Una doverosa premessa: sono geneticamente predisposto al cambiamento in ogni campo, anche in quelli che riguardano la mia professione, contesto in cui, anni fa, mi ero boriosamente definito “… attento ai segnali deboli…”; lungi da me, quindi, ogni sospetto di conservatorismo.
Da qualche tempo mi scaglio contro gli “innovatori” (tra virgolette non per vezzo stilistico), soprattutto quelli che, peggio delle cavallette, infestano la scuola italiana; lo faccio perché di innovativo nel loro pensiero e nella loro azione non vedo nulla, se non l’uso smodato e, addirittura, l’abuso del termine. Mi scaglio contro quelli che vanno orgogliosi del loro certificato di docenti innovatori, rilasciato a modico prezzo da qualche università, della loro presenza nell’albo (internazionale, of course) degli innovatori.
Non capisco in cosa consista la loro “innovazione”. Epistemologica? Concettuale? Metodologica? Operativa?
Su cosa si basa quella che loro chiamano “innovazione”?
Sul fatto di usare le tecnologie digitali? Fosse quella la caratteristica dell’innovazione si dovrebbe parlare di “adattamento”, perché di questo si tratta: usare anche a scuola strumenti che da tempo si usano in tutti i campi dell’agire umano (anche a scuola le tecnologie si usano da un ventennio).
È, forse, innovazione il coding “alla vaccinara”? Quattro istruzioni date dal guru di turno e ripetute pappagallescamente in classe senza alcuna base di programmazione (tanto non serve conoscere la materia, basta sapere come farla), senza aver capito quello che si fa e senza preoccuparsi che gli studenti capiscano quanto stanno facendo. Non serve pensare, basta fare. Insegnanti e studenti uniti nella lotta (in classe).
È innovazione perche si utilizza una didattica non trasmissiva, learner-centred, costruttivista, attiva, project-based….? I costrutti di riferimento sono stati sviluppati decenni fa (l’apprendimento significativo di Ausubel è di 55 anni fa, Bruner, Dewey, Illich …. hanno posto le basi delle didattiche non istruzioniste nella notte dei tempi e sono pratiche correnti ovunque, a fianco di didattiche istruzioniste). A tal proposito la ricerca scientifica non ha dimostrato la maggior efficacia delle didattiche costruttiviste (tanto spinte dagli uffici marketing del miur) su quelle istruzioniste se non con riferimento a specifici contesti e con riferimento a delimitati obiettivi di apprendimento, come per altri contesti ed obiettivi sono più efficaci le didattiche istruzioniste.
Sono innovazione la flipped o il pensiero computazionale che altro non sono che nomi dati dal marketing ad aggregati di dispositivi didattici in uso ben da prima che quei termine facessero la loro comparsa nel mercato della didattica?
È innovazione la didattica digitale che non ha alcun riscontro circa la sua efficacia in studi scientifici, anzi quei pochi disponibili evidenziano più problemi che apporti positivi?
Cos’ha di innovativo il debate oltre alla coniugazione in inglese? Il dibattito con argomentazione e confutazione si è sempre praticato e, magari, con modalità un po’ più serie e solide dei dibattiti 2.0 o 3.0…
Senza parlare delle didattiche spinte con accurate strategie di marketing attraverso i nuovi sillabi.
La sola spiegazione possibile è che questi “innovatori” abbiano scoperto ora, solo leggendo qualche libro finalmente tradotto in italiano o esplorando qualche sito web standosene comodamente in poltrona, tutte queste mirabili teorie e innovazioni e grazie a questa tardiva scoperta si sentano all’avanguardia (accidenti, ci sono anche le avanguardie educative!); certo, all’avanguardia della loro arretratezza.
Ecco allora spiegata l’innovazione di provincia, l’innovazione dei neofiti, l’innovazione dei parvenu pedagogici.
(Poi ci sono tanti altri insegnanti che a testa bassa e senza tanto clamore facebook-mediatico ed etichette, che conoscendo bene la loro disciplina, padroneggiando i fondamentali della didattica, sanno fare docenza e promuovere apprendimenti di qualità, ma questi non si ritengono “innovatori”: si ritengono semplici insegnanti)