Era mia intenzione recensire, dopo attento studio (una lettura, pur approfondita, non sarebbe bastata) il contributo di David Jonassen pubblicato nell’ultimo numero (47,5) di Educational Technology: “A Taxonomy of Meaningful Learning”, una sintesi di 10 anni di ricerca che lo porta a concludere che la massima forma di apprendimento significativo è il problem solving (Jonassen sarà a Bolzano la prima settimana di dicembre 07).

Sfogliando, però, la rivista mi imbatto in un contributo del nostrano Guglielmo Trentin dell’ITD di Genova (complimenti a lui per la prestigiosa pubblicazione) su un approccio multidimensionale alla sostenibilità dell’e-learning (A Multimensional Approach to E-learning Sustainability, pp. 36 – 40).

Più che le sue conclusioni e proposte (puramente ipotetiche nello scenario italiano, purtroppo), mi interessano le premesse da cui parte e che portano acqua al mio mulino (per inciso, mio padre Livio, mio nonno Giovanni, mio bisnonno di cui credo di non aver mai saputo il nome, erano mugnai… onore agli avi…).

Dunque, Trentin evidenzia che:

  • negli ultimi anni una grande quantità di risorse pubbliche è stata allocata ad iniziative di e-learning;
  • nonostante questi sforzi, non vi è alcun segno di un avvenuto consolidamento dell’uso didattico delle tecnologie.

Indipendentemente delle entusiastiche annuali previsioni sulla penetrazione dell’e-learning, uno sguardo più attento al fenomeno evidenzia due questioni ancora aperte:

  • l’e-learning non ha portato ad alcun significativo cambiamento nella realizzazione della formazione ed è ancora ancorato ai finanziamenti pubblici, a progetti pilota o ad iniziative personali
  • molti progetti, iniziati con grande entusiasmo e solide basi qualitative, sono stati abbandonati non appena i finanziamenti pubblici erano terminati.

La conclusione è che senza finanziamenti pubblici o sponsor privati, questo approccio non riesce ad auto-sostenersi. Detto altrimenti, sempre secondo Trentin, la qualità di quelle iniziative di e-learning era talmente povera da non giustificare i suoi costi.

Altre considerazioni del nostro: la principale ragione dell’adozione dell’e-learning stava (sta?) nel miraggio (suo il termine) del minor costo e proprio questo approccio ha portato allo sviluppo di e-elarning di bassa qualità.

Questo approccio, ed i suoi risultati, ha prodotto un consistente scetticismo se non repulsione da parte di coloro che ne hanno fatto esperienza ….

La conseguenza è stata il propagarsi di un messaggio di allerta anche tra coloro che non si sono mai coinvolti in simili iniziative.

Trentin si domanda se l’e-learning non sia stato solo un “flash in the pan” pronto ad essere sostituito da una nuova moda o se non abbia in sé le potenzialità di diventare qualcosa di sensato.

Concludo questo post con altre sue citazioni tratte dal lavoro di Seufert e Seufert e Euler che hanno investigato il tema:

  • i vantaggi dell’adozione dell’e-learning sono relativi ed i benefici derivati non sono ancora chiari (eccetto, forse, la speranza di tagliare i costi della formazione);
  • vi è sempre una grande difficoltà ad integrare l’e-learning nel contesto in cui lo si vorrebbe introdurre;
  • l’e-learning è percepito come una metodologia complessa da gestire e le sue sperimentazioni hanno fornito poche rassicurazioni in merito;
  • l’e-learning non è percepito come un mezzo per fare formazione della stessa qualità della formazione tradizionale.

Da incrociare con Who killed e-Learning?

Per non lasciare la curiosità su quale sia la proposta di Trentin, concludo, questa volta per davvero, indicando che si tratta di un modello multimensionale in cui sono strettamente interrelate ben otto dimensioni: pedagogica, professionale, socio-culturale, informale, di contenuto, organizzativa, economica e tecnologica.

Come dire: forse è meglio lasciar perdere l’e-learning e cambiare discorso (commento mio).

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Un pensiero su “Oltre i fallimenti dell’e-learning”
  1. “Come dire: forse è meglio lasciar perdere l’e-learning e cambiare discorso”

    Sì, vabbè! Però è una bella fregatura!

    “Dunque, Trentin evidenzia che:
    negli ultimi anni una grande quantità di risorse pubbliche è stata allocata ad iniziative di e-learning;nonostante questi sforzi, non vi è alcun segno di un avvenuto consolidamento dell’uso didattico delle tecnologie.”

    Questo lo penso e lo dico non da poco tempo…però c’è una presa in giro di fondo. Perchè? Riferendomi all’ambito scolastico, il ministro Fioroni predica un ritorno alla tradizione nella didattica, come sinonimo di serietà. “Più grammatica e meno informatica e tecnologia”. Ma quale ritorno dico io se non ci si è mai mossi di un millimetro? Quanta informatica o applicazione delle tecnologie ci sono mai stati nella scuola italiana? Su un corpo docente di 120 insegnanti nel mio istituto comprensivo, con un 60% di personale giovane, saremo contati a malapena sulle dita di una mano ad applicarle.

    Per fortuna confortano le conclusioni di Jonassen: “…..una sintesi di 10 anni di ricerca che lo porta a concludere che la massima forma di apprendimento significativo è il problem solving”.

    Concordo in pieno, sulla base della mia esperienza e vorrei segnalare un mio recente post “Problem posing e problem solving per pensare con metodo”, sul mio blog di matematica.
    Mi farebbe piacere, Gianni, se lo leggessi insieme alla discussione scaturita.
    Questo l’indirizzo:
    http://lanostramatematica.splinder.com/post/14069436#comment

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