Nella ricorrenza del cinquantenario della morte di don Lorenzo Milani si sono tenute come è giusto che sia, numerose manifestazioni per ricordare la sua azione e i valori che l’ hanno animata: un’azione contro la cultura educativa dominante e contro il potere di allora, contro la logica di una scuola classista e non rispettosa delle caratteristiche e delle risorse di ogni bambino, contro un certo modo di intendere la funzione dell’insegnante e il suo esercizio delle pratiche didattiche.

Tra queste manifestazioni, una mi è sembrata di cattivo gusto (orrenda, l’ho definita, per essere precisi): quella del Miur.

Comprendo e trovo legittimo che più di qualcuno ritenga che la L.107 disegni una buona scuola: una scuola in cui la collettività investe nuovamente dopo anni di investimenti e per mezzo della quale è stata data serenità a migliaia di insegnanti e di famiglie con un posto “fisso”; una scuola che ha attribuito agli insegnanti responsabilità per raggiungere obiettivi moderni e ambiziosi; una scuola dove tutti hanno le stesse opportunità. Una scuola inclusiva.

La verità è che la L.107:

  • razionalizza e potenzia il disinvestimento pubblico nella scuola (l’autonomia è autonomia di risolvere problemi (di cui l’amministrazione centrale non si occupa più) e di trovare i soldi che il governo non intende trasferire più)
  • continua a favorire la mutazione genetica della scuola da istituzione pubblica a “servizio” privatizzato (il prossimo passo sarà presumibilmente la sostituzione del Consiglio di Istituto con un Consiglio di amministrazione composto dagli “stakeholder” finanziatori), già ventilato dai tempi della gestione Moratti, e la progressiva marginalizzazione del Collegio dei Docenti in atto
  • riduce gli insegnanti sempre più a semplici esecutori di direttive (e per questo premiati con bonus o sanzionati con la mobilità coatta e la chiamata diretta)
  • ben che vada, fa della scuola pubblica la scuola degli ultimi e di chi non può (i primi andranno nelle scuole private)
  • pone le condizioni per una scuola dell’obbedienza e non della libertà, dell’appartenenza e della conformità e non della competenza (il “merito” sarà quello del conformarsi).

Esattamente la scuola che Don Milani ha sempre combattuto.

Quindi, pontificate liberamente le bellezze della 107, ma lasciate in pace don Milani

 

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