Per dare più peso a questa idea nata da una discussione social ho lanciato una petizione che vuol rappresentare una diversa narrazione della scuola dell’emergenza oltre alla rassegnazione di DaD per tutto il prossimo anno scolastico. Sostieni qui questa idea . Firma e condividi nei social
Un ottimo post in Facebook di Laura Parigi (incorporato qui sotto) mi porta a ritenere meno ovvio di quanto si pensi o si faccia credere l’avvio della scuola a settembre in modalità “emergenza”, purché ci si prepari fin da subito.
Le questioni sanitarie sono chiare (il virus non è scomparso e circola, il rischio di infettamento è in diminuzione, una buona rete di medicina territoriale e di monitoraggio del contagio aiuta a prevenire e contenere i danni) come è chiaro che allo stato attuale molte scuole (quante? Un dato sarebbe interessante) non sono adatte ad accogliere tutti gli studenti.
La soluzione della didattica dell’emergenza (quella a distanza, per intenderci) pare scontata, ma non lo è affatto, basta attrezzarci per tempo, e di tempo da oggi a settembre ce n’è abbastanza per fare qualcosa, basta volerlo e basta non pensare che la didattica a distanza sia l’unica soluzione.
Sappiamo tutti che quella che è diventata la didattica dell’emergenza è inefficiente e inefficace, non è inclusiva, è una didattica che non si sa fare, la chiusura in casa crea nuove patologie.
La prima dimensione dell’educazione è la socialità, l’apprendimento richiede conversazione.
Sappiamo, anche, che la situazione in cui sono ora le scuole e che impedisce una riapertura a settembre in condizioni di normalità è dovuta ai tagli all’istruzione negli ultimi anni che hanno impoverimento l’edilizia scolastica e ridotto il numero di insegnanti con il risultato di avere le classi pollaio che ben conosciamo.
È urgente il superamento della didattica dell’emergenza.
Come lo si può fare?
Guardiamo alla Sanità: in emergenza si sono mobilitate risorse straordinarie, si sono costituiti efficienti ospedali da campo, si sono ripristinati strutture ospedaliere dismesse, si sono riconverti spazi privati e pubblici in ambienti adatti alla cura di malati gravi. Soprattutto si è riconosciuta la natura di EMERGENZA della situazione, si è capito che la situazione era grave e si è agito di conseguenza.
L’emergenza educativa è meno emergenza? Dobbiamo accontentarci di una scuola di serie B?
Se la scuola è davvero importante troviamo soluzione vere e non palliativi.
Non pensiamo che più tecnologia, più formazione degli insegnanti e una didattica a distanza migliorata (?!) siano la soluzione. Investimenti in quella direzione sarebbero soldi sprecati.
Un approccio serio all’emergenza educativa impone interventi in due tempi:
- Nell’immediato: ricavare nuovi spazi da adibire ad attività didattica in strutture esistenti, anche costruendo “scuole da campo” (ne ho viste parecchie nelle zone terremotate, non l’ideale ma sempre meglio che stare a casa). Forze Armate, Protezione Civile, volontariato, privati, come si sono mobilitati per l’emergenza sanitaria si possono mobilitate, ora che quella sanitaria è contenuta, per affrontare quella educativa. In quattro mesi si possono fare tante cose.
- Nel breve e medio periodo: avviare un corposo piano di edilizia scolastica. Con le moderne tecnologie delle costruzioni si possono attivare nuove scuole già in 4 – 6 mesi (A Sarnano, MC, i 4 mesi si è costruita con contributi privati una nuova scuola media con 6 aule, 1 aula magna, laboratorio di scienze, di musica, palestra e spogliatoi), in un anno potremo avere anche 20.000 aule “vere” in più. Investimenti in questo settore darebbero certamente anche un significativo impulso all’economia.
La didattica dell’emergenza anche a settembre non è una via obbligata. Lo sarà solo se si vuole che lo sia.
Per far fronte a questa emergenza si dovrebbero dirottare in infrastrutture scolastiche tutte le risorse destinate alla scuola, a iniziare da quelle europee ora sprecate nei PON.
Creare le condizioni per la ripresa della scuola della relazione è certamente più importante di tanti progetti e progettini.
I finanziamenti europei potrebbero essere richiesti non solo per la Sanità e per l’economia ma anche per la scuola.
Purtroppo, non vedo per la scuola un pensiero innovativo, vedo pensiero stereotipato, conservatore e rassegnato.
Non vedo alcuna volontà di affrontare alle radici il vero problema della scuola, che non è didattico ma politico.
Questo è il momento per cambiare direzione alle politiche per la scuola. Se non ora, quando?
(Scusate la battuta).