La richiesta di un amico e collega di scrivere un pezzo sui social network che trattano da diversi punti di vista della scuola (richiesta prima accolta ma poi declinata per questioni di tempo) mi spinge ad aggiungere qualche altra riflessione sul social networking in generale e su quello che interessa la scuola e gli insegnanti.
La prima riguarda la qualità degli scambi che avvengono nei social network. Superato l’infantile godimento del gioco per il gioco ci si dovrebbe chiedere cosa ci porta di nuovo e di più questa nuova forma di interazione.
Raccolgo, a presente e futura memoria, alcuni stimoli
Inizio autocitandomi (non dimentico del “chi si loda si sbroda”)
In un recente intervento sostenevo l’ipotesi dello “stare in superficie” con il social networking. “Tanto social networking sta in superficie: relazioni superficiali, costruzione di conoscenza altrettanto superficiale …”. Insomma, parrebbe che con le interazioni che avvengono nei SN non si vada oltre la superficie, l’apparenza delle questioni. Questo “stare in superficie” potrebbe sfociare in ipersemplificazioni di problemi complessi, nella banalizzazione degli stessi. In buona sostanza, nel non comprendere e nel non affrontare i problemi. Meri esercizi di retorica esibizionistica. Onanistica, direbbe una mia cara amica da Cagliari. Sarebbe da investigare la qualità degli scambi nei SN e nei diversi tipi di SN (non tutti i SN sono uguali)
Rincara la dose un’altra amica in una corrispondenza privata che va giù duro sull’occasione mancata della produzione di un pensiero nuovo anche con il supporto della facilitazione dell’interazione tramite la rete.
Il web non ha risolto nessun problema, ha solo contribuito ad ampliare la cassa di risonanza delle lamentazioni e ha paradossalmente vanificato la possibilità di far nascere un pensiero nuovo. Sì, il pensiero nuovo è bandito dalle discussioni. Non vi è alcuna possibilità che un pensiero divergente possa essere ospitato dalla rete.
Se prendiamo un po’ di distanza dal nostro agire compulsivo tra “like” e “share” e commentini volanti, forse ci accorgiamo che ci stiamo avvitando su noi stessi, che corriamo (spesso affannosamente) in cerchio e che così facendo stiamo scavando la fossa per il nostro pensiero libero.
Sul piano delle cose che ci sono voglio riprendere una suggestione che mi ha dato Pier Cesare Rivoltella
Rivoltella in uno suo post (Le tecnologie e il “mestiere dello scienziato”) riflette sugli effetti della rete nella produzione di nuova conoscenza e prospetta l’idea che chi produce oggi conoscenza non sia solo il mondo della ricerca ufficiale (es: l’università) ed introduce l’idea di una rete diffusa di “scienziati” che produce nuova conoscenza grazie alle loro interazioni in rete. Questo tipo di conoscenza è, inoltre, di particolare valore perchè non si tratta di una conoscenza astratta ma, a dirla con la Mortari, di una conoscenza estratta dalle pratiche e facilmente riportabile nelle pratiche. Contestualizzando queste riflessioni di Pier Cesare nel mondo dalla scuola ho parlato di “Insegnante scienziato” https://www.giannimarconato.it/2011/03/linsegnante-scienziato/ attribuendo questa funzione di creatore di nuova conoscenza, e di una conoscenza utile, proprio alle interazioni in rete tra insegnanti.
La seconda questione riguarda la dispersione del discorso che si fa in rete della scuola e del mestiere di insegnante.
La facilità con cui si può attivare una presenza in rete (blog, pagine e gruppi su FB e Google+, piattaforme di social networking come NING) non pone – giustamente – alcuna “barriera di ingresso”. Non di rado all’assenza di filtri tecnici si abbina l’assenza di vincoli di senso e così si assiste ad un proliferare di tante presenze o contenutisticamente deboli o strumentali ad obiettivi di consenso economico o politico-sindacale.
O, anche, presenze meramente narcisistiche. Non dimentichiamo il Warol del
In futuro, tutti saranno famosi per quindici minuti
La scuola e gli insegnanti sono da tempo ghiotto mercato economico ed ideologico e non deve stupire come partiti, sindacati, aziende cerchino di sfruttare i canali del social network per piazzare la propria mercanzia (materiale ed idelogica). Non credo che siano tanti gli insegnanti tanto sprovveduti da non saper cogliere il significato di certe presenze in rete. Di sicuro il tempo farà giustizia di tante presenze strumentali.
Anzi, non è detto che “…. il tempo faccia giustizia….”. Potrebbe anche essere che la vera natura dei social network e dei diversi ambienti in cui si interagisce sia la fugacità, l’essere effimeri. Quindi il non essere destinati a durare per dna. Nulla di male. In un epoca di fluidità, di liquidità ci può stare anche questo.
Ritornando alla seconda tematica, quella della dispersione del discorso per gli innumervoli luoghi della rete in cui si affrontano le tematiche di interesse, in un primo momento mi infastidiva l’idea di questa dispersione. Trovavo che spezzare il discorso in tanti luoghi alla fine producesse solo discorsi piccoli, parziali, inconcludenti.
Sto progressivamente cambiando, o meglio, affinando, questo pensiero.
Non è il luogo in cui si sviluppa il discorso che ne determina la qualità, il contenuto, il senso ma è la persona che partecipa ad essere il luogo della costruzione, il luogo dell’assemblaggio di tanti pazzetti di conversazione, della sintesi, dello svilupppo del discorso. Nella frantumazione dei luoghi e nella tipicità di ognuno di questi, la costruzione di senso e di conoscenza è nelle mani di ogni singola persona. La rivincita della persona sulla tecnologia
Il discorso contiuna ….
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I punti su cui discutere sono sicuramente molti ed urgenti. Primo punto.Intorno a noi e dentro di noi ci sono nuovi bisogni a cui tentiamo di rispondere “tappando le falle”. Non possediamo parole nuove per i nuovi bisogni e se non c’è performance linguistica non vi può certamente essere competenza soggettiva. A ciò si aggiungano il declino del concetto di “valore d’uso” ed il trionfo del “valore di mercato”. Chi “possiede” un pensiero nuovo generalmente lo usa per ottenere vantaggi personali e non lo “spreca” nella “pubblica piazza”. È bene che queste cose vengano dette. Secondo punto.Credo che, partendo dalla lettura di Feyerabend, i docenti/scienziati debbano prendere coscienza che, per pervenire alla conoscenza, “ tutto può andare bene”. Si tratta in buona sostanza di liberarsi dai legacci del programma, di considerare che per essere veri insegnanti bisogna essere contro l’insegnamento, di considerare che per parlare di scuola si deve uscire dalla scuola. Bisogna cambiare la prospettiva di osservazione.Terzo punto.Ritengo che si debba ragionare soprattutto in termini di non misurabilità della conoscenza e riflettere sul fatto che in fatto di conoscenza, non potendo essere assunta questa come oggettiva ed universale a causa della varianza di significato, non potranno essere creati criteri standard per la valutazione della qualità della conoscenza stessa. Quarto punto.Se pensiero nuovo ci sarà, non potrà essere pensiero che guarda alla scuola, sarà pensiero che guarda all'uomo, alle utopie e, perché no, anche alle distopie. Sarà un pensiero biofilo… non sarà pensiero che nasce codificato dall'alto, sarà pensiero che nascerà dalla base, nuovo proprio perché non "adottato"…Certo, ci vorrà un po' di tempo perché i cambiamenti possano manifestarsi concretamente. Gli adulti, per loro stessa condizione, non sono quasi mai portatori di nuovo, al massimo sono raccoglitori di novità… Ma questa è un’altra storia.
Ferrmina, in un nostro scambio epistolare, hai buttato tanti altri macigni nello stgnante lago del pensiero sui e nei social network. Tanti temi da affrontare; basterebbe trovare il tempo. La voglia non manca
Colgo (in attesa del proseguimento) un passaggio, a mio avviso, saliente, Gianni:
“è la persona che partecipa ad essere il luogo della costruzione, il luogo dell’assemblaggio di tanti pezzetti di conversazione, della sintesi, dello sviluppo del discorso.”
Il luogo della costruzione è, anche secondo me, essenziale sia come obbiettivo sia come metodo e stile dello stare in rete.
La situazione attuale ha bisogno di costruzione e non di “agire compulsivo tra “like” e “share” e commentini volanti” che vanno benissimo, ma non possono essere l’esclusivo modo di esser presenti quando si affrontano argomenti comunque molto seri, a volte drammatici, senza accorgersi che “forse ci accorgiamo che ci stiamo avvitando su noi stessi”…
Riflettendo…
Il modo più diffuso di far comunità oggi, di vivere perennemente connessi al grande “villaggio virtuale” in cui convergono moltissime persone che sperimentano la stragrande maggioranza delle situazioni di apprendimento e di relazione, rischia effettivamente di trasformare l’Homo contextus in un “gadget” privo di individualità e di coscienza?
Lanier, nel suo recente libro (Tu non sei un gadget), denuncia il rischio, insito nel social networking, di svalorizzazione della creatività intellettuale e della potenzialità di creare “pensiero nuovo e libero”.
Il mashup di informazioni generate continuamente in rete dal basso, l’istinto d’esserci sempre e comunque anche a costo di mettere in piazza pensieri banali o, ancor peggio, offensivi e verbalmente violenti, il bisogno di marcare il territorio, come evidenziate qui, con gli innumerevoli “Mi piace”, “Condividi” e i più moderni “+1”, non stanno forse inquinando un modo sano, impegnato e, perché no, autorevole di costruire conoscenza e significato? Non stanno schiacciando e spersonalizzando l’individuo, orientandolo a un conformismo che neutralizza lo sviluppo del pensiero divergente?
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IN effetti, Barbara, la facilità tecnica con cui ognuno di noi può dire la propria, essere “protagonista” in un contesto (potenzialmente) globale espone al forte rischio di superficialità nelle interazioni. Ed in questo senso il SN dà fiato al “peggio” di ognuno di noi. Se una persone è inconsistente, superficiale, banale nella vita lo è anche nel SN. Però io continuo a credere che il SN possa davvero mettere in luce anche il “meglio” delle persone. E le prove sono tante. Io credo che la questione relativa al SN sia, come in tantissime cose, il saper cogliere la sua complessità, le sue mille sfumature, dal suo essere luogo del pensiero banale e conformista e ripetitivo, riproduttivo a quello del pensiero ricco, divergente, creativo e costruttivo. Concludendo, un sano “allarmismo” va tenuto vivo affiancato da un impegno in senso positivo. Anche questo nostro piccolo dibattito dimostra come un pensiero vero possa essere agito. Buona vacanze!