M. Chagall

Non me ne ero accorto, mia colpa, mia grandissima colpa. Mi cospargo il capo di cenere.

Ho finalmente unito i puntini e ne è uscita questa amara considerazione.

Poco alla volta, silenziosamente (mica tanto), per piccoli ma progressivi slittamenti, l’apprendimento, il sapere, la conoscenza, da dimensione tipicamente umana, da sublime categoria dello spirito, è diventato un prodotto. Da oggetto di interesse dei filosofi è entrato negli interessi degli economisti.

Da quantificare

Da avere un valore commerciale

Da produrre con razionalità

Da sottoporre a controllo di qualità

Da standardizzare.

Ecco, quindi, le scuole trasformate in stabilimento di produzione di cui va controllata:

la produttività

la qualità del prodotto

l’efficienza

l’efficacia

Scuole, diventate stabilimenti produttivi decentrati di una holding, …

che sono gestite dal responsabile di un centro di profitto

di cui va determinata la produttività

che sono organizzate per segmenti di mercato

di cui va monitorato il flusso produttivo

Ecco …

Preoccuparci per la perdita di produttività

Quantificare le perdite economiche per il tempo di arresto della produzione

Il lavoro straordinario per recuperare le quote di produzione mancate

Tutto questo è visibile:

Nella scuola intesa come organizzazione complessa

Nelle “prerogative dirigenziali”

Nella gerarchia di gestione con posizioni di middle management

Nelle classifiche di redditività delle scuole (in cui eccelle la Fondazione Agnelli)

Nel catalogo prodotti (PTOF)

Nelle misurazioni standardizzate (in cui eccelle l’invalsi)

Nell’internazionalizzazione dello scenario competitivo (l’omologazione OCSE – PISA del mercato dell’apprendimento)

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