Da un po’ di tempo si fa un gran parlare di fantomatiche innovazione a scuola caratterizzate dalla così detta “didattica in movimento” che viene venduta come una didattica tipica delle scuole del nord Europa.
Se si va vedere cosa si fa in Paesi come la Finlandia e la Svezia si scopre che non esiste alcuna “didattica in movimento” ed esiste, molto più banalmente, la “didattica”.
Si tratta, però, di una didattica molto diversa dalla nostra perché è tutto il contesto che è diverso:
- diversa la logistica delle scuole;
- diversa l’organizzazione della didattica;
- diversa la cultura e le pratiche didattiche;
- diverse le competenze medie degli insegnanti;
- diversa la normativa che regola il rapporto di lavoro degli insegnanti;
- diversa la dotazione strumentale delle scuole;
- diverso il sistema della governance del sistema educativo del Paese;
- diverso il valore sociale e l’immagine della scuola e dell’insegnante;
- diversa è anche etica del lavoro e della responsabilità.
In breve, mondi completamente diversi dove studenti che si spostano da un’aula ad un’altra ci possono anche stare ma si un aspetto marginale, del tutto irrilevante nel determinare l’efficienza e l’efficacia del sistema educativo del Paese.
Come possiamo, quindi, pensare che basti cambiare un elemento solo, e marginale, per cambiare la scuola italiana?
Impossibile, allora, cambiare?
Secondo me alcuni cambiamenti si possono fare con un po’ di buona volontà e ponendo al primo posto l’interesse degli studenti e non quello degli insegnanti.
Dopo tutte le discussioni sulle classi transumanti (grazie Alfredo Tifi per l’efficace espressione) non si potrebbe ragionare, ad esempio, più sensatamente su di una diversa organizzazione dell’orario scolastico?
Che senso ha fare una “lezione” da un ora? Magari con 5 – 6 materie in una mattinata?
Quale persona, anche adulta e sana di mente, reggerebbe a tanti e repentini cambi di approccio alla conoscenza conservando un minimo di produttività?
Come ci si può appropriare dei contenuti se questi vengono sparati a raffica e senza tregua?
Perché chiediamo simili, e inutili, contorsionismi cognitivi agli studenti?
Cosa ci impedisce, allora, di trattare due discipline in unità di 2 o 3 per ogni giornata scolastica? Se ne tratterebbe un beneficio immediato.
Si creerebbero le condizioni per una didattica attiva, costruttiva, riflessiva.
Si darebbe il gusto ritmo all’apprendimento.
Si consentirebbe ai processi cognitivi di fare il proprio corso.
Si creerebbero gli indispensabili “vuoti” per rigenerare corpo e mente.
Con una diversa organizzazione dell’orario scolastico un insegnare concentrerebbe il suo carico di lavoro giornaliero in una sola classe oppure lo concentrerebbe in alcuni giorni della settimana o in alcuni periodi del quadrimestre o dell’anno.
Le sue abitudini ed esigenze personali avrebbero, forse, bisogno di una ristrutturazione, ma rimarrebbero preservate.