colonialismo
Pare sia proprio così.
Lo sostiene Roberto Casati sul Sole 24 Ore di ieri, domenica 12 maggio, citando uno studio di Marco Gui che ha analizzato (nel 2013) i dati PISA 2008. Datazione a parte (elemento che a mio dire non è del tutto irrilevante, considerato come le cose evolvano, non necessariamente in meglio, in questo campo).

Prendo in seria considerazione il concetto che lui usa di “colonialismo digitale” basato sull’assunto: “considerato che il digitale esiste, lo si deve usare. Ovunque e comunque”. Chi si oppone al colonialismo digitale è accusato di difendere il passato.

Il succo del discorso sta nelle conclusioni della ricerca fatta da Gui: l’uso, non moderato, del digitale a scuola è associato a risultati di apprendimento inferiori di chi non le usa in matematica, scienze e lettura. Il Nostro sottolinea che ciò che la ricerca mette in evidenza è una associazione tra uso della tecnologia e apprendimento e non di un rapporto direttamente causale.

La riflessione sui dati merita, comunque, di essere fatta. Io lo faccio a partire dalle mie esperienze dirette ed indirette con insegnanti che usano le tecnologie. Cose già dette ma che vale la pena ribadire.

Non ha senso fare di ogni erba un fascio: la situazione è articolata; accanto a tanti insegnanti che usano le tecnologie per il semplice fatto che esistono, per un malinteso senso di “innovazione”, per non sentirsi vecchi, con lo spirito della pecore (e talvolta del pecoraio), cioè senza alcuna consapevolezza ed armati solo di un po’ di competenza digitale, ce ne sono alcuni che sanno dare una ragione al loro, anche forsennato, uso delle tecnologie. Le usano in modo appropriato, all’interno di un consapevole quadro didattico, in modo laico (lontani, quindi, dalla religione della lim e del tablet).

La questione mi pare sia:

  • Le tecnologie a scuola da sole non fanno alcuna differenza,
  • Spesso sono usate per arricchire l’insegnamento,
  • Non è mai chiaro quando, quanto e come migliorino l’apprendimento,
  • Gli usi, empiricamente, più ricchi si hanno quando è già presente una buona competenza didattica.
Concludendo, mi pare che la questione non sia “tecnologie si, tecnologie no”, ma “tecnologie come” e soprattutto “tecnologie perché”.

In questa prospettiva è un dovere resistere al colonialismo digitale.

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Un pensiero su “Il digitale a scuola peggiora l’apprendimento?”
  1. Il non fare di tutta l’erba un fascio mi trova totalmente concorde. Ho letto l’articolo di Casati che contiene – è giusto dirlo – tanto buon senso, probabilmente alcune verità, ma anche l’errore di fondo di contrapporre ideologia ad ideologia. Arrivare ad affermare che dove si applica la tecnologia i risultati peggiorano, senza verificare com’erano prima, come è stata applicata, da chi, ecc. ecc. mi pare una conclusione troppo “tirata per i capelli” e, tra l’altro, mi domando se ci siano effettivamente le basi, nel rapporto analizzato, per distinguere tra applicazione e non, ammesso che sia possibile – ormai – parlare di scuole dove l’informatica non venga applicata!

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