Apprendimento5

Quinta puntata o puntata speciale, non programmata, ma penso che il tema che sto per affrontare meriti qualche parola.
Altra questione, dopo il significato, che ha a che fare con la qualità dell’apprendimento riguarda la “semplificazione” dei concetti, delle idee, delle teorie. La questione è un caposaldo della scuola e della didattica. In chiusura due parole sulla “conoscenza inerte” frutto della semplificazione.

Quando si insegna si semplifica perché si ritiene che un novizio non sia in grado di affrontare questioni complesse ma non si tiene in considerazione che la semplificazione porta ad una distorta comprensione della tematica, ad una comprensione debole, impoverita, porta a fraintendimenti con cui si dovrà fare i conti quando quell’idea dovrà essere recuperata e usata per capirne altre, per fare dei collegamenti di significato

Una delle possibili ragioni della passività degli studenti è che raramente nelle attività educative sono messi a contatto con la divertente, frustrante, intrigante, imprevedibile complessità del mondo. Nella scuola la tendenza è di presentare agli studenti le più semplici ed ordinate spiegazioni di quanto accade. Ma è attraverso il fare esperienza ed il misurarsi con le complessità che lo studente impara a formarsi le proprie idee ed all’uso di queste idee in nuove situazioni. (E.Duckworth)

Da dove nasce il problema?

Secondo i costruttivisti una delle ragioni della limitata efficacia dei sistemi educativi tradizionali è rappresentata dalla tipologia delle attività didattiche che gli insegnanti propongono agli studenti. Queste attività, o “compiti”, presentano situazioni, problemi, contesti che esistono solo a scuola e non sono presenti nel mondo reale.

Questi “compiti” rappresentano, per la loro natura “scolastica”, una ipersemplificazione della realtà e questo impedisce agli studenti di comprende il “problema” nella sua vera natura, nelle sue componenti, nella sua articolazione e, di conseguenza, impedisce loro di comprendere la questione che attraverso quel compito l’insegnante vuole insegnare (ad esempio una legge della fisica, una procedura matematica …).

Lavorando con compiti scolastici gli studenti potranno, nel migliore dei casi, comprendere la versione scolastica di un problema reale ma non il problema. Non lavorando con un problema reale, gli studenti non solo non possono comprendere la questione oggetto della didattica ma non riescono a dare alla stessa neppure un significato con il rischio che l’attività proposta non sia motivante, non attivi impegno cognitivo elevato e si limiti alla memorizzazione di una procedura, di una regola.

L’effetto sarà che quei contenuti saranno presto dimenticati e non saranno riutilizzati in situazioni diverse da quelle presentate attraverso il problema scolastico. Quindi, mancata comprensione, mancato transfer, mancato apprendimento.

Strettamente correlata a questo tema abbiamo quello della conoscenza inerte

Non poche ricerche (Duprè et al., 1981 e Caramazza, McCloskey, Green, 1981, citati in Zucchermaglio, C. 1996) hanno provato che studenti di fisica che si erano brillantemente laureati non erano in grado di risolvere semplici problemi che richiedevano l’applicazione dei concetti appresi se questi erano loro posti loro in forme e contesti leggermente diversi da quelli scolastici. Ben il 70% di questi davano risposte uguali a quelle date da persone che non avevano ricevuto un’istruzione sistematica nel campo della fisica (pagg. 45-46). … eppure si erano laureati brillantemente!
Altre ricerche citate da Perkins (Perkins, D.N. 1992, in Duffy, T. M & Jonassen D.H,1992) dimostrano lo stesso fenomeno.

Questo fatto, secondo Jonassen, è dovuto a due fenomeni riconducibili alle stesse condizioni dell’apprendimento:

  1. l’ipersemplificazione che viene fatta a scuola di concetti complessi (a scopo didattico per consentirne l’apprendimento) che non consente l’apprendimento dell’essenza di quei concetti;
  2. la persistenza di rappresentazioni ingenue di fenomeni (“teorie personali”) in caso di apprendimenti superficiali che prendono il sopravvento sulle teorie scientifiche quando l’applicazione di quelle conoscenze avviene al di fuori dei contesti in cui sono state apprese.

Delle teorie personali (Bruner le chiama “pedagogia popolare”) ho parlato nella prima e nella seconda puntata. Link

La consuetudine scolastica genera conoscenze valide solo in contesti scolastici: qui, infatti, si favorisce:

  • lo sviluppo di conoscenza con modalità astratte (pensando, illusoriamente, che l’astrattezza del contesto in cui sono sviluppate favorisca, poi, le più disparate applicazioni);
  • l’applicazione a problemi tipicamente scolastici,
  • si valutano gli apprendimenti con esercizi scolastici,
  • si semplificano i concetti perché, altrimenti, non sono appresi,
  • non si considerano le conoscenze già possedute dall’individuo che, comunque, sono presenti, agiscono e, spesso, prevalgono sulle nuove.

Ecco perché le consuetudini debbano essere messe in discussione e credo che ci si debba interrogare seriamente sulla questione di una didattica basata, consapevolmente o meno, sull’ipersemplificazione dei concetti. Vedremo di seguito come affrontare didatticamente le diverse tematiche scolastiche in tutta la loro intrigante e affascinante complessità.

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