Ho letto di una iniziativa per Dirigenti Scolastici promossa da un USR sulla delicata questione del “malessere” degli insegnanti, una tematica di grande attualità e rilevanza.
“Burnout e insegnanti problematici – aspetti gestionali e documentali” è il titolo, e parrebbe il seguito del bel convegno La scuola che brucia, tenutosi a Treviso la primavera scorsa. L’approccio, però, mi pare un tantino differente, anche se il relatore è lo stesso: un noto medico esperto in stress lavoro correlato degli insegnanti, Vittorio Lodolo.
Il titolo è accattivante e farebbe presupporre che si tocchino i due aspetti della questione: il malessere (il burnout) e il disagio profondo (i casi definiti “problematici”).
Ma l’accento sugli “aspetti gestionali e documentali”, messi ad oggetto dell’iniziativa, fa immaginare che il riferimento sia a interventi volti ad eliminare i sintomi senza curare la causa, rischiando di far passare un messaggio sbagliato sulla gestione della salute dei docenti in un contesto di ormai ordinaria difficoltà.
Sembra quasi che, sull’onda della nuova legge 107 sulla “buona” scuola, l’amministrazione intenda offrire ai dirigenti gli strumenti per eliminare dal sistema i docenti bruciati o problematici… senza prima aver imposto ai DS stessi di mettere a norma le proprie scuole in tema di tutela della salute. Cosa che dovrebbe prevedere anche un’organizzazione e una leadership che limitino i rischi professionali connessi all’insegnamento, nella sua specificità di “professione di relazione d’aiuto” ad alto rischio di usura da stress lavoro correlato.
Intervenire sulle patologie o prevenirle?
Di fronte a questa problematica (lo star male a scuola come conseguenza della professione) ci si può porre con due atteggiamenti differenti e avere due approcci:
- Un approccio ampio e aperto, cioè cercare di capire le cause del malessere/disagio e prevenirle e, quando insorge il problema, curarlo;
- Un approccio limitato e chiuso e cioè aspettare che il disagio sia conclamato e oramai fuori controllo e sanzionarlo con l’allontanamento della persona “malata”.
Due approcci culturali e sociali molto differenti, agli antipodi, direi. Il secondo, per l’amministrazione, è decisamente più semplice e sbrigativo da affrontare, il primo molto più complesso in quanto contempla l’assunzione di misure di prevenzione non sempre a portata della singola scuola, del gruppo degli insegnanti e del dirigente e soprattutto la capacità anche del Dirigente di mettersi in discussione.
Sul problema vanno, a mio avviso, messi due punti fermi:
- L’esistenza a scuola di situazioni gravi e ingestibili che, pur limitate e non di certo la norma, creano danno alla persona problematica stessa e agli studenti;
- La presenza a scuola di condizioni strutturali potenziali cause di disagio psichico.
PUNTO UNO
Esplorando il problema e cominciando con quelli che sono definiti “insegnanti problematici” , dobbiamo riconoscere che a scuola ci sono (pur in numero esiguo) insegnanti che:
- manifestano patologie conclamate che possono variare da forme lievi di nevrosi a più complesse e profonde di psicosi;
- sono, per questi loro disturbi, attivatori di dinamiche negative in classe.
Sono persone che non di rado entrano in classe imbottiti di psicofarmaci e cercano, sempre all’interno di questa sindrome, la complicità dei genitori contro altri insegnanti aumentando il conflitto.
In queste situazioni (limite, deve essere chiaro per dare il giusto peso al problema) sono pochi gli strumenti a disposizione dell’amministrazione perché queste persone non facciano ulteriore danno a loro stesse e agli studenti che sono loro affidati.
Ci sono, poi, casi che potremo definire “borderline”, persone problematiche ma salvabili che manifestano comportamenti – correlati o meno allo stress – come alcolismo, aggressività, pedofilia ecc. e posizioni di disagio quotidiano “lieve” dovute alla problematicità oggettiva di certe classi ma, anche, insegnanti malati per usura da insegnamento svolto con (eccessivo?) investimento sul lavoro e con impegno, insegnanti per caso (che dovrebbero cambiare lavoro), insegnanti malati per ragioni personali.
PUNTO DUE
La scuola è sempre più al centro di numerose problematiche che traggono origine dal mondo extra-scolastico (la società che cambia, la famiglia che cambia, i valori che si impongono anche sotto la pressione mediatica, la multiculturalità, la perdita di immagine sociale della scuola e dell’insegnante …) che impattano negativamente sul suo funzionamento e che non si governano facilmente.
A rendere non facile la conduzione di una scuola verso gli obiettivi assegnati, oltre all’impatto di queste dinamiche esterne , vediamo che nel tempo, a piccoli e impercettibili passi, la scuola si è strutturata secondo modalità poco funzionali al suo buon funzionamento (taglio dell’investimento pubblico, classi sempre più numerose, insegnanti in numero sempre più ridotto, presenza di studenti con problemi legati al mondo familiare, antagonismo scuola – famiglia, aumento esponenziale degli adempimenti amministrativi , sempre meno tempo da dedicare alla filiera dell’insegnamento….).
L’insegnante diventa il terminale di tutte queste problematiche e la scuola, come istituzione, ha l’abitudine consolidata di riversare sull’insegnante tanti compiti e responsabilità nuove( e, forse, non dovuti) e per le quali non è preparato, scaricando su di lui/lei tutte le tensioni correlate. Non è detto che l’insegnante rimanga sempre indenne sotto questo bambardamento.
La scuola, e l’insegnante, si trovano in una situazione paradossale: svalorizzata dalla politica e dalla società, ma investita (dalla politica e dalla società) di attese e responsabilità, impoverita di risorse e con sempre nuovi compiti cui far fronte.
Di fronte a tutto questo bombardamento l’insegnante reagisce o ritirandosi in buon ordine nel recinto della didattica individuale, respingendo ogni collaborazione, resistendo ad ogni cambiamento o cercando di assorbire su di sé tutte queste contraddizioni, tensioni e conflitti impegnandosi oltre misura per rispondere a tutte le istanze.
Gli insegnanti “appassionati” sono quelli che, in virtù del grande investimento fatto sul proprio lavoro, potenzialmente possono pagare il prezzo più caro di tutta questa situazione, spesso con grande stress e con lo sviluppo di forme più o meno gravi di disturbi della sfera psichica.
CHE FARE
Considerato che il disagio a scuola può nascere o perché si diventa nevrotici a scuola per la complessità della gestione ordinaria del gruppo classe o perché la nevrosi, e a volte anche la psicosi, già presenti nella persona possono venir scatenate dalla scuola (i tecnici fanno notare che molte problematiche personali latenti, nell’insegnamento emergono o diventano patologie più che in altre professioni. Vedi anche una ricerca non recente), non va negato il fatto che prima di tutto gli studenti debbano essere tutelati e non possono essere lasciati in mano a persone non equilibrate emotivamente.
Però…il punto è: cosa dovrebbe fare per prima cosa (o meglio contemporaneamente) l’istituzione centrale? Intervenire nella seleziona dei docenti con prove psico-attitudinali oppure intervenire nell’organizzazione e nella direzione della scuola facendo vera prevenzione?
Il tema del benessere dei docenti nella scuola come strumento di qualità della scuola stessa è centrale e si sa quanta inadempienza ci sia nelle scuole a proposito di informazione e prevenzione dei rischi per la salute, in primis da stress lavoro correlato e burnout.
E questo ci porta alla questione centrale dell’importanza della valorizzazione delle risorse umane e della professionalità del docente, superando il semplicistico e populistico pensiero (molto presente nella legge 107) che licenziare i cattivi docenti sia la soluzione della cattiva scuola.
Concludo citando la conclusione di Lodolo su un caso emblematico di malattia professionale a scuola dove l’ignoranza della legge accomuna dirigente e docente:
Tra le altre cose il DL 81/08 (forse tra il più negletto tra tutti i buoni provvedimenti normativi), non solo impone ai dirigenti scolastici di monitorare e prevenire lo Stress Lavoro Correlato all’art. 28 (e nella scuola di Mario parrebbe proprio esservene un gran bisogno), ma obbliga il datore di lavoro a informare i dipendenti circa i diritti/doveri in materia di tutela della salute all’art.37. Pertanto l’ignoranza mostrata dai due contendenti nella circostanza verrebbe rimossa semplicemente ovviando agli obblighi di legge cui il dirigente scolastico è tenuto a rispondere. Unico, ma non certo piccolo, alibi del capo d’istituto consiste nei mancati finanziamenti da parte dell’Istituzione che continua a mostrarsi convinta di non dover stanziare la benché minima risorsa per la prevenzione e la tutela della salute a scuola.
http://www.orizzontescuola.it/news/malattie-professionali-quando-l-ignoranza-della-legge-accomuna-dirigente-e-docente