente ergonomica" e su questo punto mi chiedo, ad esempio: perchè? e soprattutto, come codifichiamo questa ergonomia che percepiamo ma non sempre siamo in grado di teorizzare?

  4. (continua) a me sembra che la potenzialità democratica della rete sia uno degli elementi (uno dei molti) su cui approfondire il discorso. Un altro mi pare potrebbe essere quello della specificità. Faccio un altro esempio: se la Rete serve (per restare in ambito di "apprendimento" scolastico) a velocizzare la stesura delle tesine questo non dipende dal fatto che gli studenti sono più furbi e mediatici dei prof, ma dipende dal fatto che le tesine sono una pratica didatticamente ipocrita: invece di copiare e fotocopiare si copiaincolla. E quindi siamo ancora del tutto fuori da un uso intelligente della Rete. Il discorso è lunghissimo (ed aperto come Gianni dice) ma se provassimo a definirne le diverse nervature sempre in un'ottica pratica e applicativa? Forse ne varrebbe la pena; per farlo occorrono faticose sperimentazioni. Confermo pienamente e mi allineo sulla posizione anche di Fermina Daza (che di sperimentazioni è maestra) : "Bisogna che ci attrezziamo per capire di cosa abbiamo veramente bisogno, e che lo facciamo con molta umiltà. Per parlare di scuola bisogna uscire dalla scuola." Facciamolo.

  5. "Uscire dalla scuola " significa quindi svestire l'addobbo del prof che non riesce a comunicare se non come prof… curiosamente prof-essoresse e prof-essore iniziano con lo stesso "prefisso" di prof-eta… ma dobbiamo accettare con grande umiltà che non siamo profeti e nemmeno (ahimè) come vorremmo e dovremmo pro-motori culturali. Ma questo non significa assolutamente che siamo dietro alle altre categorie, anzi. Abbiamo scarpe buone per camminare, Perchè, dunque, non "usciamo" all'aperto e ci mettiamo in cammino?

  6. “Le teorie sono dalla nostra parte , le tecnologie sono estremamente abilitanti, le pratiche sono prevalentemente​ deboli”; “Tanto social networking sta in superficie: relazioni superficiali, costruzione di conoscenza altrettanto superficiale …; “…non possiamo osservare un fenomento tanto nuovo usando riferimenti vecchi…”Concordo e, senza fare inutili giri di parole, vengo al dunque.Usiamo schemi concettuali nuovi, tu dici. Ok, facciamolo!Il nostro modo di vedere le cose è ancora bidimensionale o al massimo tridimensionale​, dovremmo riuscire a cogliere invece la profondità che è insita nel nuovo modo di approcciarsi alla conoscenza. Io non metto in discussione la validità del modello costruttivista,​ dico soltanto che non possiamo costruire con i mattoncini del Lego un castello la cui idea abbiamo già nella nostra mente. Mi rendo conto che è difficile affrontare un qualunque percorso senza avere l’idea di quale sarà il punto d’arrivo, ma mi sembra che l’idea del progetto didattico sia ormai andata in pensione. Il progetto è un sistema chiuso che vincola e limita, che pone delle condizioni a priori, che è adatto a definire sistemi chiusi, lontani mille miglia dall’apprendime​nto situato e dalla cognizione distribuita. Facendo un ragionamento paradossale, mi verrebbe da dire che le pratiche sono deboli perché il punto d’arrivo è ben chiaro e il percorso ben scandito con tanto di punti fermi come la valutazione e la programmazione per obiettivi o qualche altro residuato bellico-didatti​co.Credo che un salto di qualità si possa e si debba fare e che per cambiare ci sia bisogno di un fortissimo allargamento della base ideologica, cosa che certo non può avvenire soltanto durante le ore di lezione. Fare un percorso che consenta di dare una nuova logica alle nuove idee, significa spendere moltissimo tempo in attività di approfondimento​ teorico, attività che sono destinate a non incidere immediatamente sull’efficacia e sull’efficienza​ dei percorsi di insegnamento/ap​prendimento. E’ evidente che impegnarsi nel “pratico” è più appagante che impegnarsi nel “teorico”. L’approccio teorico non consente di ottenere il massimo risultato col minimo sforzo.Un social network deve essere in grado di proporre alternative, deve essere in grado cioè non solo di produrre nuove mappe di itinerari già conosciuti ma anche e soprattutto di indicare nuove strade.E le nuove strade possono essere percorse solo se si attivano dei processi che sono “contro” il sistema. Chiediamoci se è possibile conciliare il sapere liquido, e sempre più anarchico, con la scuola. Chiediamoci se è arrivato il momento di mettere in discussione l’idea stessa di istruzione. Chiediamoci se il sapere è davvero un prodotto a lunga conservazione, chiediamoci se è ancora valido un sistema d’istruzione centralizzato (perché l’autonomia di fatto non esiste), chiediamoci se siamo pronti ad accogliere il criterio della pertinenza momentanea e a mettere in discussione il sistema di valutazione e la valutazione stessa, chiediamoci se è possibile ricondurre l’insegnamento alla sua eticità produttiva. Le pratiche sono deboli perché, a mio avviso, rispondono a dei falsi bisogni, bisogni che sono magari solo nella nostra testa, ovviamente anche e soprattutto nella mia…Bisogna che ci attrezziamo per capire di cosa abbiamo veramente bisogno, e che lo facciamo con molta umiltà. Per parlare di scuola bisogna uscire dalla scuola.

  7. Concordo Fermina: "per parlare di scuola bisogna uscire dalla scuola" il che è del tutto coerente da quanto osserva Gianni M in particolar modo (a mio avviso) dove GM nota: "perché il social networking che in teoria dovrebbe essere una modalità di apprendimento agevole, naturale e diffusa non lo è?Le teorie sono dalla nostra parte , le tecnologie sono estremamente abilitanti, le pratiche sono prevalentemente​ deboli" Si prospetta infatti la necessità di una rivoluzione copernicana i cui risultati andranno sottoposti a verifica. Da oltre 30 maneggiamo e smanettiamo pc, da quasi 20 si fa attività di Rete, ma l'approccio di solito è stato solo applicativo nel senso tradizionale del termine. Per dir meglio : anche la persona evoluta che ha cominciato subito ad usare il pc si è chiesto, di solito, "come posso usare il media elettronico per fare, con meno tempo e fatica, quello che devo fare manualmente o con sistemi tradizionali?" Da un atteggiamento mentale di questo tipo (tradizionaliss​imo) non poteva venire qualcosa di davvero nuovo. E infatti potremmo quasi dire che il telefono cellulare ha cambiato la nostra comunicazione molto più del pc. Se ci poniamo invece il problema non solo di comunicare più velocemente (cellulare), ma di definire modelli cognitivi allora la questione si complica. Condivido quello che scrive Gianni : " fare social networking è una pratica “naturale”, cognitiavamente​ ergonomica" e su questo punto mi chiedo, ad esempio: perchè? e soprattutto, come codifichiamo questa ergonomia che percepiamo ma non sempre siamo in grado di teorizzare?

  8. (continua) a me sembra che la potenzialità democratica della rete sia uno degli elementi (uno dei molti) su cui approfondire il discorso. Un altro mi pare potrebbe essere quello della specificità. Faccio un altro esempio: se la Rete serve (per restare in ambito di "apprendimento"​ scolastico) a velocizzare la stesura delle tesine questo non dipende dal fatto che gli studenti sono più furbi e mediatici dei prof, ma dipende dal fatto che le tesine sono una pratica didatticamente ipocrita: invece di copiare e fotocopiare si copiaincolla. E quindi siamo ancora del tutto fuori da un uso intelligente della Rete. Il discorso è lunghissimo (ed aperto come Gianni dice) ma se provassimo a definirne le diverse nervature sempre in un'ottica pratica e applicativa? Forse ne varrebbe la pena; per farlo occorrono faticose sperimentazioni​. Confermo pienamente e mi allineo sulla posizione anche di Fermina Daza (che di sperimentazioni​ è maestra) : "Bisogna che ci attrezziamo per capire di cosa abbiamo veramente bisogno, e che lo facciamo con molta umiltà. Per parlare di scuola bisogna uscire dalla scuola." Facciamolo.

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