Una mia lettura del nuovo libro di Galatea Vaglio.
Tante materia a scuola sono impossibili. Impossibili da imparare.
Dico “imparare”, non mandare giù a memoria e rigurgitare a comando, magari in cambio di un (buon) voto. Stile Pavlov: tu rispondi come io voglio e ti premio.
Impossibili da imparare per tanti motivi, il principale la non disponibilità di un numero sempre crescente di studenti di fare fatica per una cosa che non ha senso, di cui non capiscono la rilevanza, se non per la sopravvivenza a scuola, per il voto.
Rilevanza non vuol dire “utilità immediata”, ma significato. Che significato ha tutto questo? Perchè mai dovrei fare la fatica per impararlo? Che me ne faccio? Se mi aiuti a trovare un senso, magari, faccio lo sforzo per impararlo. Diversamente ci metto poco impegno, memorizzo per breve periodo, dimentico presto e non so riusare quello che tu hai voluto imparassi.
Ecco, il senso. Alla ricerca del senso perduto (se mai trovato).
La vera questione è, a questo punto, come aiutare gli studenti a dare un senso a che la scuola propone loro? Questa è la vera sfida che ogni insegnante deve prendersi sulle spalle, sfida non facile.
Costruire significato, ridotto all’osso, vuol dire correlare le nuove esperienze (e tra queste anche i “contenuti” – nuovi – che la scuola propone) con le esperienze già fatte, con le conoscenze possedute, con le rappresentazioni stabilizzate, con le percezioni introiettate, con tutto ciò che fa parte del sistema di significati che lo studente ha già costruito. Diversamente, se non si crea questo aggancio, tutto rimane per aria, lo studente si impegna (cognitivamente ed affettivamente) poco e si dimentica presto.
Sul la base della mia esperienza questo aggancio (che normalmente avviene casualmente, in alcuni soggetti scatta ed in altri no) è difficilmente da stabilire sulla base di argomentazioni tipicamente scolastiche o agganciandosi ad altri contenuti scolastici.
Sempre più spesso, da quel che vedo lavorando con tanti insegnanti, la vera questione è fare scuola andando oltre la scuola. Cioè cercare di conseguire gli obiettivi che la scuola si propone percorrendo la sola strada percorribile: quella che porta ad abbandonare tante della pratiche scolastiche collaudate. Tra queste proporre la Storia secondo gli standard e le prospettive che da decenni si usano a scuola, sequenze stereotipate di fatti, personaggi raccontati sempre allo stesso modo, tutto e sempre come previsto: la Storia è sempre uguale a sé stessa e non tocca più le corde degli studenti le cui reazioni sono le solite note, sempre più spente, sempre più stanche.
Come, allora, risvegliare la curiosità degli studenti per la Storia? Ho visto tentativi di rinnovare la didattica usando le tecnologie (le timeline interattive, le mappe digitali, mappe mentali e concettuali, portali di musei e riviste di storia, infografiche …) tutte soluzioni per modernizzare e rendere in qualche modo interattiva la didattica della storia ma … ma stiamo sempre all’interno del fare scuola stando dentro la scuola …..
Un colpo di reni, una prospettiva davvero insolita per fare storia oltre gli standardizzati schemi narrativi di tipo scolastico, ce la offre Galatea Vaglio con il suo libro”Didone, per esempio. Nuove storie dal passato” (Lit Edizioni, giugno 2014).
Già l’incipit ci fa capire quale sarà il taglio che Galatea darà alle sue narrazioni degli eroi del passato: “Gli antichi sono meglio di Beautiful”! Via subito un bel po’ di polvere dallo stantio modo di presentarci l’antichità classica a scuola (e non solo quella). Galetea chiarisce, quindi, subito il suo approccio:
L’antichità classica è quella roba antica, appunto, quindi un po’ fuori dal mondo, distante e sostanzialmente ormai inutile: un cumulo di discorsi retorici e brandelli di frasi solenni in lingue morte, citazioni incomprensibili, nomi di personaggi astrusi. Una roba vecchia, insomma, che non serve più a nessuno e che noi Italiani ci ritroviamo in casa, nostro malgrado, come ci si ritrova nella soffitta le carabattole della bisnonna, di cui nessuno sa mai che fare. Rischia oggi, l’antichità classica, di fare proprio la stessa fine delle carabattole della bisnonna, che, non appena la vecchietta muore, i nipoti vendono al rigattiere sottocosto, per due lire, senza rendersi conto che quelle cianfrusaglie sono invece pezzi di immenso valore,
un vero patrimonio che potrebbe renderli ricchi.
Ecco allora Didone, donna tosta che si innamora di un Enea
…. Sei bella. Non come una velinetta da strapazzo, di quelle che sono pezzi di carne buttati lì, con le poppe al vento ed una espressione stolida sulla faccia che nessun chirurgo estetico può cancellare.
O Ulisse il contadino che si era messo in testa di girare il mondo, oppure Penelope, la donna che non aspetta:
… Penelope, non una femmina, ma un monumento, perché, come diceva Oscar Wilde, vent’anni d’amore riducono una donna uno straccio, mentre vent’anni di matrimonio ne fanno un’istituzione. Ecco, però il problema è che non eri proprio così, anzi. Eri una donna di personalità forte, determinata, di un carattere che lèvati. Una che le Calipso e anche le Circi, per non parlare di altre eventuali ninfe e ninfette accessorie, le sbaraglia senza problemi; una che se Ulisse vuole tornare così tanto da lei, un motivo c’è.
A seguire, Calipso, la dea che non voleva essere zitella:
… questa dea che è una principessina capricciosa, abituata a considerarsi il centro dell’universo anche se vive ai margini di esso. Se Ulisse è l’archetipo della curiosità, Calipso è l’emblema di chi di curiosità non ne ha mai avuta una. Sta lì, dove il fato l’ha messa, a regnare, convinta che non esista vita migliore della sua e che tutti al mondo non possano che desiderarne una uguale.
Galatea Vaglio continua con i Greci: Temistocle, il meraviglioso figlio di buona donna, Aspasia, il letto e il potere, Iperbolo, il populista sfortunato, Frine, ovvero anche le escort hanno la loro dignità … e tanti altri personaggi ancora, presentati come nessuno mai li ha potuti immaginare, schiacciati nell’iconografia classico-scolastica e mummificati nel loro trascorso passato, nei libri di storia e nelle lezioni di tanti insegnanti quando, invece leggi queste storie mirabilmente raccontate da Galatea con brio, ironia e disincanto, e ti accorgi quanto attuali questi personaggi siano. Quanto della loro vita sia di estrema attualità.
Un’operazione non da poco, soprattutto sul piano didattico, se si ricorda che il senso dello studio della Storia è quello di sviluppare consapevolezza della correlazione che esiste tra gli eventi ed i processi attuali con il passato.
Una chicca finale, Lesbia … che Catullo amò sopra ogni cosa:
Una stronza. Ammettiamolo, è questo che tutti pensiamo di lei. Gli uomini, magari, con quel pelino di bavetta alla bocca che ha la volpe quando non arriva all’uva, perché le stronze rovinano la vita, ma è un gran piacere, per i maschi che scelgono, farsela rovinare; le donne con quella legnosa implacabilità che usiamo sempre
quando c’è da giudicare un’altra donna, soprattutto se bella.E tutti, maschi e femmine, col gusto sopraffino, poi, di aver ragione: perché – Santiddio! – se c’è una, anche una sola donna nel corso della storia che si può a cuor leggero condannare senza remore e senza ripensamento alcuno è proprio Lesbia, la nostra Lesbia, la Lesbia che Catullo amò sopra ogni cosa.