… ma anche una battaglia di retroguardia, quella sulle 24 ore.
Non me ne vogliano i tanti amici e le tante amiche (ed in qualche caso anche “clienti”) insegnanti, ma la loro accesa battaglia (vinta?) per bloccare le intenzioni del ministro di turno di portare le ore di insegnamento da 18 a 24, non l’ho proprio capita.
Premetto che l’ipotesi fatta dal ministro a me è sembrata un intervento fatto solo per far cassa e non con una visione per la scuola; premetto, anche, che è comprensibile che la classe insegnante italiana stia in questo periodo con i nervi scoperti per i continui attacchi cui è sottoposta e sia, quindi, pronta a scattare ad ogni soffiar di vento.
Premetto, anche, che è chiaro che nessun insegnante, anche il più fannullone (una categoria presente in tutte le professioni), non fa, come carico di lavoro, solo le 18 ore settimanali di insegnamento, altrimenti la scuola si sarebbe fermata da tempo.
Tutto ciò premesso, la determinazione e la coralità nella quale è stata condotta la “battaglia” sarebbero stati degni di migliore causa. Come se solo obiettivi di opposizione a qualcosa (ricordate il concorsone Berlinguer? I tanti (giusti) no all’INVALSI, alla valutazione modello Gelmini) riuscissero a mobilitare gli insegnanti.
Così come si sono svolte le cose, l’operazione “no alle 24 ore” è sembrata all’opinione pubblica (cosa che poco importa) ma, cosa ben più rilevante, è stata per l’intera classe insegnante una mera rivendicazione corporativa, quanto sarebbe stata la buona occasione per porre, di petto, la questione del lavoro dell’insegnante, in tutte le sue componenti. Quantitative e qualitative.
Consideriamo la questione dal punto di vista degli insegnanti (lasciamo perdere, per ora, la questione della pubblica opinione, che pure ha un peso rilevante nel determinare la percezione sociale e culturale).
Nel merito.
La questione del “carico” di lavoro degli insegnanti e della sua organizzazione è, a mio avviso, una delle questioni centrali quando si parla di scuola e di insegnanti (altre potrebbero essere la formazione e la valutazione degli insegnanti). Così come stanno le cose, il lavoro dell’insegnante non è visibile, è opaco. E come tutte le cose opache, pieno di ambiguità.
Sono visibili solo le 18 ore di insegnamento e tutto il resto pare non esistere o essere volontariato. E questo lascia spazio ad abusi e/o furbate (non ditemi che non c’è nessun insegnante che faccia credere di lavorare chissà quanto, quando invece fa il minimo necessario) ma, soprattutto, non contribuisce a dare dignità alle tante ore di lavoro che l’insegnante normalmente fa.
La giusta battaglia sarebbe stata quella del “si alle 24 ore di insegnamento” o alle 34-36 di “lavoro” complessivo pretendendo che tutto il lavoro sia messo in evidenza, formalizzato, valutato e pagato.
La giusta battaglia, dal mio punto di vista, sarebbe stata quella per un tempo di lavoro “pieno” a scuola, da distribuire tra insegnamento, attività di collaborazione con altri colleghi per progettare e gestire attività didattiche interdisciplinari come i “progetti”, per una didattica modulare (potenti approcci didattici per rompere il non significato di tanta didattica interdisciplinare), per sviluppare risorse didattiche, per differenziare le figure che intervengono nella vita di una scuola (i supervisori di insegnanti neo-immessi in ruolo, i tutor, i consulenti didattici interni, gli esperti di tecnologie, gli esperti di disciplina, gli animatori di reti didattiche tra scuole, e mille altri ancora).
Chi ha promosso questa protesta ha fatto leva solo sull’aspetto (marginale) delle “ore in più” da lavorare insegnando e chi vi ha aderito, in massa, lo ha fatto solo per difendere la postazione delle sole 18 ore formalizzate, evidente trovando più comodo lasciare tutte le altre nel limbo del non detto, dell’opaco.
Dubito che anche in questa occasione i sindacati abbiano fatto un buon servizio alla scuola (ma solo un servizio a loro stessi per legittimare la loro esistenza).
Anche solo rimanendo nel merito (senza, cioè, entrare nel significato “politico” della vicenda), a cose fatte si è visto che si è trattato di una battaglia persa perché a fronte del ritiro della proposta sono stati fatti ulteriori tagli ai fondi per le attività scolastiche. Come dire: “becchi e contenti”.
In prospettiva “politica”, assumendo un orientamento strategico di considerazione di tutte le implicazioni della questione.
Il vero problema di cui soffre la classe insegnante oggi (sempre che di “classe” si possa parlare) è quello della sua identità professionale, sociale, culturale. La mia percezione è che il lavoro dell’insegnante non abbia, oggi, quel ruolo che dovrebbe avere per una serie di ragioni riconducibili alla sinergia (negativa) di scarsa considerazione politica, di poco peso politico, di debole immagine sociale, di precaria professionalità, di assenza di prospettiva politica, di assenza di coscienza di classe, di eccessiva delega, di mancato protagonismo.
Senza impegnarmi in un saggio sul tema (chissà se ne sarei capace), io credo che fino a che gli insegnanti italiano non si costituiranno come soggetto politico, culturale e sociale, la situazione non cambierà ed essi saranno sempre più marginali nelle dinamiche della nostra era.
Spero di sbagliarmi, ma ho la sensazione che si stia scivolando lentamente ed inesorabilmente da una identità “intellettuale” che caratterizzava l’insegnante di qualche decennio fa, ad una “burocratico-amministrativa” di oggi. Con tutto il rispetto per gli impiegati, ma non vorrei che l’insegnante diventasse un “impiegato della conoscenza”. Con la battaglia del “no alle 24 ore” gli insegnanti stessi hanno assunto questa prospettiva.
Di certo la scuola (soprattutto pubblica) ed i suoi insegnanti sono sotto attacco da parte dei politici e della società, ma la classe (?) insegnante stessa sta dando a questi una mano forte impegnandosi in battaglie di retroguardia e senza saper elaborare una propria proposta sulle questioni critiche.
A quando una battaglia all’insegna del “non sappiamo solo dire no”?
Le sfugge forse il piccolo particolare che nessuno ha proposto un tavolo di discussione aperto alla ridefinizione della figura docente.
Governo e ministero “di notte”, come si suol dire, e nonostante le sperticate dimostrazioni di stima e gratitudine, ha presentato un DL per l’innalzamento dell’orario di lavoro a parità di stipendio. A parte il sapore autoritario di simili provvedimenti che forse dovrebbero essere oggetto di discussioni contrattuali, le ore aggiuntive non venivano dedicate alla formazione, alla specializzazione, all’innovazione, al lavoro sommerso ecc. ecc. ma alle lezioni frontali.
É del tutto ovvio che per i fannulloni sarebbe cambiato ben poco: moltiplicare lo zero fa sempre zero. La ferita più profonda sarebbe stata inferta proprio a quella scuola di qualità che ogni giorno fa i conti con classi sovraffollate, insegnanti che rimbalzanno come palline impazzite fra le classi e l’assenza totale di programmazioni pluri e multi disciplinari per la mancanza della materia prima: i docenti.
Tutto in un contesto di continuo degrado e sfacelo letterale!
Era forse una provocazione che non abbiamo colto come “classe” insegnante o piuttosto l’ennesimo colpo di mano a spese della scuola pubblica?
Detto poi fra noi, io farei anche 40 ore lavoro: mi piace il mestiere e avrei anche molto da fare ma voglio essere PAGATO come e quanto un professionista…e il conto è salato: chi paga?
Le tue parole mi paiono estremamente in sintonia con quanto apparso stamani sul quotidiano “La Stampa” di Torino nell’articolo a firma Andrea Gavosto direttore della Fondazione Agnelli. Persino il titolo “Un’occasione perduta” che trovi sul sito http://www.fga.it/index.php?id=82&tx_ttnews%5Btt_news%5D=369&cHash=61c525263c
Emilio, quello che tu poni è il vero problema, ma quale capacità ha avuto ed ha la classe insegnante di porlo come tema di confronto. Prima all’interno della classe insegnante per elaborare una proposta, poi in un confronto con amministratori e politici
Grazie Maria Lucia per la segnalazione. Non avevo letto il contributo del direttore della Fondazione Agnelli, diversamente avrei modificato il titolo della mia riflessione. Che dire: esprimiamo lo stesso concetto :-).
Il tema del lavoro dell’insegnante (la sua professionalità, l’organizzazione dei tempi di lavoro, le condizioni in cui si lavora …) è di estrema attualità. Mi auguro che dopo la mobilitazione per il NO arrivi anche quella per una proposta. O, almeno, per un confronto all’interno della scuola
Caro Gianni, non posso che concordare con il commento di Emilio e la risposta della “categoria insegnanti” è stata l’unica possibile in questa contingenza economica.
Se il risultato alla fine è stato il taglio dei fondi per il funzionamento come puoi immaginare sarebbe finita una controproposta dei docenti che avesse proposto le 36 ore per tutti (non a parità di salario) a scuola?
Ovviamente suddivise tra ore “frontali” ed emersione di quanto al momento sommerso ma con la disponibilità di spazi, strutture e spese di funzionamento (le scuole vanno tenute aperte più a lungo, il riscaldamento va pagato, il personale ausiliario pure, il pc non deve essere il mio, l’adsl neppure)…
Se la finalità di tutto il discorso 24 ore è palesemente stata il taglio di altri 154 milioni (dopo tre anni di tagli al personale ed agli investimenti per circa 8 miliardi!), quale pensi sarebbe stata la risposta ad una controproposta si fatta?
Smettiamola di prenderci in giro, le linee guida su cui si muovono i governi dal processo di Bologna in poi sono quelle della privatizzazione dell’istruzione, con lo smantellamento dell’istruzione pubblica. 🙁
Marco, non c’è dubbio che la risposta sia stata quanto più di realistico fosse possibile. Ma, come ho cercato di argomentare, l’occasione persa si riferisce all’andare oltre una protesta tutta tattica e di nessuna prospettiva. E di azioni e reazioni tattiche la scuola (pubblica) sta morendo. L’occasione era buona (e lo è ancora, pur passata la tempesta) per porre, da protagonisti, una delle tante questioni non affrontate e che pesano sulla scuola: l’organizzazione del lavoro degli insegnanti. Ed in questo caso la partita si fa davvero dura perché passa attraverso un ingente (IN GEN TE) finanziamento a favore dell’educazione, dell’istruzione, della formazione delle nuove generazioni. Un’operazione politica, sociale, culturale, economica di grande respiro che solo una “categoria insegnanti” (tue le parole) coesa, determinata, propositiva può sostenere. Quello che mi auguro, anche come cittadino, è che questa battaglia (di Pirro?) serva, almeno, a destare le coscienze dormienti di tanti insegnanti
Sto seguendo con attenzione la discussione perchè l’articolo di Marconato mi ha mosso qualcosa dentro. E’ una valutazione e opinione assolutamente controcorrente e coraggiosa. Come minimo intendo.
Volevo solo aggiungere un ulteriore elemento: non dimentichiamoci che quello che vediamo accadere negli ultimi anni e di cui parla MarcoP (taglio fondi, tentativi di privatizzazione della scuola ecc) in realtà accade nella scuola da decenni. Almeno gli ultimi 3 e che ho trascorso insegnando e indipendentemente dal colore del governo e di chi era seduto in viale Trastevere. Vogliamo parlare dello sciopero anni 90 contro la proposta di valutazione fatta da Berlinguer? No dico, Berlinguer, nn la Moratti… Eppure anche li la nostra idea qual’è stata: SCIOPERO GENERALE. Nessun dialogo. Non se ne parla. Punto. Risultato: tutto come prima. Anzi, dopo qualche anno son passate ministri e decisioni ben peggiori.
Morale: Attenti a non illuderci che i NO categorici e l’immobilità totale di oggi non abbia alcun prezzo un domani.
Grazie Matteo per il riscontro. I NO categorici del passato (e solo quello) stanno già pagando il loro prezzo oggi. Questo va detto