Trovo inquietante il modo in cui le “competenze” stanno prendendo forma a scuola.

Lo vedo dalle rappresentazioni che si sono fatti tanti docenti che incontro per ragioni professionali e lo vedo, cosa peggiore, nel modo in cui sono trattate nei libri di testo e, specificamente, attraverso le attività didattiche che vengono proposte per svilupparle e valutarle: i cosiddetti “compiti di realtà”.

Di “compiti di realtà” ne ho analizzati numerosi in libri di testo di editori e “autori” differenti, e trovo riflessi in essi un’idea debole di “competenza”; l’idea, cioè, che “competenza” sia fare qualcosa andando oltre la ripetizione di informazioni.

Quelli che vengono chiamati “compiti di realtà” sono uno dei tanti tipi di esercizio da svolgere a scuola: attività da svolgere in modo decontestualizzato, in cui la realtà è presente in modo simulato e nelle parole usate nella consegna, ma non nell’esperienza degli studenti; sono attività brevi che richiedono la mobilizzazione di limitate conoscenze e abilità, perché il contesto di lavoro è esso stesso ristretto, limitato; sono attività poco o nulla sfidanti, semplici, prescrittive, che richiedono la messa in atto di operazioni esecutive e che considerano prospettive disciplinari singole. Sono attività finalizzate alla valutazione sommativa che vengono proposte dopo che si è appreso qualcosa e non contesti che offrono opportunità per nuovi apprendimenti autentici e significativi.

In parole povere, i cosiddetti “compiti di realtà” altro non sono che la riedizione dei classici esercizi scolastici: attività che mobilitano apprendimenti scolastici, cioè incapsulati nel contesto scolastico e difficilmente trasferibili nel reale perché non mettono a contatto con la complessità della realtà…reale.

La competenza, pedagogicamente intesa (fondata cioè sui meccanismi cognitivi che la determinano) comporta l’utilizzo di conoscenze significative in contesti reali e per scopi reali, la soluzione di problemi autentici e aperti, il transfer in più contesti, la generazione (e non la riproduzione) di più soluzioni. Sviluppare competenza implica l’immersione cognitiva, emotiva, operativa in esperienze autentiche (reali), esperienze ricche, complesse, policontestuali. Esperienze integrate di apprendimento, di valutazione, di riflessione, di controllo metacognitivo.

Sviluppare “competenza” a scuola implica l’assunzione di uno sguardo lungo; la competenza è un apprendimento di lungo periodo, è lo sviluppo di forme di pensiero che presiedono e attivano prestazioni competenti e in queste si riflettono; la competenza si sviluppa in modo collaterale agli apprendimenti disciplinari e richiede l’utilizzo di adeguate strategie di apprendimento.

Gli approcci didattici semplici, che non spaventano gli insegnanti (questa è la richiesta degli editori, altrimenti i libri non si vendono), sono contro lo spirito e la sostanza della “competenza”, non contribuiscono a promuovere la competenza stessa e mistificano il ruolo, pur limitato, che la scuola può avere per promuovere lo sviluppo di apprendimenti di livello avanzato, significativi, trasferibili, contestualizzati.

Approcciare in questo modo obiettivi di apprendimento importanti, inducendo a credere che la scuola sia davvero interessata ad espandere le opportunità di apprendimento degli studenti, significa mancare di rispetto agli studenti, alle loro famiglie e agli insegnanti.

Il costrutto di competenza può contribuire ad arricchire il curricolo (precisandone portata e limiti) alla condizione di essere consapevoli che non si tratta di un modo per rendere più semplice e più facile il lavoro di insegnanti e studenti.

L’apprendimento della “competenza” impegna tutti, insegnanti, studenti ma anche l’organizzazione-scuola, in attività sfidanti, e tali devono essere non solo per gli studenti ma anche, e prima di tutto,  per gli insegnanti.

Proporre attività facili, tanto simili alle ordinarie attività scolastiche, significa, anche, ritenere gli insegnanti incapaci di andare oltre il consueto, pur camuffato dall’uso di un lessico nuovo, significa svalorizzare e svilire il lavoro dell’insegnante, significa, in fin dei conti, offendere sul piano personale e professionale l’insegnante.

Qui sono documentati alcuni compiti autentici

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