Pare sia proprio questo il messaggio del preside del Parini alle famiglie.
Ne parla la Repubblica segnalando una circolare del Preside stesso dopo gli insulti e le aggressioni verbali durante i colloqui.(http://milano.repubblica.it/cronaca/2011/02/09/news/il_preside_del_parini_scrive_ai_genitori_basta_con_le_offese_ai_nostri_docenti-12273393/?rss)
Si segnala, pure, una aggressione alla scuola elementare Agaszzi dove una mamma ha malmenato la preside……
Una volta si andava dagli insegnanti con il cappone in mano ora si va ad insultarli e ad aggredirli! Mala tempora …..
I tempi sono cambiati anche per questa relazione. Una volta le persone “istruite” erano poche e si sa come, specie un tempo, l’ ‘”ignorante” venerasse lil”intelligente” specie se questo aveva il potere di decidere (si, decidere) dell’esito scolastico del pargolo.
Dico, non a caso, “decidere” perché la variabile soggettiva era ed è rilevante nel formulare la valutazione degli studenti.
Ora si è tutti più istruiti (purtroppo, direbbe la Mastrocola) e questo atteggiamento di sudditanza culturale e psicologica è venuto meno (per fortuna, dico io) e si hanno, anche, maggiori strumenti per “valutare” la competenza dell’insegnante.
Quindi, tutto quello che un tempo era detto dall’insegnante era oro colato ed accettato acriticamente, oggi non più. E questo è un bene se si svolgesse all’interno di una sana ed equilibrata dialettica tra ruolo diversi e in un rapporto che E. Berne direbbe del tipo adulto-adulto ma, non di rado, si hanno relazioni bambino – bambino e adulto -bambino.
A prescindere dalla maleducazione, dall’arroganza, dal mammismo di tanti genitori, su questo atteggiamento aggressivo verso gli insegnanti ha contribuito non poco la campagna di denigrazione degli insegnanti, del loro lavoro, del loro ruolo. Denigrazione che ha subito un’accelerazione con le esternazioni del brunetta e della gelmini di turno.
Fattori e cause complesse hanno portato a deteriorare il ruolo e l’immagine sociale dell’insegnante. Un tempo l’insegnante era un mestiere socialmente valorizzato, rispettato, ambito. Ora la sua immagine sociale è molto bassa; c’è chi si vergogna di dire “sono un insegnante”; per tanti studenti l’insegnante è uno sfigato, mal retribuito, che fa quello perché non sa fare altro, in famiglia si parla male della scuola e degli insegnanti …
Ovvio che ci sono anche insegnanti stimatissimi ed “amati” tanto da famiglie che studenti. Ma questi sono pochi
Resta comunque il fatto che il principio di autorità regge sempre di meno, che il ruolo protegge, tutela sempre di meno e che la sua autorevolezza, l’insegnante, se la deve procurare da solo col duro lavoro sul campo.
Lasciando da parte piagnistei e lamentazioni (anche se giustificati), lasciamo da parte colpe reali di tanti, la vera questione che pone il fatto che mi ha portato a scrivere questo post è l’identità sociale, professionale, culturale dell’insegnante e questa se la può dare solo l’insegnante.
Ai nostri giorni ritengo che non sia concepibile assumere un comportamento del genere.
Non tutti gli insegnanti sono pessimi oppure non svolgono il proprio lavoro anzi, la maggior parte degli insegnati svolgono molto bene il loro compito e comunque non e’ competenza nostra decidere cosa e’ giusto o sbagliato ma degli enti competenti come in questo caso il ministro dell’istruzione.
Bisognerebbe avere maggior rispetto per la classe docente perche’ svolge un ruolo fondamentale per l’istruzione di tutti noi, senza i quali nessuno avrebbe quel minimo di sapere per poter affrontare la vita.
Marco Acri Liceo Fermi 4a Cosenza
Sono d’accordo con quello che afferma l’articolo in quanto anche io penso che bisognerebbe tornare per alcune cose ai tempi dei nostri genitori,quando la scuola era permeata da un forte sentimento di rispetto tra le diverse parti,in cui i genitori avevano completa fiducia negli insegnanti,i quali d altra parte hanno sempre lavorato per il bene dei propri alunni.D’altro canto bisogna aggiungere anche che ci sono docenti,oggi come ieri, che non svolgono il proprio lavoro in maniera adeguata,ma non per questo devono essere soggetti ad atti di violenza,ma cercare di affrontare la situazione attraverso il dialogo e un confronto di idee.
Alessandro Acri
@ Marco, non condivido quando dici che non è competenza nostra dire ciò che è giusto e cosa è sbagliato e che questa competenza è del ministro! Perchè mai demandare il nostro pensiero, la nostra capacità di giudizio ad una terza persona. Fosse anche il ministro (a maggior ragione, dico io, se è il ministro, questo ministro). Siamo esseri liberi, pensanti, responsabili. Chi non lo è non ha neppure la dignità di essere e di fare l’insegnante.
@ Alex, concordo sulla necessità di rispetto. Ma quel che voglio sottolineare è che questo rispetto non ci è più dato solo per il ruolo che abbiamo. Credo, anche, che ci debba essere un maggior dialogo tra scuola e famiglie, oltre il rapporto formale e amministrativo. Se la scuola non si costrusce assieme è ben difficile faral, poi, funzionare assieme. Ed allora nascono le contarpposizioni, quasi se insegnanti, genitori e studenti rappresntassero interessi contrapposti e conflittuali
itempi sono cambiati è vero ….i genitori sono più colti? e possono permettersi di criticare e giudicare ….ma noto che si sta tornando all’ignoranza…
molti genitori giovani sono ignoranti, non capiscono un’acca per lo più ma giudicano e giudicano iperproteggendo i figli..ecco : non sanno giudicare il lavoro dell’insegnante ma lo giudicano …e soprattutto non lo rispettano…
Sono un’insegnante: fierissima di esserlo, innamorata del mio lavoro.
Cambiare i genitori che pretendono, aggrediscono, malmenano è chiaramente impossibile.
Restaurare una rispettabilità sociale condivisa sulla classe insegnante sarà difficilissimo e lentissimo.
Ma c’è qualcosa che tutti gli insegnanti, da subito, possono fare per guadagnarsi il rispetto, ed è migliorare la propria comunicazione con gli studenti.
Guardarli, ascoltarli, parlare loro, sforzarsi di capire e di farsi capire: a livello personale, prima ancora che “didattico”, perché la didattica accade fra persone che innanzitutto si considerano reciprocamente tali.
Dovremmo farlo per amore dei ragazzi, o perlomeno per fare meglio il nostro lavoro: facciamolo almeno per essere rispettati un po’ di più.
I nostri PR sono i ragazzi. Neanche il genitore più arrogante ed ottuso si prenderebbe la briga di maltrattare un insegnante che il figlio stima, e di cui quindi in casa parla in modo positivo.
E per guadagnare la stima degli studenti, bisogna semplicemente stimarli (sforzarsi di farlo, se necessario, mettendoci alla ricerca di quanto c’è di buono in loro: qualcosa c’è, sempre), e manifestare loro la nostra stima. Non è necessario essere larghi di voti: anzi, saremmo disprezzati. Non è necessario essere brillanti, geniali o esageratamente divertenti: i ragazzi ci chiedono solo di essere leali, giusti, incoraggianti, e di sapere insegnare la nostra materia. Chi di noi cerca di far questo tutti i giorni, poi ai colloqui coi genitori ci va tranquillo.
(Chiedo scusa per la lunghezza!)
[…] This post was mentioned on Twitter by marco and marco, Giuliana Guazzaroni. Giuliana Guazzaroni said: "Non picchiate gli insegnanti da Apprendere con e senza le tecnologie " http://bit.ly/eI8yyk […]
Nella mia esperienza di insegnante, il rapporto più vero e proficuo con i genitori l’ho avuto nei quartieri, cosiddetti, “a rischio”.
Quando ho lavorato nelle scuole “bene”, non sempre le cose sono procedute nella maniera che qualcuno si aspetterebbe (o che almeno io mi sarei aspettata).
E’ un problema di “alleanza”: il genitore che vuole dare a suo figlio una via d’uscita cerca di stabilire un rapporto con te perché puoi dargli una mano a costruire una chance. Essere poveri non significa essere per forza delinquenti ma l’ambiente in cui si è costretti a vivere è spesso portatore di valori in cui la scuola è solo una perdita di tempo quando puoi guadagnare già sotto i dieci anni.
Per il genitore laureato, benestante, che può alternare la pianificazione ossessiva del futuro del figlio al suo “appalto” esistenziale a domestiche/babysitter/corsi d’inglese-tennis-nuoto ecc, tu (insegnante), nella migliore delle ipotesi sei un “servizio” tra i tanti e/o la valvola di sfogo della sua frustrazione di genitore assente. E quindi può succedere che “costringere” il bambino a portare la stessa merenda degli altri nei giorni concordati (chiamasi “educazione alimentare”) è una violenza inaudita a cui non è possibile sottostare o che il bambino stesso ti ricordi di stare attenta a quello che fai perché suo padre è avvocato.
Nelle scuole bene, qualcuno è ricorso al TAR per ottenere quell’ottimo che il bambino – a parere insindacabile del genitore – meritava.
E così si perde l’alleanza e ognuno va per i fatti propri, facendo pagare il conto più salato a quelli di cui ci dovremmo occupare.
“l’identità sociale, professionale, culturale dell’insegnante e questa se la può dare solo l’insegnante” secondo me dovrebbe esser tatuata nella mente di chi poi protesta per come viene trattato dai colleghi lavoratori, dai genitori e dai ragazzi….
Se NOI che facciamo formazione non ci formiamo prima a Noi stessi, cosa poi ci aspettiamo dall’esterno? Un pò di reflecting non farebbe male a tanta insegnanti.
@ Elisa, gli ignoranti ci sono anche tra i genitori, nonostante l’eventuale laurea-master-dottorato …. La maleducazione, pure; la supponenza anche. Dato che non possiamo prenderci la briga di “educare” oltre ai figli anche i genitori, vediamo di meritarci il rispetto. Detto che anche tra gli insegnanti ci sono persone che non lo meritano, vedi il caso segnalato da Elisa B.
@ Vittoria, mi piace molto la tua idea di “rispetto”. Rispettare i ragazzi per essere rispettati. E stimati. Sono certo che questa è un’arma infalllibile.
@ Maria Grazia, sul tema dell’alleanza scuola-famiglia si gioca il futuro della buona scuola. La scuola non è più, da tempo, ne la sola ne la principale agenzia educativa. Non è, quindi, la sola responsabile (nel bene e nel male) di quello che succede a cosa, non può, da sola, pensare di determinare il “successo” scolastico ed educativo. Un’autentica sinergia, collaborazione, “alleanza” come la chiamo tu è la strada obbligata. Non solo gli studenti devono poter dare senso a quello che succede a scuola, ai temi affrontati, alle metodologie adottate ma anche le famiglie lo devono poter dare. Quante volte ho sentito dire di genitori contrariati perchè gli insegnanti, certi insegnanti, invece di “spiegare”, invece di “dare compiti”, invece di “interrogare” .. perdevano tempo con progetti, lavori gruppo, ricerche sul campo ….!
Condivido appieno l’analisi del Prof. Marconato. Osservo inoltre che all’abdicazione del ruolo genitoriale in favore della scuola, cui vengono incessantemente attribuiti sempre nuovi compiti, non è corrisposta una conseguente valorizzazione del ruolo docente, che anzi risulta svilito, degradato tante volte a funzioni aspecifiche: animatore, vigilante, badante, esecutore di ordini impartiti dalla famiglia relativamente alle scelte metodologiche, catalizzatore dell’aggressività e del senso di frustrazione…e qui mi fermo. Banalizzando al massimo come l’insuccesso scolastico si attribuisca ai presunti demeriti dell’insegnante, mentre l’eventuale successo alle straordinarie capacità dell’alunno o al salvifico intervento del genitore.
I motivi di questa disfatta sono stati ben espressi da Gianni: colpa del discredito e della squalifica surrettiziamente inflitta da chi ha interesse a diffamare gli insegnanti per poterli vessare, precarizzare e mal pagare.
@Gianni
ci sono contesti in cui oltre la scuola non c’è nulla, te lo garantisco. E poi non ci si può dimenticare che ogni genitore fa i conti con il “proprio” modello di scuola, di solito mutuato dalla propria esperienza di studente. E con quello c’è poco da fare…
Dire che gli insegnanti si meritino qualche critica è ben diverso dall’accettare che sia giusto mancare di rispetto a tutti a causa di alcuni.
Anche io penso (e mi spiegherò meglio più avanti) che la categoria dei docenti non abbia fatto abbastanza per mantenere il rispetto al proprio ruolo ed è in quest’ottica che leggo sottoscrivo la frase di Gianni Marconato :”Resta comunque il fatto che il principo di autorità regge sempre di meno, che il ruolo protegge, tutela sempre di meno e che la sua autorevolezza, l’insegnante, se la deve procurare da solo col duro lavoro sul campo.”
Potremmo anche dire che molte sono le categorie che non sono più rispettate come “una volta” : i medici, gli ingegneri, i politici, le madri di famiglia, il clero, le forze dell’ordine o gli intellettuali; ma nemmeno tra i rapporti di condominio o degli utenti della metropolitana c’è più la vecchia e diffusa “buona educazione”.
Non lo dico per generalizzare, ma per confermare che è la società ad essere, e violentemente, cambiata.
Immaginare che l’insegnate sia esente è inutile, ma certamente non incoraggiante.
Sono in piena sintonia con Vittoria quando scrive “Neanche il genitore più arrogante ed ottuso si prenderebbe la briga di maltrattare un insegnante che il figlio stima, e di cui quindi in casa parla in modo positivo. E per guadagnare la stima degli studenti, bisogna semplicemente stimarli…” questa è anche la mia tesi di fondo e vedo che anche altri amici vi si accostano.
Aggiungerei anche che gli insegnanti meritano di essere trattati molto diversamente perché dobbiamo pur ammettere che le prime critiche generiche, generalizzanti e squalificanti sono venute proprio da coloro che (MIUR, Fioroni, Gelmini, Funzionari del ministero vari) avrebbero dovuto, per principio e dovere d’ufficio, seguire la categoria dei docenti, incentivarne l’azione e l’aggiornamento. Invece l’hanno tenuta e tengono sotto scacco.
Se è vero che il bravo e valoroso insegnante riesce a ottenere la stima dei suoi studenti, è anche vero che il suo percorso è disseminato di tagliole (prove INVALSI ad esempio).
Dai Soloni del Miur e dell’OCSE si pretende che gli studenti italiani siano omogenei, allineati sulle stesse competenze, uguali e coperti dalle stesse situazioni sociali. Si pretende che dimostrino di saper rafionare somministrando prove dove il nozionismo dilaga. Sanno questi signori cosa significhi “ragionare” insieme ad un bambino o ad un adolescente? Ma molti di noi insegnanti lo sappiamo, e siamo consapevoli che tutto questo apparato di presunto merito e presunte eccellenza e verifica è inattendibile e infondato! E allora lo si dica a gran voce. Bando alle frustrazioni che condurranno inevitabilmente all’esclusione, tramite la bocciatura degli studenti con maggiori difficoltà per ottenere lo scopo di alzare il livello delle classi.
Io credo che gli insegnanti debbano cominciare ad usare i loro strumenti culturali per cominciare a dire dei “nossignore” invece che dei “signorsì” ai dirigenti, ai funzionari, al pedagoghi mediatici e non, ai Ministri (onorevoli-eccellenza come diceva Rino Gaetano)
Concludo: la categoria dei docenti è l’unica che, per competenza e professione, ha titolo ad esprimersi sulla realtà della situazione giovanile, eppure si lascia bacchettare: perché?
Perché i docenti con idee si sentono soli?
Perché il conformismo della contrapposizione famiglia-scuola deve trionfare?
Si rivendichino invece le specifiche competenze e si unisca la categoria sui contenuti di una lotta qualificata: basta con le tristezze tipo “docenti in mutande” e “la scuola è morta”.
Basta slogan qualunquisti e vittimistici. Ci vuole più coraggio e meno dipendenza dall’opinione altrui e dai media. La scuola deve essere viva. Viva la scuola.
@ Mariaserena, una confidenza? Questa storia dell’identità dell’insegnante, che mi frulla per la zucca da tempo, sei stata tu a rendermela evidente in una discussione il LSCF, agli inizi dei grandi lavori per il Manifesto degli insegnanti. Da quella volta c’ho pensato più volte e lì’ho cucinata in tante salse diverse e ora sono ASSOLUTAMENTE convinto che questa sia la sola strada per uscire dall’angolo in cui la categoria è stata costretta.
Evidenzio la tua conclusione perchè davvero grande, molto potente, piena di nergia e di speranza. Quasi un autentico “manifesto” per la riscossa dell’insegnante
@ Michela, quanto mai opportuno il tuo richiamo alla dignità del mestiere dell’insegnante chiamato a mille supplenze, molte inopportune
@Michela, Gianni confermo.
Occorre ripartire da lì. Siamo docenti, siamo persone impegnate in un lavoro da cui dipende non tanto “il futuro del paese” (come si ama dire per alzare retoriche fine a se stesse) quanto la vita di ciascun giovane cittadino e la sua possibilità di essere “società civile” domani.
questo è il momento per chiamare a raccolta i docenti sui contenuti qualificanti.
Ad esempio il rivendicare che i docenti hanno competenze professionali specifiche, che conoscono a fondo i ragazzi e che sono chiamati alla missione educativa.
In questo loro lavoro quotidiano nessuno sembra voler tenere conto che la scuola è una realtà sociale, e che questa realtà non è omogenea.
Tra paese a città, tra nord e sud, tra livelli socio-economico-culturali, tra provenienze famigliari ed etniche, tra i nuovi italiani ci sono mille sfumature e che non si può pretendere di “valutare” come se si trattasse si un’automobile o di un pomodoro.
Noi insegnanti trattiamo persone e non articoli casalinghi.
Di questi ragazzi assumiamo la responsabilità, e sappiamo bene che ogni gesto di un docente ha un suo peso e una conseguenza.
Certo… ci sono i mediocri o pessimi docenti.
Ma se in un ambiente di lavoro si lavora male la colpa non è solo di chi opera, ma è prima di tutto dei responsabili e quindi se la scuola lavora male non si può attribuire tutto ai docenti che spesso si sentono ormai allo sbando.
Invece siamo al “si salvi chi può”
Ascolto e parlo con i docenti e li sento investiti da un profondo disagio, alcuni sono addirittura intimoriti. Genitori sospettosi o minacciosi, studenti del tutto immuni da soggezione o abitudine al rispetto, dirigenti aziendalisti, un ministro che non conosce la scuola, pomposi funzionari pontificanti che annunciano valutazioni del lavoro docente senza aver insegnato 1 giorno che sia uno.
Facciamo l’esempio delle prove INVALSI distribuite come la grandine d’agosto nei prati,nei campi coltivati, sulle montagne, sulle acque del lago e sugli edifici: cosa dimostreranno?
NON certo le difficoltà incontrate dai ragazzi e ciò su cui di deve programmare il lavoro docente, MA se gli alunni hanno “imparato” e quanto.
Di conseguenza se un insegnante riterrà di avere troppi ragazzi che non imparano, si sentirà frustrato
perchè anche la sua stessa “valutazione” e probabilmente lo stipendio e carriera dipenderà dal suo “successo”
E allora che farà il docente?
Semplice: se è uno in gamba o un erore (perché ormai siamo a questo) se ne infischierà nel nome della sua missione e si sacrificherà salvando ragazzi su cui investe il proprio lavoro.
Ma se non è abbastanza eroico o in gamba sacrificherà i ragazzi meno “dotati” o con problemi e li escluderà dalla scuola bocciandoli.
La lotteria delle valutazioni è pronta, basta solo girare la manovella….e il danno sociale sarà enorme, incalcolabile.
L’Italia sarà sempre più povera di teste che ragionano, perchè a nessuno interessa che i cittadini pensino e siano critici.
La sensazione è, dunque, che si stia favorendo un allevamento di consumatori obbedienti, non di cittadini.
Fermiamo il disastro. Ogni gesto virtuoso può essere un granello che contribuisce ad inceppare questo meccanismo perverso.
una delle pratiche più importanti di chance era la costruzione dell'ALLEANZA PEDAGOGICA tra scuola, non solo decenti, e genitori o cmq adulti significativ i.presuppopsto di quewsta pratica era il lavoro di strada, ossia la scuola outdoor che impiegava tempo a andare per le case. la chiamavamo "visite pastorali", con ovvio riferimento all'invenzione della controriforma (non mettete la gelmini in mezzo che non c'azzecca). l'accoglienza, questa pallosissima pratica scolastica, che spesso si limita a una settimana di carota prima degli altri 170 giorni di bastone, è infatti ridicola se non si pone sul piano della reciprocità: anche noi, soprattutto?, dobbiamo essere accolti nella loroi cultura. qualcosa di diverso anchde dalle pratiche per cui, con sociologia un po' facile, si vuole sapere qualcosa del retroterra sociale, i famosi "problemi", dei nostri ragazzi. senza questa abitudine, senza la costruzione di questo pezzo di città, senza questo pontificare ci resta solo l'altro pontificare: si distrae, potrebbe fare di più, a casa non studia, ma chi te l'impara l'educazione.e forse, più a fondo, una lettura dei libri di Charmet, o di altri se me li suggerite, sul passaggio da un modello narcisita (in famiglia) e un residuo e impotente modello edipico (la scuola) potremmo sospettare che il ponte da costruire è molto più complesso.ma, of course, Charmet meglio e più di me (si trova una sua conferenza su festivaldellamente)grazie sempre gianni
"Dobbiamo essere acolti dalla loro cultura". Dici bene Salvatore! In altro commento Vittoria diceva "Dobbiamo rispettarli per essere rispettati". Questa è certamente la chiave. Mi devo riprendere le letture di Charmet. Grazie a te S, per gli stimoli e le testimonianze. Danno coraggio ed energia a tanti!
Ho il ricordo di una mia visita a casa di un ragazzo di Chance. Andai per raccontare alla madre dei progressi del figlio. Dopo le mie lodi, la madre, in dialetto napoletano, rivolgendosi al figlio, disse: "Hai visto? Come al solito… uomo di niente! Non mi far venire più il professore qua che ti rompo le ossa."
Bellissimo!
più leggo di chance e più mi piace questa tipologia di scuola e penso che molta scuola "tradizionale" possa prendere da questa scuola molte buone pratiche: trovo veramente burocratici i patti di corresponsabilità che oggi si firmano nelle scuole, premesse a qualcosa che rimane a livello di parole e di foglio: apponete la firma e vostro figlio sta dentro ad una botte di ferro. Più volte ci siamo detti della distanza o della confusione tra insegnanti e genitori (non mi piace e non uso la parola "ruolo"): gli uni fanno gli altri ed entrambi non sanno più quello che fanno. Se a questo si aggiunge il fatto che gli insegnanti lavorano spesso come monadi impazzite, la didattica che ne esce fuori è a dir poco schizzofrenica.Andare fuori, conoscere il loro mondo (sempre più spesso poco sereno) diventa sempre più importante quanto più la scuola di oggi tende invece a mettere muri o peggio ancora a confondere valutazione con giudizio morale: lei faccia il prof che io faccio il genitore /professore, lei deve insegnare, quello che accade fuori non le deve interessare/ questo ragazzo deve essere aiutato, ha il padre tossico o deve essere bocciato perché la madre è "allegra" e non lo segue.E invece un'alleanza psicologica tra tutti gli adulti che, per PATTO ANTROPOLOGICO non burocratico, seguono il ragazzo sarebbe uno dei tanti modi per avvicinarsi a loro, capire dove vengono e dove i loro copioni esistenziali li stanno portando. L'altro giorno avevo ora buca e stazionavo nei vasti corridoi della scuola: mi sono estraniata e ho provato e vedere il tutto con una sorta di telecamera muta. Ore 8.10: tanti ragazzi pascolano nei corridoi, ridono scherzano, giocano-poi la campanella-7/8 adulti si avvicinano a loro e allora si distribuiscono in 5/6 vani chiusi-un'ora di parole, parole, parole, qualche urlo, fermo lì, niente bagno, non cominciare subito-risuona la campanella-i ragazzi escono di nuovo nel corridoio, riparlano, rigiocano-gli adulti di prima escono e ne entrano altri-i ragazzi rientrano di nuovo nei vani-di nuovo parole parole parole, urla, alza la mano e non tirare cartoccetti, mettiti seduto, vieni alla lavagna, no tu seduto, si alza lui-poi campanella-tutti fuori-adulti-tutti dentro-parole-campanella-fuori-adulti-tutti dentro…Sono tornata in me allucinata e pensierosa.Io in quei vani chiusi ci lavoro: lavoro in una stia…tutto ciò che posso fare per rompere la rete verso l'esterno, lo faccio e lo farò.
una delle pratiche più importanti di chance era la costruzione dell'ALLEANZA PEDAGOGICA tra scuola, non solo decenti, e genitori o cmq adulti significativ i.presuppopsto di quewsta pratica era il lavoro di strada, ossia la scuola outdoor che impiegava tempo a andare per le case. la chiamavamo "visite pastorali", con ovvio riferimento all'invenzione della controriforma (non mettete la gelmini in mezzo che non c'azzecca). l'accoglienza, questa pallosissima pratica scolastica, che spesso si limita a una settimana di carota prima degli altri 170 giorni di bastone, è infatti ridicola se non si pone sul piano della reciprocità: anche noi, soprattutto?, dobbiamo essere accolti nella loroi cultura. qualcosa di diverso anchde dalle pratiche per cui, con sociologia un po' facile, si vuole sapere qualcosa del retroterra sociale, i famosi "problemi", dei nostri ragazzi. senza questa abitudine, senza la costruzione di questo pezzo di città, senza questo pontificare ci resta solo l'altro pontificare: si distrae, potrebbe fare di più, a casa non studia, ma chi te l'impara l'educazione.e forse, più a fondo, una lettura dei libri di Charmet, o di altri se me li suggerite, sul passaggio da un modello narcisita (in famiglia) e un residuo e impotente modello edipico (la scuola) potremmo sospettare che il ponte da costruire è molto più complesso.ma, of course, Charmet meglio e più di me (si trova una sua conferenza su festivaldellamente)grazie sempre gianni
più leggo di chance e più mi piace questa tipologia di scuola e penso che molta scuola "tradizionale" possa prendere da questa scuola molte buone pratiche: trovo veramente burocratici i patti di corresponsabilità che oggi si firmano nelle scuole, premesse a qualcosa che rimane a livello di parole e di foglio: apponete la firma e vostro figlio sta dentro ad una botte di ferro. Più volte ci siamo detti della distanza o della confusione tra insegnanti e genitori (non mi piace e non uso la parola "ruolo"): gli uni fanno gli altri ed entrambi non sanno più quello che fanno. Se a questo si aggiunge il fatto che gli insegnanti lavorano spesso come monadi impazzite, la didattica che ne esce fuori è a dir poco schizzofrenica.Andare fuori, conoscere il loro mondo (sempre più spesso poco sereno) diventa sempre più importante quanto più la scuola di oggi tende invece a mettere muri o peggio ancora a confondere valutazione con giudizio morale: lei faccia il prof che io faccio il genitore /professore, lei deve insegnare, quello che accade fuori non le deve interessare/ questo ragazzo deve essere aiutato, ha il padre tossico o deve essere bocciato perché la madre è "allegra" e non lo segue.E invece un'alleanza psicologica tra tutti gli adulti che, per PATTO ANTROPOLOGICO non burocratico, seguono il ragazzo sarebbe uno dei tanti modi per avvicinarsi a loro, capire dove vengono e dove i loro copioni esistenziali li stanno portando. L'altro giorno avevo ora buca e stazionavo nei vasti corridoi della scuola: mi sono estraniata e ho provato e vedere il tutto con una sorta di telecamera muta. Ore 8.10: tanti ragazzi pascolano nei corridoi, ridono scherzano, giocano-poi la campanella-7/8 adulti si avvicinano a loro e allora si distribuiscono in 5/6 vani chiusi-un'ora di parole, parole, parole, qualche urlo, fermo lì, niente bagno, non cominciare subito-risuona la campanella-i ragazzi escono di nuovo nel corridoio, riparlano, rigiocano-gli adulti di prima escono e ne entrano altri-i ragazzi rientrano di nuovo nei vani-di nuovo parole parole parole, urla, alza la mano e non tirare cartoccetti, mettiti seduto, vieni alla lavagna, no tu seduto, si alza lui-poi campanella-tutti fuori-adulti-tutti dentro-parole-campanella-fuori-adulti-tutti dentro…Sono tornata in me allucinata e pensierosa.Io in quei vani chiusi ci lavoro: lavoro in una stia…tutto ciò che posso fare per rompere la rete verso l'esterno, lo faccio e lo farò.
Nel mio lavoro (in un museo scientifico) ho a che fare con gli insegnanti tutti i giorni e li vedo dall’esterno. E li osservo attentamente. Ho amici insegnanti, una compagna insegnante. Lavoro con loro e per loro.
Ma in un mondo dove la professione sembra identificarsi con il valore stesso che viene attribuito alle persone (cosa triste sotto certi aspetti…), dove l’atteggiamento professionale offre addirittura rilievo sociale (cosa ancora più triste…), gli insegnanti sembrano a volte fuori gioco.
C’è qualcosa di profondamente demotivante nella vita di un insegnante, a volte, che ne determina un’inconsapevole immagine di sé fuori dai canoni di ciò che oggi viene considerato (a torto o a ragione) un professionista.
E questo a volte genera l’atteggiamento deteriore di molti genitori (ma non solo) nei confronti della categoria.
A ciò si aggiunge una grande ignoranza sulla professione stessa dell’insegnante: in fondo, che ci vuole ad insegnare ai bambini?
Se io mando avanti un’azienda o un ufficio con 30 dipendenti, o conduco affari per milioni lavorando 13 ore al giorno, con tutte le preoccupazioni che questo genera, cosa vuole dirmi questo tizio/a che in fondo lavora mezza giornata con dei semplici bambini di 9 anni? E, a ben guardarlo, sembra anche comportarsi con la stessa approssimazione dei suoi alunni…?
Ha una laurea? Come parla? Che argomenti usa? Che ci sarà mai di così complicato a fare sto mestiere d’oro, con i suoi tre mesi di ferie l’anno…!
Come difendersi da questi stereotipi?
Forse bisognerebbe che gli insegnanti tornassero più uniti, più categoria con argomenti da offrire, più gruppo capace di lottare e di far rumore. Soprattutto che tornassero di più ogni tanto nel mondo degli adulti, aggressivi, individualisti, cinici. Per affermare la propria professionalità.
E non accettare riforme e dictat non ben meglio definiti come atti superiori di fronte ai quali l’uomo nulla può.
Bisogna tornare a fare anche un po’ politica: non quella degli schieramenti, ma quella della difesa della cultura e del proprio ruolo.
Attenzione! Premetto subito!
Non credo questo discorso riguardi gli scriventi; si capisce bene che c’è fervore e partecipazione ai problemi, tanti.
Ma la categoria, non negatelo, vanta un oceano di strani e indifferenti (se non anche superficiali) personaggi. E ha bisogno di una strigliata per svegliarsi… dall’interno.
Acutissime osservazioni Paolo. Concordo su molti argomenti. Non bisogna nascondersi che – nel suo insieme – gli insegnanti sono una casta gentiliana (certe cose non si sradicano così facilmente! – la cui “importanza” deriva direttamente dal grado di scuola in cui si insegna e dalla disciplina insegnata. In caso di parità di disciplina, prevale il grado di insegnamento.
E anche se si è vagheggiato per anni di una fantomatica funzione unica docente, nei fatti questa è stata osteggiata dall’interno non poco: funzione unica, giusto per dirne una, significa orario unico per tutti. E nessuno, nei vari articoli sul dolce-far-niente dell’insegnante pubblico, sottolinea che gli insegnanti hanno carichi orari diversi a secondo del grado scolastico (ovviamente inversamente proporzionali ai loro stipendi)…
La fatidica riforma Berlinguer – in cui si sarebbe dovuto creare un ciclo unico elementare-medie – è stato il cavallo di Troia che ha fatto guadagnare non pochi voti al nostro attuale premier: io mi ricordo anche lo scarso entusiasmo di quei colleghi che temevano di essere declassati a “maestri”. E anche la promessa di annullare la riforma in caso di vittoria. E così fu. Poi è venuta la Moratti… ma questa è un’altra storia.
La nostra non è mai stata una categoria naturalmente unita perché chi sa insegna (da solo/a) e la sua importanza dipende da cosa insegna. Forse, arrivati in una condizione estrema in cui il sapere ha sempre meno valore, possiamo cominciare a ripensarci professionalmente e culturalmente. Non credo che ci siano più alternative se non il continuare a lamentarsi di quello che non hanno fatto i colleghi dell’anno prima invece di provare a capire cosa e come lo hanno fatto.
Buona giornata 🙂
@ Paolo, il tuo commento da non-insegnante è estremamente prezioso perchè ci dà una immagine autentica di come si è visti. Da meditare. Trovo fantastico il tuo richiamo potente a darci una mossa, a ricostruirci un’identità
@ Maria Grazia, mi sconforta la tua socnfortata conclusione! A maggior ragione una buona giornata pure a te!
Mah… io sono realistica più che sconfortata. Se non si dicono le cose come stanno non si possono neanche risolvere i problemi che ci sono alla base.
La Rete è stata (e continua a essere) molto preziosa per tutti quegli insegnanti che si sentivano (e sentono) soli nelle proprie scuole e nelle proprie classi. Il futuro della scuola sarebbe dovuto essere improntato ad una evoluzione organizzativa in cui il lavoro del team docenti doveva essere la cifra peculiare del nostro lavoro, in grado di innescare processi virtuosi di formazione tra pari.
Eppure tutto ciò non è perduto. Esiste un’importantissima eredità culturale e pedagogica che ci riviene dagli anni del team docente e dalle varie sperimentazioni nella scuola superiore. Credo che la Rete sia la dimostrazione che molto di ciò vive ancora nel nostro fare professionale solo che l’istituzione non ci supporta più, relegandoci in un ruolo misero a metà tra la maestrina/professorino e l’operaio alla catena (non solo di montaggio).
Il problema è la considerazione in cui la società tiene la cultura. Ed è un problema che riguarda tutti. Non solo gli insegnanti.
@Gianni, io ho già detto la mia altrove e non voglio annoiare nessuno. Il tuo discorso è importante, ribadisco e spero tu sia ascoltato; per quanto mi riguarda mi mantengo su una mia posizione coerente. (Chi si lamenta gode). L’atteggiamento vittimista deresponsabilizza ed è insopportabile in chi si professa intellettuale senza rischiare il gulag, ma al massimo un orario di servizio “scomodo”.
@Mariaserena
Potrei capire a chi ti riferisci quando parli di vittimismo?
Molto interessante questa discussione sul ruolo, funzione dell’insegnante e aspettative della famiglia verso la scuola.
Molto significativo l’intervento del signor Paolo Gallese e gli interventi di Marconato come anche i contributi di molti tra gli intervenuti che fanno risaltare la passione per il loro lavoro e la necessità in vario modo di difendere lo status ed il ruolo dell’insegnante.
Non voglio prodigarmi in disquisizioni accademiche, riporto per amor di discussione la mia esperienza.
Ho più di 30 anni di servizio,ho svolto credo sempre il mio mestiere nel migliore dei modi, talvolta non facendo neanche un giorno di assenza, aggiornandomi nei più vari campi (per diversi anni ho aggiornato il sito della sito della mia scuola, ho avuto alcuni incarichi di coordinamento, alla veneranda età ho fatto un corso di circa 500 ore in lingua inglese ed ora lo sto insegnando nella mia scuola). Tuttavia la scuola è cambiata, corre tanto e correndo così tanto si disperde.
Gli alunni, bambini ragazzi ed adolescenti non sono più gli stessi; le agenzie educative sono molteplici e si affiancano e talvolta surrogano il compito degli insegnanti.
Le aspettative della società non sono più le stesse verso il mondo educativo. Vi sono altri interessi, valori che animano la società: mercificazione, individualità, competizione, tanto per citarne solo alcuni. Quindi come può la scuola riaffermare la sua dignità in cotanto contesto?
Guardare, a mio parere, alla sua natura ai suoi fini puntellandoli ed agendoli con orgoglio e salda e rinnovata dignità. Certo bisogna aggiornarsi, sfidare e guidare le innovazioni e trasmettere i nostri valori di persone ai ragazzi.
L’atteggiamento vittimista deresponsabilizzo* (c’era un refuso)
Non parlo di casi singoli. Ne ho già parlato (anche nel periodo in cui ho partecipato all’esperienza del Ning La Scuola che Funziona) e non volevo invadere (si dice spammare?) con vari link. Eventualmente faccio riferimento al mio blog indicato qui.
Grazie.
Posso lanciare un’altra piccola provocazione?
Rifletto su quel che dice il signor Riccardo Simone, sul fatto che gli alunni, bambini ragazzi ed adolescenti non siano più gli stessi. E’ un tema che mi sta molto a cuore. E personalmente, discutendo qualche giorno fa con Gianni sul senso o la realtà del termine “nativi digitali”, mi ponevo proprio questa domanda. Sono così cambiati? E quanto influisce questo sulla professione degli insegnanti? Sul loro sentire, più che sul loro ruolo.
Torniamo, credo, ad un problema di confronto con i cambiamenti della società degli adulti. Gli alunni ne sono solo un riflesso, vivo, pirotecnico, o anche desolante, ma alla loro età un interessante riflesso. Su cui si può fare molto!
Gli insegnanti si confrontano forse poco con il mondo adulto ma, come la maggior parte delle persone adulte hanno difficoltà a ricordarsi come si era, o meglio (alcuni…) hanno difficoltà ad ammettere come si era.
Lo pensavo questa mattina, osservando ed ascoltando un gruppetto di maschi del liceo. Di fronte ad un istintivo senso di diversità e delusione, che mi permeava nel guardarli, ho provato a fare un onesto balzo indietro… bé, noi eravamo anche peggio, più dissacranti, più apparentemente vuoti.
E calo la mano sul termine “apparentemente”. I ragazzi sono e dovrebbero essere gli alleati dell’insegnante. Hanno tantissimo da insegnare su questa società che accusa i docenti di essere i grandi esclusi, i “vecchi” di un mondo che cambia.
Ovvio, i ragazzi cambiano, perché la società e i modelli che hanno intorno offrono mille curiosità, che loro rielaborano autonomamente. I ragazzi esprimono sempre il senso del nuovo, dell’affabulante, del creativo, del diverso.
Allora perché non allearsi a loro? Anche i docenti diventerebbero anticipatori, pionieri, smaliziati, creativi. I ragazzi potrebbero essere quella porta privilegiata di osservazione del “nuovo” che al mondo della scuola manca. E non solo al mondo della scuola, non crediate!
E i docenti hanno questo incredibile “Internet vivente” (nelle sue luci ed ombre) tutti i giorni davanti a una cattedra.
Quale punto di osservazione più privilegiato per fare anticipazione e comprendere i cambiamenti degli adulti e della società?
I ragazzi ci guardano molto più di quanto non si immagini.
Tornate ragazzi, togliete tante cose, tanti orpelli, tante ovvie diversità, cercate di ricordare i vostri istinti… come eravate?