Su cosa imparare per il futuro: riporto una citazione che ho letto in un recente numero de l’Espresso (3 gennaio, pag. 118) quando Granieri cita un video che circola in rete in cui si afferma che …
… stiamo formando i nostri studenti per lavori che ancora non esistono, lavori che utilizzeranno tecnologie che ancora non sono state inventate per risolvere problemi che ancora non abbiamo
L’affermazione anche se un pò romanzata, non è poi così campata per aria: abbiamo un futuro sempre meno prevedibile o prevedibile con buona approssimazione per periodi sempre più brevi; considerato che la scuola prepara, o dovrebbe preparare al futuro, cosa dovrebbe insegnare oggi per preparare a stare nel futuro?
Schank, pone la stessa questione, partendo da considerazioni di ordine diverso, e cioè da cosa potrebbero imparare oggi i giovani a scuola. Schank, che da sempre attacca il sistema scolastico ed accademico ritenendoli inadeguati ai compiti per cui sono pensati (e finanziati dalla collettività), sostiene che non ci sono “contenuti” sensatamente insegnabili.
Lui, linguista di formazione, per anni professore di scienze, matematica e scienze informatiche per diventare poi un importante scienziato che si occupa di intelligenza artificiale e di psicologia cognitiva, afferma che non ha alcun senso insegnare l’algebra, come non ha senso insegnare chimica, storia, inglese (italiano, per noi), biologia, economia, fisica, seconde lingue …, insomma, le principali discipline che si sono ben insediate nelle nostre scuola.
Quello che Schank sostiene è che quei “contenuti” non saranno mai appresi dagli studenti, semplicemente perché non sono di loro interesse. Ovvio che li potranno memorizzare e ripetere (lo fanno tutti i giorni nelle nostre scuole), ma non li ricorderanno a lungo, non saranno in grado di fare connessioni all’interno e tra i domini e non li utilizzeranno.
Come, allora, non sprecare tempo e denaro ad insegnare cose che non saranno mai apprese? Come non buttare risorse generando, anche, il sentimento che ciò che a scuola si “impara” non serva a nulla?
La proposta di Schank è insegnare alle persone a pensare, cioè sostenere le persone nello sviluppo dei differenti processi cognitivi che consentono di imparare, degli strumenti per imparare.
Questi i 12 processi cognitivi che, secondo Schank, la scuola dovrebbe contribuire a sviluppare:
Processi concettuali
- Predirre
- Modellizzare
- Sperimentare
- Valutare
Processi analitici
- Diagnosticare
- Pianificare
- Determinare la cause
- Giudicare
Processi sociali
- Influenzare
- Lavorare in gruppo
- Negoziare
- Descrizione
In buona sostanza, Schank propone il passaggio da un sistema di istruzione basato sulle conoscenze ad uno basato sui processi cognitivi. Nel libro citato, ma anche in tanti suoi lavori precedenti, propone delle strategie didattiche per il conseguimento di quegli obiettivi.
Trovo promettente la prospettiva proposta da Schank, che a mio avviso è una tra quelle che andrebbero prese in considerazione quando si ragiona sul futuro dei sistemi di istruzione, perché ha a che fare con la questione dell’imparare ad imparare che è una delle principali sfide che noi tutti che ci occupiamo dell’istruzione dei giovani dobbiamo accogliere.
Dotare gli studenti e le studentesse di strumenti e di risorse che li abilitino a sviluppare continuamente la propria conoscenza è certamente l’obiettivo più alto che ogni insegnante e formatore può fare proprio.
L’approccio proposto è, anche, in grado di affrontare uno tra i principali problemi che ci troviamo a gestire ogni giorno in aula: l’attribuzione di senso a ciò che mettiamo ad oggetto della nostra istruzione.
Il tempo-scuola è breve e vanno compiute delle scelte, tra le tante cose sensate, su cosa mettere ad oggetto dell’insegnamento.
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A partire da qui i termini della questione posta da Schank
La scuola come addestratore specifico non funziona bene. Il suo scopo dovrebbe essere quello di preparare i ragazzi ad affrontare il mondo in genere, dando loro la capacità poi di imparare ciò che a loro serve, a seconda le possibilità ed i talenti individuali. Io direi di ridurre l’insegnamento a scuola a poche materie. In primis, l’italiano (la madre-lingua), e per almeno una decina di ore alla settimana, scrivendo, leggendo, parlando, perché sapere scrivere e parlare bene è la prima abilità necessaria e senza la quale null’altro funziona. Secondo, la matematica (le quattro operazioni), perché è indispensabile e ordina logicamente, e non si impara da solo. Terzo, il diritto, perché in una società complessa, un labirinto amministrativo per tanti versi, come la nostra sapere come funziona e come muoversi è altrettanto indispensabile per essere cittadini consapevoli e partecipi. Infine, una materia a scelta, per dare spazio all’interesse personale. Tutto il resto, ognuno se lo imparerà da solo, se e quando ne avrà voglia. La scuola oggi, invece, vuole imbottire le teste di tante di quelle cose, molte inutili o che non saranno mai utilizzate, che non riesce bene in nulla e tende anzi a distruggere l’interesse, confinando gli studenti in schemi stretti senza alcuna libertà. La scuola oggi è troppe volte una galera che non porta a nessuna parte. Dopo la scuola, magari verso i 16-18 anni, allora si potà iniziare un percorso di formazione al lavoro o ad una professione, come delle abilità di base ben formate, e soprattutto con idee più chiare su cose si vuole fare.