Abbiamo già visto in precedenza nel primo post sul Problem Solving come la comprensione del processo di soluzione dei problemi (Problem Solving) si sia arricchita non poco a seguito dell’affermarsi dell’approccio cognitivista anche su questa tematica,venendo così superata la concezione lineare dello sviluppo del processo di soluzione dei problemi tipico dell’approccio noto come “information processing” (un problema è fatto di un insieme di condizioni iniziali, di condizioni finali e dei vincoli di percorso, risolvere un problema significa trovare la strada giusta attraverso il problema partendo dalle condizioni iniziali, tenendo conto dei vincoli di percorso per conseguire lo stato finale atteso) per assumere una prospettiva più articolata la quale consenta di agire in quelle tipologie di problemi dove lo stato finale e i vincoli di percorso non sono noti.
Abbiamo, anche, visto nel secondo post sul Problem Solving, come le tipologie di problema con cui ci si confronta quotidianamente a scuola e nella vita siano numerose (Jonassen ne ha identificato e indagato 11) e come ognuna di queste necessiti di approcci operativi e cognitivi differenti. Abbiamo, infine, visto come nell’approccio “classico” l’interesse fosse concentrato su problemi semplici, statici e ben strutturati.
A fronte di questa variabilità strutturale di situazioni con cui confrontarsi, cui corrisponde un’altrettanto ampia gamma di strumenti adeguati a farlo, la questione diventa: “come possiamo aiutare le persone a sviluppare strategie cognitive utili per la soluzione dei problemi che si trovano ad affrontare?”.
Ricordo che nella prospettiva di considerare il PS come un processo multidimensionale, vanno presi in considerazione fattori “esterni” riguardanti il contesto in cui il problema si manifesta e fattori “interni” che hanno a che fare con le caratteristiche del problem solver e include in particolare i seguenti aspetti:
Per gli aspetti esterni riferiti al contesto in cui si esplica il problema, sinteticamente analizzati in precedenza, sono rilevanti:
- La strutturazione del problema
- Il contesto in cui si esplicita
- La sua complessità
- La sua dinamicità
- La sua specificità in relazione al dominio di conoscenza associato
Per quanto riguarda gli aspetti interni, cioè le disposizioni cognitive e affettive proprie del problem solver, Jonassen, nella sua teoria del problem solving, identifica:
- Le sue conoscenze nel dominio di riferimento tanto dal punto di vista quantitativo che qualitativo
- La precedente esperienza nel risolvere problemi simili
- Le abilità cognitive e in special modo il ragionamento causale, il ragionamento analogico e le credenze epistemologiche
Vediamo, quindi, in dettaglio queste ultime tre dimensioni, che sono quelle su cui la formazione si potrà focalizzare.
L’impatto delle conoscenze di dominio nella soluzione dei problemi:
La ricerca cognitiva ha provato che le conoscenze di dominio in possesso del problem solver (e dello studente) sono la più importante determinante dell’abilità di soluzione di problemi, ma non è tanto la quantità di conoscenza posseduta a fare la differenza, bensì la sua qualità.
Ciò che conta è la padronanza di modelli concettuali integrati della conoscenza di dominio che aiutano a sviluppare una molteplicità di prospettive, di metodi e di soluzioni.
L’impatto dell’esperienza nella soluzione di problemi
Il problem solver esperto affronta i problemi potendo contare su di un’ampia gamma di soluzioni date in precedenza a problemi simili. Quando manca o si è carenti di esperienza diretta si può ricorrere all’esperienza di altre persone usandola come “esperienza vicaria”: per questa operazione (importante anche nella formazione per il PS) sono utili la narrazioni di esperienze precedenti fatte da esperti e organizzate e veicolate in forma di storie.
Le abilità di pensiero e di ragionamento che influenzano la soluzione di problemi
Nell’approccio che Jonassen dà al problem solving vi è l’idea forte che differenti tipi di problemi richiedano differenti tipi di cognizione : differenti conoscenze, differenti forme di rappresentazione della conoscenza e differenti abilità di pensiero.
I processi di pensiero che rendono possibile la soluzione di problemi sono:
- La determinazione dello spazio del problema
- Il ragionamento per analogie (analogical reasoning)
- Il ragionamento causale
- L’argomentazione
Mappa delle principali abilità cognitive per la soluzione di problemi
Lo spazio del problema è la rappresentazione mentale del problema stesso. La capacità di costruire questo modello mentale è indicatore del fatto che si sia stati in grado di identificare e comprendere le sue caratteristiche, come queste variabili (l’insieme delle sue strutture simboliche e degli operatori che lo caratterizzano, nel linguaggio di Jonassen) interagiscono e sulla base di queste specificità mettere in atto le procedure per risolverlo. Questi modelli formali, “fisici”, possono avere la forma di una mappa concettuale, di un digramma di flusso di altre forme digitali di modellizzazione complessa come Stella. Gli ambienti di apprendimento sviluppati da Jonassen, sempre con supporto digitale, hanno una parte importante finalizzata a favorire lo sviluppo di modelli mentali ricchi del problema attraverso la costruzione (esternalizzata) di modelli del problema, alla loro manipolazione finalizzata alla costruzione di possibili soluzioni nonché alla loro messa alla prova per verificare l’adeguatezza del modello mentale che il risolutore si è costruito alla soluzione del problema. La costruzione di questi modelli (interni ed esterni) non può prescindere dalla padronanza (estrazione e applicazione) della conoscenza di dominio.
Esempio di modello esternalizzato dello spazio del problema (modello mentale) di un problema di matematica di combinazione di valori
Il ragionamento per analogie implica la capacità di cogliere le caratteristiche comuni tra un problema risolto in precedenza e quello su cui si sta lavorando attualmente, andando oltre le caratteristiche superficiali (quelle che vengono colte dal problem solver poco abile) per essere in grado di cogliere le relazioni di ordine elevato e sistemiche.
Il ragionamento causale è la forma di pensiero che è alla base del pensiero scientifico. La comprensione della relazione causa – effetto tra fenomeni è alla base della capacità di fare previsioni, tracciare inferenze o implicazioni e spiegare quei fenomeni. La comprensione profonda delle relazioni causali richiede l’abilità di mettere in evidenza le numerose caratteristiche distintive della causalità.
L’argomentazione è determinante nella risoluzione di problemi non strutturati. Gli argomenti che vengono portati sono la prova evidente di ciò che è stato appreso e della capacità di risolvere problemi aperti e non strutturati.
Altra questione messa in evidenza da Jonassen e trasversale agli aspetti cognitivi sopra evidenziati (a cui aggiunge le abilità di formulare domande – questioning – e di costruire modelli della conoscenza) riguarda lo sviluppo epistemologico (Epistemological Development), altrimenti detto maturità intellettuale, sviluppo intellettuale, credenze sulla conoscenza, ovvero come le credenze di una persona si strutturano in modo più o meno articolato e si sviluppano nel tempo. Questa caratteristica cognitiva si evolve in ogni persona da uno stadio iniziale di pensiero semplice (bianco – nero) verso un pensiero complesso e relativistico caratterizzato dalla capacità di prendere in considerazione prospettive multiple. Dato che l’approccio a problemi complessi e non strutturati implica la presa in considerazione di prospettive multiple e l’uso dell’argomentazione, la ricerca di soluzioni a problemi complessi richiede un elevato grado di sviluppo epistemologico.
Una formazione al PS che sia coerente con tutte queste condizioni deve favorire:
- la comprensione profonda e integrata, oltre gli aspetti superficiali e atomistici, della conoscenza di dominio coinvolta nel problema
- il poter fare esperienza autentica del problema in questione essendo immersi operativamente e cognitivamente in un ambiente di apprendimento complesso e ricco
- l’acquisizione, lo sviluppo e l’utilizzo di processi cognitivi superiori.
I CASI COME MATTONI DEGLI AMBIENTI DI APPRENDIMENTO
Jonassen (2010) ha delineato le caratteristiche degli ambienti di apprendimento finalizzati all’apprendimento della soluzione di problemi, sostenendo l’importanza di utilizzare come strategie didattiche i CASI nelle loro varie forme e funzioni.
In letteratura sono presenti numerosi approcci didattici all’intrecciare problemi e casi: problem-based learning, problem-centred instruction, case studies, case-based teaching, case-based instruction, case-based learning, approcci caratterizzati da assunti metodologici differenti e con differenti interpretazioni del contenuto, della forma e della funzione dei casi; anzi, il più delle volte prendendo in considerazione solo la forma dei casi.
Jonassen, per il quale un “caso” è “un esempio di qualcosa” identifica e descrive 7 tipologie di casi:
- casi come problemi da risolvere (esempi di problemi che sono il focus dell’apprendimento)
- casi come esercizi svolti – worked examples – (esempi del processo di soluzione di problemi strutturati)
- studi di caso (esempi di come altre persone hanno risolto in precedenza problemi non strutturati)
- casi come analogie (esempi di problemi strutturalmente simili)
- casi come esperienza precedente (descrizioni di problemi risolti in precedenza che sono ricordati dalla persona che sta risolvendo il problema)
- casi come prospettive alternative (esempi di prospettive differenti sul problema da risolvere)
- casi come simulazioni (esempi interattivi del problema da risolvere che può essere sperimentato da chi sta imparando).
L’apprendimento è ancorato in un problema autentico che è rilevante per chi sta imparando; si impara a risolvere problemi lavorando con casi e sviluppando, spiegando e difendendo una soluzione a un problema. Il problema da risolvere è rappresentato come un caso e i casi sono usati in vari modi come supporto didattico.
Conclusione
Questo è un inquadramento generale della tematica del PS fatta con il (mio) principale scopo di chiarire che non esiste un solo tipo di problema, bensì numerose tipologie (Jonassen ne ha identificate e descritte ben 11); che ognuna di queste va affrontata con una specifica strategia operativa e cognitiva e, infine, che per ognuna di queste andrebbe attivato uno specifico ambiente di apprendimento.
Molto ci sarebbe ancora da approfondire sulle caratteristiche dei vari tipi di problema, sulle dimensioni cognitive coinvolte, sulle caratteristiche degli ambienti di apprendimento.
Forse, con il tempo, farò altri approfondimenti, riprendendo il prezioso lavoro di Jonassen.
Concludo, pertanto, questa serie di 3 post con la convinzione che, in considerazione della’ampiezza e della complessità della tematica non sia utile e opportuno affrontare con leggerezza la questione del Problem Solving riducendola ad una semplice operazione mentale da sostenere con una tipologia limitata se non unica di attività didattiche semplici, facili, che richiedono limitato impegno da parte degli insegnanti e degli studenti. L’importanza della tematica, anche dal punto di vista didattico, è notevole e sollecita noi tutti ad un impegno professionale non banale ma di standard elevato.
Questo post riprende e rielabora alcune parti di: Jonassen, D.H. (2010). Learning to solve problems: A handbook. New York: Routledge