Ovvero, 2 studenti su 3 bocciano la scuola. E lo fanno toccando i nervi da sempre scoperrti della scuola, non solo quella italiana.

Lo studio, di cui dà notizia stamattina l’ANSA, promosso da una associazione no profit è stato condotto su 1.600 studenti (scuola media e superiore) usandso blog, forum, community sulla scuola e  social network.

Liquidiamo questa bocciatura dicendo che sono le solite lamentazioni di studenti che non hanno voglia di fare fatica?

Lo ho sempre detto e lo ripeto anche ora che chiunque (studenti compresi) ha ragione a non volere fare fatica per ragioni che non capisce.

La scuola non può chiedere sempre e solo atti di fede ed ubbidienza in virtù del voto che brandisce come un’arma di ….. motivazione.

Gli studenti hanno ragione a rivendicare il diritto ad un senso per quello che fanno. E fanno bene a rifiutarsi di studiare (o a farlo controvoglia, con scarsa efficacia, con fastidio, con spirito di ribellione …)…  tanto perchè bisogna, … per il voto, … per il diploma, … per far felice mamma e papà.

Comprensibile, umano, logico vedere, in queste condizioni, la scuola come un luogo di tortura.

Altrettanto logici e “dovuti” i loro tentativi di ridurre il danno attivando tutte le strategie possibili per fare meno fatica: le “ricerche” copia-e-incolla in internet,  l’uso spasmodico e acritico, a-riflessivo di wikipedia, il passarsi i compiti per casa suddividendosene il carico (grande traffico in questi giorni di “compiti per le vacanze”), l’uso del telefonino durante i compiti in classe.
Pure strategie di sopravvivenza di fronte all’assenza di significato delle attività didattiche.
Ecco, io leggo lo studio citato come un un urlo degli studenti per una scuola migliore, per una scuola che serva a qualcosa, per una scuola che li aiuti, fin da subito, a dare un senso alla fatica che stanno facendo.

Gli studenti non vogliono più ubbidire ma vogliono capire. Possiamo negare loro questo diritto?
PS: il suggerimento che gli studenti danno per riuscire, almeno, a digerire le materie obsolete, noiose, prive di significato, cioè l’uso delle tecnologie in quanto capaci di “interessare” e “divertire”, più che una ipotesi sensata mi pare un segnale di sconfitta: dato che non riuscite ad intressarci, fateci almeno divertire! Peggio di così …..
Brevemente lo studio. Questi studenti come vedono la scuola?
  • il 73%  non si sente a proprio agio tra i banchi di scuola
  • il 49% considera i metodi di insegnamento noiosi
  • il 21%  considera la scuola  un luogo di tortura
  • il 63% vorrebbe un insegnante carismatico (stile il professore impersonato da Robin Williams nel film “L’attimo fuggente”
  • per il 56%  i programmi troppo “antichi”

Cosa viene criticato maggiormente?

  • Al primo posto i professori: da chi si lamenta perché hanno l’età dei loro nonni (39%) a chi li considera poco preparati (27%) e li accusa di stare in classe solo per torturarli, senza cercare mai di istaurare un rapporto alunno-insegnante (19%).
  • Criticata è, anche, l’organizzazione scolastica:  i ragazzi criticano i metodi di apprendimento che sono costretti ad utilizzare. Da chi brucerebbe subito quei “mattoni” che spaccano la schiena (51%) a chi non sopporta più i soliti compiti in classe e interrogazioni (55%) e si sente ridicolo ad imparare le cose a memoria (33%), per finire con chi ha già la nausea a pensare di dover ricominciare a leggere, sottolineare e ripetere per tutto l’anno (47%)
  • gli studenti, inoltre, puntano il dito verso i programmi delle materie, che a loro dire sono noiosi e poco interessanti (69%). Non capiscono infatti perché devono essere costretti a studiare il pensiero di uno che è morto 500 anni fà (65%) o delle formule matematiche incomprensibili e che non servono a nulla (52%). Per altri è assurdo utilizzare programmi che sono rimasti uguali a quelli di 500 anni fa (41%).
  • forti critiche anche alla struttura degli edifici. Classi fatiscenti (61%), pareti sporche e con colori deprimente (43%), sedie scomode e banchi in stato pietoso (71%).

Suggerimenti per migliorare la situazione? Ecco cosa viene proposto

  • in primis migliorare il rapporto tra compagni di classe e con l’insegnante (61%).
  • murales fatti per colorare le pareti (31%)
  • professori più giovani (35%),
  • utilizzare smartphone, iPad e videogiochi in classe (67%)
  • studiare le le materie (considerate obsolete)  con i new media le renderebbe almeno digeribili (75%)

immagine www.mariedargent.com

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7 pensiero su “Il cliente ha sempre ragione?”
  1. Il problema dei professori più giovani è estremamente attuale, viste le GIUSTE proteste dei precari: aggiungete a questo il fatto che alcuni docenti sono ancora precari al momento di andare in pensione e avrete un quadro dell'Italietta scolastica. E' vero che molti docenti hanno reazioni sconcertanti quando si parla di didattica basata su nuove tecnologie o di progetti alternativi: si rischia che ti tolgano il saluto. Molti di noi non sanno neppure usare la posta elettronica, altro che smartphone! Io, che non son più di primo pelo e magari neanche di secondo, ho difficoltà con la tecnologia ma cerco di usare tutti gli strumenti possibili per interessare i ragazzi e pure per non rompermi le scatole più di tanto con la classica lezione frontale (anche il docente si stufa della solita minestra). Il problema secondo me tocca due punti vitali: 1) siamo mal pagati e quindi ogni attività supplementare è frutto di puro volontariato ed è vista come fumo negli occhi quando la si propone ai colleghi (o a molti di loro); 2) non ci sono indicazioni ministeriali per l'aggiornamento​, che è un diritto-dovere solo sulla carta: in realtà chi vuole aggiornarsi lo fa a sue spese (di tempo e di finanze) e spesso deve lottare con il dirigente perchè se si allontana per un corso o un meeting quello si trovano con le classi scoperte (che generano odi feroci nei colleghi che si devono prendere i tuoi studenti in classe: con le cattedre a 18 ore non ci sono più ore a disposizione per le supplenze). Morale: come dicono a Napoli. il pesce puzza dalla testa. E ad ogni nuova riforma la "testa" puzza sempre di più e noi siamo più stanchi e demotivati:non è una giustificazione​, solo pura realtà. Aggiungo che siamo una categoria poco sindacalizzata e spesso avulsa dal contesto in cui viviamo: forse sarebbe ora di svegliarci un po'.

  2. …. sarebbe un buon inizio, considerare queste proposte, ma come motivare al cambiamento docenti stanchi e demoralizzati? Come spingerli ad approcciare nuove metodologie?Questi risultati sono emersi anche da una personale, piccola indagine effettuata sulle classi prime della mia scuola, ma oggi, parlando di una diversa programmazione per il nuovo corso di studi, metà dei docenti ha avuto reazioni sconcertanti.

  3. Non credo che la "colpa" sia sempre e tutta degli insegnanti. Oggi chi insegna lo fa in condizione a dir poco proibitive, in un contesto per nulla favorente, sotto attacco concentrico. Lo so che ripensare, dove e quando opportuno, le proprie pratiche didattiche non sia ne semplice ne facile (neppure dal punto di vista tecnico), ma chi sta al front office (per rimanere nella metafora) è sempre e solo l'insegnante ed è lui/lei che deve trovare la risposta adeguata

  4. Il problema dei professori più giovani è estremamente attuale, viste le GIUSTE proteste dei precari: aggiungete a questo il fatto che alcuni docenti sono ancora precari al momento di andare in pensione e avrete un quadro dell'Italietta scolastica. E' vero che molti docenti hanno reazioni sconcertanti quando si parla di didattica basata su nuove tecnologie o di progetti alternativi: si rischia che ti tolgano il saluto. Molti di noi non sanno neppure usare la posta elettronica, altro che smartphone! Io, che non son più di primo pelo e magari neanche di secondo, ho difficoltà con la tecnologia ma cerco di usare tutti gli strumenti possibili per interessare i ragazzi e pure per non rompermi le scatole più di tanto con la classica lezione frontale (anche il docente si stufa della solita minestra). Il problema secondo me tocca due punti vitali: 1) siamo mal pagati e quindi ogni attività supplementare è frutto di puro volontariato ed è vista come fumo negli occhi quando la si propone ai colleghi (o a molti di loro); 2) non ci sono indicazioni ministeriali per l'aggiornamento, che è un diritto-dovere solo sulla carta: in realtà chi vuole aggiornarsi lo fa a sue spese (di tempo e di finanze) e spesso deve lottare con il dirigente perchè se si allontana per un corso o un meeting quello si trovano con le classi scoperte (che generano odi feroci nei colleghi che si devono prendere i tuoi studenti in classe: con le cattedre a 18 ore non ci sono più ore a disposizione per le supplenze). Morale: come dicono a Napoli. il pesce puzza dalla testa. E ad ogni nuova riforma la "testa" puzza sempre di più e noi siamo più stanchi e demotivati:non è una giustificazione, solo pura realtà. Aggiungo che siamo una categoria poco sindacalizzata e spesso avulsa dal contesto in cui viviamo: forse sarebbe ora di svegliarci un po'.

  5. sul tuo argomentare
    mi viene in mente Howard Rheingold e
    le sue “competenze cognitive fondamentali per poter abitare il mondo nell’era digitale?”
    in particolare la collaborazione (come possiamo favorire forme significative e innovative di collaborazione? )
    e
    la partecipazione, Come si fa a favorire l’interazione e la partecipazione significativa?

    ci aggiungiamo saper coinvolgere gli studenti dando senso
    così aiutiamo i docenti a realizzare la “scuola digitale”

  6. Avevo letto l'articolo giorni fa.Pur condividendone il senso di fondo e molte delle critiche e proposte, sollevo un problema di metodo: «Lo studio, di cui dà notizia stamattina l’ANSA, promosso da una associazione no profit è stato condotto su 1.600 studenti (scuola media e superiore) usandso blog, forum, community sulla scuola e social network»: lo studio parla di chi usa i mezzi informatici moderni, forse sarebbe utile ampliarlo a chi fra gli adolescenti non usa blog, forum ecc per capire se le problematiche sono identiche i somili e se le proposte di soluzione risultano analoghe.

  7. Quoto!
    Però aggiungo anche che la frase del titolo è stata spesso strumentalizzata investendola di significati molto diversi da quelli – pienamente condivisibili – da te argomentati.

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