Excusatio non petita

Questo post non è il panegirico di un modo “gentiliano” di fare didattica e non è neppure un nostalgico ritorno ad un fulgido passato, se mai c’è stato; è la valorizzazione di una strategia di insegnamento, certamente di nobili origini, che conserva un proprio valore anche nei cambiamenti della società contemporanea e oserei dire, proprio per quei cambiamenti. Il post è la messa in evidenza degli elementi che caratterizzano la “lezione frontale”, che non va assimilata alla lectio magistralis e neppure alla lezione ex cathedra. Il post mette, anche, in evidenza la sua principale controindicazione: la non padronanza del dominio di conoscenza da parte del docente. La padronanza della lezione frontale, per contro, abilita il docente alla gestione anche di didattiche meno strutturate perché lo salva dal farle implodere nel caos più totale, nel disordine epistemologico, nella irrintracciabilità degli apprendimenti realizzati. Dalla didattica casuale.

Tempo fa un’insegnante, Diana Renon, che insegna Italiano e Storia in un ITCG del trevigiano, ha pubblicato nel suo profilo Facebook un accorato appello dal titolo:

Vi prego, salviamo l’ora di lezione. Frontale.

Perché addirittura un appello? Come si fa per le specie in via di estinzione? Come si fa per la salvaguardia del nostro Pianeta?

La lezione frontale è davvero una specie in via d’estinzione?

A seguire la pubblicista corrente pare sia proprio così: si assiste ad un attacco concentrico ad una strategia didattica di solida tradizione, una strategia sulla base della quale si sono formati eserciti di persone, non solo nel nostro Paese, ma che ora non viene ritenuta più adeguata alle nuove “sfide” dell’educazione, ai “nuovi” studenti.

La “lezione frontale” viene accusata di trasmettere vuoto nozionismo, di rendere passivi gli studenti, di emarginarli mettendo al centro i contenuti, le discipline, di non essere motivante, non coinvolgente.

I sostenitori della della lezione frontale sostengono, invece, che tale approccio è impegnativo per gli studenti, che non si impara se non si fa fatica, mentre i suoi detrattori sostengono che si possa imparare anche senza sofferenza, anzi, che se ci si diverte si impara di più e meglio. Pur essendo io un sostenitore della lezione frontale (della “buona” lezione frontale), che non vedo in antagonismo con altre forme di didattica, ritengo che il piacere nell’apprendimento sia strettamente legato alla percezione di significatività dello stesso e non ad un piacere luddistico, ad un piacere profondo più che un piacere superficiale.

Un tratto trasversale alle due posizioni credo vada trovato negli obiettivi, spesso impliciti, che si assumono per l’istruzione: cosa ci aspettiamo attraverso la nostra didattica? Forse noi fatichisti puntiamo ad obiettivi alti per tutti (vedi più avanti) e, sempre forse, i luddisti puntano, realisticamente, a portare a casa qualcosa con il materiale (umano) con cui si lavora.

Quella degli obiettivi attesi è, a mio avviso, una questione ancora aperta: l’accesso massiccio all’istruzione (la scuola di massa o democratica) pone la questione del suo standard, di uno standard che possa andare bene per tutti e questo standard è necessariamente basso, non ambizioso. Più che una questione pedagogica è una questione politica.

La mia tesi è che la “lezione frontale” (definita come specificherò qui di seguito) sia più che attuale, tanto per il suo valore intrinseco, quanto per il suo potenziale “remediale” che può esercitare di fronte al depotenziamento di funzioni cognitive, importanti per la piena cittadinanza, cui assistiamo in giovani e adulti in questa … modernità (flessibilità e profondità di pensiero, pensiero critico, riflessione, argomentazione, attenzione, ascolto, impegno …)

La lezione frontale è spesso oggetto di una narrazione caricaturale e stereotipata; infatti questa strategia di insegnamento non è:

  • Una pratica didattica ad una via
  • Una didattica autoritaria
  • Un’attività basata solo sull’oralità dell’insegnante
  • Una proposizione fredda, asettica, meccanica di contenuti
  • Un approccio che vede gli studenti in un ruolo di ascolto passivo

Verso una definizione

La lezione frontale si caratterizza per la presentazione strutturata di contenuti disciplinari, è finalizzata al conseguimento di obiettivi di apprendimento definiti, in un tempo dato e secondo l’epistemologia della disciplina; è la strategia didattica più efficiente ed efficace per favorire lo sviluppo di conoscenza autentica e la comprensione all’interno di un dominio di conoscenza, per favorire l’appropriazione di nuova conoscenza nello stesso dominio e in domini vicini, attraverso lo sviluppo di forme di pensiero tipiche, solide e rigorose.

Con strategie didattiche che destrutturano la disciplina si corre il rischio di generare conoscenza frammentata, fallace, approssimativa, che genera misconoscenza, fraintendimenti; indebolisce la capacità di transfer degli apprendimenti, di attivare un pensiero generativo; si costruisce una conoscenza meccanica, evanescente e un pensiero riproduttivo.

La lezione frontale per essere efficace deve prendere in considerazione, anche i processi cognitivi che presiedono ai processi di apprendimento.

La lezione frontale non è la lectio magistralis dei teatri accademici (anche se ne contiene alcune delle caratteristiche) ma è caratterizzata dalla presentazione chiara, ordinata, logica dei contenuti disciplinari che sono necessari al conseguimento degli obiettivi di apprendimento assunti all’interno di un modulo didattico (tendenzialmente una lezione).

Una lezione frontale non è solo la presentazione di contenuti da parte del docente ma è, anche, attivazione, contestualizzazione, interrogazione, conversazione, divagazione; non sono solo parole ma anche immagini, suoni.

Una lezione frontale, in senso stretto, non copre necessariamente l’intero arco arco di una lezione ma è quella parte deputata alla presentazione dei contenuti, contenuti che il docente seleziona, mette in sequenza e presenta non prima di aver reso trasparente gli obiettivi che intende raggiungere e aver reso espliciti i criteri di successo, aver accertato e attivato le conoscenze precedenti cui agganciare i nuovi contenuti, e integrando la spiegazione con differenti dispositivi didattici in relazione al contenuto e alle caratteristiche degli studenti. Schemi, mappe, anticipatori, domande, esempi, analogie, casi, richiamo dell’esperienza, riflessione, applicazione, sistematizzazione, feedback, rinforzi ….

Per sollecitare il pensiero, generare ipotesi, elaborare inferenze si può ricorrere anche a momenti di lezione euristica (Bruner, che la contrappone a quella algoritmica).

Nella lezione frontale la presenza didattica è intensa in tutte le sue fasi e l’insegnante è chiamato a dimostrare non solo la padronanza della sua disciplina ma anche la conoscenza dei meccanismi dell’apprendimento e delle dinamiche psicologiche coinvolte e un po’ di umanità: la sua passione per la disciplina e il suo coinvolgimento, anche emotivo, in quello che fa.

Nulla più di un insegnante stanco, demotivato, fiacco, oltre che con una limitata padronanza della disciplina, rende penosa per sé e per gli studenti la lezione. Questo non significa che l’insegnante debba atteggiarsi ad animatore, intrattenitore, giullare. Deve essere credibile come tecnico e come persona.

In una lezione frontale lo studente è tutt’altro che destinatario passivo di contenuti (il classico vaso da riempire) ma è coinvolto cognitivamente ed emotivamente in modo duro e per esserlo deve essere coinvolto in compiti significativi e sfidanti.

Per i livelli di padronanza della disciplina e per la costellazione di conoscenze e abilità didattiche che devono essere possedute, la didattica frontale è, per il docente, una sfida professionale e umana di non poco conto tanto che solo una solida esperienza di questo tipo di strategia didattica può consentirgli di gestire con successo anche didattiche destrutturate come laboratori, progetti, compiti autentici dove la presenza didattica dell’insegnante, pur nascosta, è necessaria per non far implodere le didattiche a bassa direttività in un caos totale.

PS. questo è un post scritto da tempo e ho deciso di pubblicarlo dopo aver visto e partecipato alla discussione Facebook lanciata da Marcella Raiola, discussione alla quale rimando per approfondimenti del dibattito

Ho rilanciato anch’io il post di Marcella con un’ulteriore considerazione sulle questioni associate alla lezione frontale: l’identità dell’insegnante lungo il continuum autoritarismo – democrazia educativa

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2 pensiero su “La lezione frontale”
  1. Salve.
    Il vero problema della scuola oggi sono i dirigenti che le gestiscono in modo clientelare attraverso la distribuzione e retribuzione dei cosiddetti progetti: ore e ore sottratte o inserite nel curricolo per imparare come si fa la maglia…
    Licenziamento in tronco di questa gentaglia!

  2. Condivido pienamente la frase che segue: “Nella lezione frontale la presenza didattica è intensa in tutte le sue fasi e l’insegnante è chiamato a dimostrare non solo la padronanza della sua disciplina ma anche la conoscenza dei meccanismi dell’apprendimento e delle dinamiche psicologiche coinvolte e un po’ di umanità: la sua passione per la disciplina e il suo coinvolgimento, anche emotivo, in quello che fa.”

    la lezione frontale non va completamente eliminata ma integrata con altre forme di didattica, come non abbiamo buttato la bicicletta con l’invenzione del motore a scoppio; in alcuni percorsi la bicicletta è meglio dell’automobile o della motocicletta.

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