Non si tratta delle solite e ataviche resistenze all’innovazione: in fin dei conti, perché cambiare se non se ne vede un valido motivo? Le ingiunzioni tipo “il mondo è cambiato e deve cambiare anche la scuola” non hanno alcun effetto. Come non servono a nulla le colpevolizzazioni saccenti: “perché non cambi? Ma non ti accorgi di vivere nel passato?”
Qui si tratta di insegnanti che non accettano di passare per vecchi o superati solo perché non hanno ceduto alle lusinghe di una didattica “innovativa”, aperta, “fluida” o 2.0. Sono insegnanti che sono fortemente ancorati ad una didattica gentiliana e trasmissiva, una didattica che definiscono “solida ” e che, a loro dire, fornisce solide basi alla preparazione degli studenti.
Sono insegnanti che argomentano ampiamente e dimostrando, loro si, solide basi culturali e un indubbio spessore intellettuale, persone per le quali l’appellativo di insegnamento come professione intellettuale ben si addice.
Sono insegnanti che non di rado dichiarano di manifestare un grave imbarazzo verso loro colleghi per la pochezza culturale e professionale del loro agire (e citano tante discussioni su Facebook di miserevole fattura).
Sono insegnanti che rilevano la debole preparazione di studenti e la loro mancanza dei fondamentali quando hanno avuto insegnanti che avevano adottato didattiche costruttiviste o “innovative”, magari farcite di tecnologie.
Insegnanti che portano il caso di un giovinetto che avrebbe affermato di aver fatto alle medie tanti progetti ma di non aver imparato nulla.
Sono, in buona sostanza, insegnanti che non solo vedono la solidità della propria didattica ma vedono anche la debolezza di quella dei così detti insegnanti innovativi.
E non hanno tutti i torti.
Cambiare, anche quando avrebbe senso, non è facile e non è un processo istantaneo.
Non è facile perché servono competenze ma serve anche il contesto adatto.
Spesso chi innova lo fa da solo: quante volte sento parlare della solitudine di chi prova seriamente a cambiare? E, non di rado, dell’esplicita ostilità dei colleghi (che non sono quelli di cui ho parlato prima che sono resistenti ma corretti)? Il solista dell’innovazione ha poco impatto sull’apprendimento complessivo dello studente e spesso lo disorienta perché la didattica che lo studente vede normalmente è altra. La solitudine e la frustrazione dell’insegnante “innovatore” si vede anche dal fatto che è spesso costretto a cercare soddisfazione all’esterno del suo ambito lavorativo.
Non è facile anche perché chi “innova” non sempre lo fa con consapevolezza, non sa perché lo fa; innova seguendo una moda (la lim, il tablet, il cloud, la flipped, il byod …) più che un bisogno. Non sempre gli “innovatori”, oltre a fare cose diverse lo fanno anche con competenza.
Talvolta l’innovazione è davvero debole; concetti forti come ” didattica costruttivista” o “didattica centrata sul soggetto che apprende e non sui contenuti”, e di questi tempi anche la “didattica per competenze” non sono capiti nel loro significato vero, sono fraintesi, sono banalizzati.
In tutti questi casi non è, ad esempio, la didattica learner-centred, ad essere debole ma è debole l’interpretazione di didattica learner-centred fatta da quel docente. Quante volte assistiamo a didattiche pseudo costruttiviste, ad un costruttivismo alla pasta e fagioli? Quante volte assistiamo a spaventosi errori concettuali sparati con estrema disinvoltura?
Debole e inefficace è quella didattica che è senza consapevolezza, senza riflessione, senza studio, senza confronto. Deboli e inefficaci sono le mode.
Fanno più che bene, quindi, gli insegnanti “resistenti” a rimanere fermi sulle proprie convinzioni gentiliane e trasmissive e a bollare come una chimere se non veri e propri imbrogli certe didattiche alla moda.
Per evitare fraintendimenti: secondo me una didattica disancorata dalla tradizione e fortemente rinnovativa, ma anche solida e consapevole, è quello che ci vuole perché la scuola recuperi la propria centralità culturale e sociale.
Deve essere chiaro che il mondo è cambiato (anche se per tanti aspetti in peggio e sempre più contro la persona, i suoi diritti, la sua dignità) e che la scuola deve aiutare le persone a far fronte alle nuove sfide in modo che queste possano costruire e non subire il loro futuro. Se la scuola, in questo contesto, deve riposizionare la sua ragion d’essere, i suoi obiettivi, le sue pratiche, lo faccia, costi quel che costi. In fin dei conti è la scuola che deve servire alle persone, non il contrario.