Colludere, cum ludere, giocare con
Cosa si fa oggi a scuola? Quali didattiche si praticano? Didattiche innovative per stare al passo con i tempi ? Didattiche vecchie perché “la scuola di una volta si che istruiva”…..? Quali esiti hanno queste didattiche? I nostri ragazzi sanno o non sanno? La nostra scuola vale o non vale?
Questi temi si ripropongono periodicamente in occasione della pubblicazione degli esiti dei test standardizzati italiani e internazionali, test che, val la pena ribadirlo, non aggiungono mai niente di nuovo a quanto già non si sappia, esiti che non mettono in moto alcun cambiamento delle politiche per l’istruzione.
Non so se sia vero che gli studenti italiani non sanno leggere e scrivere come sostengono i giornalisti che commentano gli esiti dei test OCSE Pisa o se sia vero, come sostengono “esperti” di scuola, che i nostri studenti sono eccellenti e che chi non sa leggere e capire un testo sono piuttosto i giornalisti.
Periodicamente e in relazione agli esiti (che ognuno legge a proprio uso e consumo e a sostegno delle conclusioni alle quali è già arrivato) si pongono questioni come:
- quali siano le didattiche più efficaci,
- quali siano le criticità che si incontrano a scuola (soprattutto per insegnare agli studenti d’oggi),
- quale sia il peso degli apprendimenti che si sviluppano a scuola e quale quello degli apprendimenti extrascolastici, come la realtà in cui vivono i giovani determina il loro approccio alla scuola.
Il tutto si può compendiare nella questione: ” come insegnare a giovani persone che sembrano arrivare a scuola non sentendosi “studenti”, non essendo disponibili ad agire quel ruolo e avere quei comportamenti che la scuola si aspetta da loro?”
Pare che il maggior problema di un insegnante sia quello di … insegnare a chi non vuol imparare (titolo di libro).
Ma davvero i giovani d’oggi non hanno voglia di imparare?
Dalle tante discussioni che si fanno nei social, ma anche nei corsi, una delle questioni che emergono è quella dell’impegno che si richiede agli studenti.
Pare, infatti, che a scuola sia sempre più difficile ottenere l’impegno degli studenti, più propensi a mantenersi in superficie che non ad approfondire.
Io penso che le didattiche cosiddette innovative non abbiano fatto altro che assecondare questa tendenza.
Stiamo legittimando lo scarso impegno, stiamo istituzionalizzando standard bassi di istruzione e di cultura, stiamo depotenziando le capacità di pensiero.
Più che innovative, mi pare si tratti di didattiche collusive.
Collusive con la realtà che circonda la scuola, con una cultura, con valori che si sono stratificati in anni di comunicazione (soprattutto televisiva) che inneggia al piacere facile, il piacere dato dal risultato veloce, quello che deriva dal possedere qualcosa, dall’apparire; il piacere dato dal consumo compulsivo, di oggetti, ma anche di relazioni; il piacere che non deve avere mete ambiziose perché deve essere raggiunto senza fatica, senza impegno, il piacere immediato.
Con questo modello e con questi valori come si può trovare senso in qualcosa che richiede impegno fisico e mentale, costanza, gestione dell’insuccesso e della relativa frustrazione, differimento del piacere?
Come può un ragazzo d’oggi andare contro i valori dominanti?
Come possono i genitori proporre modelli che farebbero sentire i propri figli fuori dal loro tempo, farli sentire degli “sfigati”?
Se è questo il sistema di valori che il mondo promuove e che le famiglie rinforzano, con quali atteggiamenti e aspettative gli studenti arriveranno a scuola?
La scuola, a questo punto, ha due possibilità: o realisticamente prendere atto di questo stato e, ben consapevole che sarebbe lotta impari mettersi contro, si decide di accodarsi facendo propri questi valori, oppure, con spirito donchisciottesco, non arrendersi e cercare di contrastare (quasi nella prospettiva della riabilitazione) questa deriva e lavorare per una ripresa della responsabilità, dell’impegno…
Scegliere la prima significa consegnarsi agli eventi e considerare la scuola come un agente che si fa dettare le priorità dal mondo esterno, priorità che la scuola assume acriticamente, alle quali non oppone resistenza e che, in fin dei conti, condivide….. Questa scuola adatta la persona al mondo e ne limita le possibilità di esprimere la propria identità.
Scegliere la seconda prospettiva (rischiosa, faticosa, …) significa concepire la scuola come un filtro attivo e generativo tra la società e la persona, vuol dire lavorare per l’emancipazione della persona, per la sua libertà, per la sua piena realizzazione e sostenere la rivendicazione di ogni persona alla propria identità.
La scuola dovrebbe aiutare la persona a vivere nel mondo che trova ma a non lasciarlo così come è.
Ecco, quindi, le didattiche innovative come tentativo maldestro di far fronte a questioni di ampia portata e che investono il senso della scuola in una società che genera e perpetua diseguaglianze, che impoverisce la capacità di pensiero delle persone e che promuove la superficialità, l’edonismo, l’individualismo …. didattiche innovative per strizzare l’occhio al mondo esterno….
Queste riflessioni mi sono state stimolate da un paio di commenti in una discussione su Facebook sulle criticità del rapporto didattico in classe di una brava maestra e che seguo, perché stimo, da tempo, Matilde Sacchi.
Scrive Matilde:
Abbiamo tolto per anni l’idea virtuosa di fatica e di impegno dal vocabolario della scuola. Tutto deve essere piacevole e personalizzato, moderno e veloce, accattivante e affascinante. Niente è ostico e difficile, impegnativo e responsabilizzante. Niente disciplina, niente autocontrollo, niente pazienza, niente sforzo, niente sfida.I bambini piccoli, in prima, passano da un disegno bianco ad uno colorato come se lo riempissero in un click, col secchiellino di Paint.Hai voglia a chiedere ordine e bellezza. Lo sforzo di muovere la matita, variare la pressione, misurare il tratto, stare nel confine, sfumare le ombreggiature o semplicemente “perdere” un po’ di tempo colorando “bene” non li affascina, non li sfida, non li aiuta.Passo subito Da Zero a Cento, come dice Baby K, oppure non mi interessa. Non riesco? Fallo tu, adulto.Come possiamo chiedere loro di studiare, visto che lì non puoi assolutamente passare direttamente da “non so un cavolo” a “padroneggio l’argomento”, senza sforzarti e sudarci sopra? Che ingenui siamo stati.
… e prosegue
Io vengo ora da una lezione che dimostra quanto detto sopra sulla troppa facilità e semplificazione della didattica odierna.Prima elementare.Linea dei numeri fino al dieci.Preparo i foglietti con l’esempio. Li incollano.Spiego come fare a calcolare le somme con l’aiuto della linea. Lo mostro. Cammino contando i miei passi, faccio uno show che nemmeno Forello su Rai Play…Tutti entusiasti.Lo facciamo insieme. Quaderni, scriviamo…Ma nulla: non riescono a capire, non sanno cosa copiare, perdono tempo a capire come è fatto un righello e non seguono i quadretti. Intanto si distraggono, chiacchierano, giocano, si mandano messaggi e foglietti, litigano e cadono dalle sedie, guardano dalla finestra…Chiudiamo tutti i quaderni. Tanto non concludono nulla.Accendo la LIM e faccio la linea dei numeri. Scrivo il calcolo e chiamo i bambini a fare la stessa cosa che dovevano fare sul quaderno. Tutti (ad eccezione di qualche bes e un paio di storditi) eseguono perfettamente tutto l’esercizio al loro turno. Tutti. Perfettamente.Da zero a cento in un clic: se è tutto predisposto e devo solo fare due o tre lineette, vado tranquillo. Non fatemelo scrivere o spiegare, però. Non ce la posso fare.Da zero a cento in un clic.E io sono scoraggiata: devo avere dei piccoli esecutori di funzioni di base, quelli che completano il progetto fatto da altri? Quelli che se è già tutto preparato fanno solo una crocetta finale? Lo posso considerare un successo formativo? Io non ce la faccio ad accettare questa cultura a risposta chiusa, questa manovalanza dell’esercizio… non ce la posso fare a considerarli capaci.
Dal dizionario Treccani
COLLUSIONE: accordarsi con altri a danno di terzi.
Nel caso specifico: a danno degli studenti