scuola azienda

Premessa: qualsiasi azienda funziona rispondendo a criteri di produttività e redditività. Un’azienda che non risponda a simili criteri o fallisce o viene chiusa prima di fallire.

Veniamo al dunque.

Con buona pace di noi tutti che viviamo la scuola come luogo dove far crescere le persone, i cittadini in condizioni di libertà di pensiero, la “nostra” scuola sarà sempre più funzionale alle esigenze dell’economia e per esserlo dovrà essere governata come un’azienda più che come un soggetto che genera cultura. Una scuola per futuri produttori e consumatori.

Qualcuno potrebbe sostenere che i due modelli non sono alternativi in quanto si può fare cultura anche all’interno di un modello gestionale aziendalistico. Ma non è così per tante ragioni tra le quali il fatto che “aziendalistica”, nel caso della scuola, non è solo la gestione ma anche la programmazione della stessa.

Aziendalismo vuol dire efficienza nell’uso delle risorse. Vuol dire, anche, essere performanti come individui e come organizzazione.

Efficienza non è solo usare bene le risorse che si hanno a disposizione (efficienza d’uso) ma anche, e soprattutto, determinare quante e quali siano le risorse che si devono gestire bene (efficienza di sistema).

Efficienza è, anche,  finalizzazione delle risorse: queste non non si possono usare a casaccio o come il singolo meglio crede. Tutto deve rispondere ad una logica precisa, quella del “business” su cui sei impegnato, cioè produrre l’istruzione che serve.

In un contesto di risorse scarsissime (le risorse sono scarse per definizione), queste saranno allocate secondo spietati criteri di priorità:  non essendoci soldi per accontentare tutti, si accontenterà  chi più di altri saprà far valere le proprie ragioni. E in questo momento le ragioni “forti” sono quelle dell’economia globale, alle cui ragioni anche la nostra italietta si deve adattare.

Che impatto hanno queste considerazioni  sulla scuola?

Il primo, e a mio avviso il più critico nella prospettiva della scuola per le persone, riguarda il cosa insegnare e lo standard al quale si deve impararare.

Nei fatti, lo standard di contenuto e di metodo è quello OCSE PISA cui è agganciato il nostro INVALSI.  Questo standard oramai la fa padrone  essendo, comunque, la pietra di paragone per ogni forma di qualità o di “merito” e per premiare  gli  studenti, gli insegnanti, i dirigenti e le scuole.

Il successo scolastico ed i soldi alle scuole sono determinati da questo standard. Chi non si conforma è fuori.

Questo standard, al momento, si applica solo ad alcune discipline per testarlo, per affinarlo,  ma prima o poi si allargherà fino a determinare le discipline, le scuole e gli ordini delle stesse.

Ho la sensazione che gli attacchi al liceo classico, non a caso fatti da economisti, si inquadrino in questo disegno.

Il secondo impatto si ha sulla spesa per l’istruzione, sui criteri dei tagli e sulle implicazioni per il management degli stabilimenti di istruzione.

La spesa pubblica per l’istruzione sta progressivamente diminuendo in linea con la diminuzione generalizza per i servizi pubblici in ogni settore e questo determina la crescita del peso del privato: in natura i vuoti non esistono.

Anche le retribuzioni degli insegnanti stanno diminuendo non solo in termini assoluti (la retribuzione annua al netto dell’inflazione) ma anche relativa (il compenso per ogni ora effettivamente lavorata). Anche questo in linea con la contrazione generalizzata e globale del valore del lavoro.

La scuola non sfugge, quindi, alle regole dell’economica globale.

Cosa aspettarsi?

Di certo una progressiva ristrutturazione dei contenuti, delle discipline e dei percorsi d’istruzione e formazione in linea con quello che servirà al sistema economico (ad esempio persone flessibili, capaci di adattarsi, animate di spirito competitivo). Cultura scientifica ed economica di quella funzionale al mercato (vi siete mai domandate quale economia si insegna alla Bocconi e quale no?).

Si andrà di certo anche verso una consistente privatizzazione dei sistemi educativi che saranno sostenuti dagli attori forti del sistema. E, come è giusto che sia, chi paga comanda.

Mi pare sia inevitabile che dovremo abituarci all’idea di una scuola meno idealista e più pragmatica, meno fatta per le persone e sempre più fatta per il sistema. Una scuola sempre più “efficiente”,  una scuola sempre più azienda. Una scuola sempre più strutturata nei contenuti e nei metodi, dove le performance individuali e collettive saranno costantemente valutate, dove le  risorse dovranno rendere il massimo.

Tempi duri per chi tira a campare, tempi migliori per chi accetta la sfida della competizione.

Quando pessimistico? Forse per i romantici e gli idealisti, non per i pragmatici.

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