Il lungo post in poche righe:
La Flipped Classroom è una pratica didattica utile, ma se la vogliamo assumere come sistema di concetti ed operatività per didattiche efficaci mi pare debole. In letteratura esistono da tempo numerosi concetti utili per ideare e realizzare azioni didattiche ricche che promuovono apprendimento significativo. Ad esempio quelli che si aggregano attorno al costrutto di “ambiente di apprendimento”.
Seguo sempre con molta curiosità ogni “innovazione” che riguarda la scuola, l’insegnamento, l’apprendimento. Pur essendo una persona molto curiosa ed attenta ai segnali deboli, è difficile che mi innamori a prima vista soprattutto di ciò che viene proposto con l’etichetta di “innovazione”. Troppo spesso tante sedicenti innovazioni tali non si sono rivelate già nel breve periodo. Ad esempio i Learning Object, la lim, gli e-book, i tablet ….. Più che di innovazione, si è trattato di mode. Inconsistenti, deboli. Per debole comprensione ed eccessiva semplificazione della questione che si proponevano di affrontare.
Una di queste “innovazioni” è la Flipped Classroom, la classe rovesciata (oggetto di una mia prima e provvisoria riflessione , febbraio 2013)
La ragione per cui si fa FC è perché la tradizionale didattica trasmissiva non è efficace, ovvero per migliorare gli apprendimenti.
A detta di tanti insegnanti, questo metodo funziona: dove non si arrivava con la classica lezione frontale, si arriva con la lezione “rovesciata”: studenti motivati, impegnati, coinvolti, voti in crescita.
Diverso è l’utilizzo non consapevole, non riflettuto. Un utilizzo all’impronta del … perché così fan tutti, … perché è una moda, … perché non si resiste al fascino dell’innovazione…
Queste mie riflessioni si collocano, quindi, sul piano delle argomentazioni e delle speculazioni pedagogiche e didattiche, quelle che frequentemente si fanno tra addetti al lavori.
A quel che leggo e volendo ricondurre questa pratica didattica a concettualizzazioni ampiamente accettate, si può dire che siamo di fronte ad un mix di didattica trasmissiva (lo studio dei contenuti preparati dagli insegnanti. In questo caso chi insegna non è più un insegnante biologico ma uno digitale; ad insegnare è un video o cose simili) e di didattica costruttivista (la discussione, l’interazione insegnante-studente e studente-studente). Con l’enfasi sull’anticipazione dei contenuti oggetto di una lezione: lo studente li studia prima della lezione a scuola.
Niente di nuovo, se non una etichetta ed una formuletta per rendere comunicabile e comprensibile una pratica in uso da sempre. Con, forse, un’importante novità: un intenzionale attenzione all’interazione con lo studente, un aumento di quello che potremo chiamare il “servizio didattico” che l’insegnante mette a disposizione degli studenti. Che non è poco.
Formuletta ed etichetta che, a quanto pare, hanno, però, smosso e cambiato tante ammuffite pratiche didattiche dando vita ad importanti cambiamenti.
Riconosco che Il pregio della FC è di riuscire a comunicare in modo semplice e ad un grande pubblico, spesso refrattario a concettualizzazioni complesse, un’idea importante che è quella che in classe non ci si può focalizzare sulla trasmissione di contenuti.
Detto questo, per una buona didattica serve avere un orizzonte più ampio della enunciazione di questa evidenza.
Benvenuta, quindi, flipped classroom! Ma …
Acclarato che la FC si propone, nelle intenzioni dei suoi creatori, di superare la didattica trasmissiva, va anche detto che sviluppa in modo limitato i presupposti di una didattica alternativa, non trasmissiva, diciamo “costruttivista”.
Ovvero, al di là che la FC sia innovazione o meno (poco importa, anche “innovazione” è un concetto inflazionato e dice tutto e niente), la pratica, così come concettualizzata e resa operativa, è davvero capace di migliorare gli apprendimenti degli studenti? Ovvero, questo approccio è quanto di meglio si possa fare per una didattica alternativa ed efficace?
La mia idea è che no. La mia idea è che si tratti di una pratica sensata ma debole. Debole nei concetti sottostanti, debole nell’impatto didattico. Di corto orizzonte.
Debole non vuol dire inutile, debole vuol dire che potrebbe essere molto di più, che per migliorare gli apprendimenti si dovrebbe osare di più. Si dovrebbe pensare a pratiche che abbiano un fondamento concettuale che vada oltre il semplice “anticipare” i contenuti per lasciare più tempo in classe per “lavorare” con quei contenuti.
Allora, a cosa ancorare (concettualmente ed operativamente) una didattica “diversa” e più ricca?
Senza grandi sforzi di creatività, io vedo almeno due idee forti, datate, consolidate, di grande efficacia:
- Un primo concetto, vero e proprio attrattore di tanti altri concetti e di pratiche didattiche, è quello di “learner-centred“, didattica centrata sulla persona che impara;
- Un secondo è quello di “ambiente di apprendimento“.
Rendere operativi questi concetti implica misurarsi con, almeno, le seguenti questioni:
- come decentrare l’apprendimento dai contenuti e dall’insegnante verso il soggetto che apprende (quali sono le condizioni perché si abbia un’autentica focalizzazione su chi apprende);
- come organizzare i contenuti (che non vuol, dire passare da una esposizione in formato testuale – libro di testo, dispensa analogica o digitale – ad uno multimediale)
- quali sono le attività di apprendimento che impegnano cognitivamente gli studenti per una comprensione dei contenuti e lo sviluppo di abilità di pensiero;
- quale è il supporto da dare agli studenti perché il loro sforzo di apprendimento risulti efficiente ed efficace;
- come strutturare nel suo insieme il contesto didattico perché si verifichi apprendimento significativo;
- come valutare in modo autentico gli apprendimenti.
Operativamente, alcune implicazioni sono:
- Mettere a disposizione dello studente una pluralità di risorse didattiche e di metodi di lavoro tra cui scegliere quelli maggiormente significativi per lui;
- Mettete a disposizione, per quanto riguarda i “contenuti” di dominio, risorse che rappresentino una pluralità di punti di vista;
- Offrire opportunità per un impegno cognitivo significativo, attivando costruzione, anche collaborativa, di artefatti cognitivi, soluzione di problemi, discussioni argomentative, riflessione sistematica (anche con l’utilizzo di learning/reflective journal);
- Valutare “prestazioni” la cui esecuzione rappresenti la comprensione e l’applicazione di conoscenze ed abilità assunti ad obiettivi dell’azione educativa.
Per chi ha un po’ di dimestichezza con la pedagogia e la didattica contemporanea non fatica a riconoscere concetti e pratiche più che consolidati. Nulla di nuovo, insomma.
Perché, allora, richiamare tutto questo?
Solo per ribadire che:
- l’apprendimento è un processo complesso;
- gli approcci didattici non possono, di conseguenza, essere semplici;
- disponiamo da tempo di teorie e modelli che ci possono aiutare a creare ambienti di apprendimento efficienti ed efficaci;
- non basta “rovesciare” il luogo ed il momento della distribuzione dei contenuti (la “spiegazione”) per migliorare gli apprendimenti
I processi di cambiamento (se ne quando questo è ritenuto necessario) sono lunghi e procedono a piccoli passi. L’attenzione alla flipped è certamente indicativo del fatto che tanti insegnanti stanno mettendo in discussione le proprie didattiche ed iniziano (forse) a cambiarle, ma per una didattica efficace è indispensabile creare un ambiente di apprendimento ricco.
Ripartirei, quindi, dal concetto di “ambiente di apprendimento” e ne esplorerei tutti i significati e opportunità per l’apprendimento.
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